Romeo Benetti
nasce ad Albaredo d'Adige, 20 ottobre 1945
Muove i primi passi nel mondo del calcio con il Bolzano in Serie D e approda
alla massima serie dopo una lunga gavetta in Serie C e Serie B con Siena,
Taranto e Palermo. Con i rosanero rimane solo per la stagione 67-1968,
collezionando 35 presenze e segnando 2 reti.
Arriva alla Serie A nel 1968-69 con la maglia della Juventus per passare poi
subito alla Sampdoria.
Nel 1969-1970 disputò 27 partite corredate da 2 gol in Serie A e 3 partite e 2
reti in Coppa Italia.
Nel 1970-1971 è acquistato dal Milan e le sue fortune sono legate alla società
rossonera. Colleziona numerosi piazzamenti in campionato, le vittorie in Coppa
Italia del 1971-72 e 1972-73, la Coppa delle Coppe 1972-73, pur non disputando
la finale. Giunge anche a vestire la maglia della Nazionale italiana: esordisce
in azzurro il 25 settembre 1971 nella gara contro il Messico e diventa presto
titolare. Nell'estate 1976 sarà scambiato con Fabio Capello della Juventus: il
friulano approda al Milan mentre Benetti torna in maglia bianconera. Benetti
vincerà i due titoli del 1976-77 e 1977-78.
Lascia la Juventus nel 1979 per approdare alla Roma, dove gioca per due
stagioni. Chiude la carriera con la maglia della Nazionale, disputando la sua
ultima partita agli Europei del 1980, dopo aver preso parte ai Mondiali del 1974
e del 1978. In maglia azzurra colleziona 55 presenze.
«Tutti volevano picchiarmi, ma le hanno sempre prese, Grazie alla fama da
cattivo sono diventato più bravo di quello che ero: molti mi lasciavano il
pallone per paura»
Romeo, basta il nome. Romeo nella storia del calcio italiano (ma non solo)
significa grinta, carattere, personalità e tackle. Meglio se cattivi. Il Romeo
del nostro football è e rimarrà sempre Romeo Benetti, baffoni, due cosce così e
tacchetti affilati. Mitico. Samp, Milan, Juve, Roma e 55 partite in nazionale
(Mondiali del ’74 e ’78), Romeo ha vinto tantissimo: un campionato di B (Palermo
’67-’68), 5 Coppa Italia (2 Milan, Juve e 2 Roma), 2 scudetti (Juve), 1 Coppa
Coppe (Milan) e 1 Coppa Uefa (Juve).
Che fa ora Romeo Benetti?
«Sono docente del settore tecnico della Figc. Tengo corsi per allenatori
dilettanti e professionisti di seconda categoria».
Torniamo all’inizio. .
«Nasco il 20 ottobre 1945 ad Albaredo d’Adige, provincia di Verona. Ultimo di
otto fratelli, ho una gemella e indovini come si chiama? Giulietta! Romeo e
Giulietta, no? Da bravi veronesi...».
Vero. Bambino timido o vivace?
«Scatenato. Resto orfano di padre a un anno e mezzo. Sono un ribelle e dagli 8
ai 16 anni mi mandano in collegio a Venezia».
Ricordi negativi?
«Bellissimi. Gioco a pallone tutti i giorni ed entro nella squadra dell’Asa,
Associazione Sportiva Artigianelli. Gioco attaccante».
Idolo calcistico?
«E chi li conosceva i giocatori? Non c’era la tv a quel tempo».
Andiamo avanti. Dopo il collegio che fa?
«Raggiungo mamma a Bolzano e inizio a lavorare come maestro tipografo. Finché un
giorno mi chiedono di partecipare a un torneo aziendale di calcio».
Ed è il più bravo.
«Mi nota un dirigente del Bolzano, club semiprofessionista. Mi ingaggiano per 10
mila lire al mese e da quel momento non sono più padrone
della mia vita».
La stagione successiva va in serie C al Siena. Poi a Taranto, ancora più
distante.
«Dopo due anni capisco che il calcio dei professionisti mi interessa poco,
preferisco un futuro da tipografo. Spiego al presidente che voglio avvicinarmi a
casa e invece mi cedono al Palermo!».
Urca. Accetta?
«Per forza, il cartellino è della società! Ma scopro che aveva ragione il
presidente: in quel periodo, viste le distanze, le partite al Nord si fanno due
alla volta, di fila. E c’è tempo per andare a trovare la famiglia».
Con il Palermo vince il campionato di serie B. Ruolo?
«Attaccante, seconda punta».
La Juve la acquista subito, stagione 1968-69. Da Palermo a Torino: impatto con
la nuova città e il nuovo club?
«Mi presento in sede per firmare il contratto e mi bloccano: “Scusi, dove è la
giacca?”. “Non ce l’ho”. “Guardi che il presidente non la riceve senza giacca!”.
Mi giro e torno a casa».
L’allenatore è Heriberto Herrera.
«Splendido esecutore di ordini. Dal lunedì al sabato ha una sola preoccupazione:
farci perdere peso. E ogni giorno, prima e dopo allenamento, ci costringe a
salire sulla bilancia».
Arrivate quinti e lei totalizza 24 presenze e 1 rete. Viene comprato dalla Samp.
«Bernardini è un allenatore stupendo, moderno: sarebbe attuale anche oggi. Il
presidente è Colantuoni, un genio nella gestione economica del niente».
Il giovane Romeo Benetti segna 2 gol in 27 partite e viene notato dal Milan.
«In realtà mi notano per un altro motivo».
Quale?
«Samp-Milan, mischia furibonda con contrastone in area, resto in piedi e
conquisto il pallone. Mi giro per vedere chi ho lasciato alle spalle e vedo tre
rossoneri: Trapattoni, Schnellinger e Cudicini. Tutti a terra come birilli.
Rocco in panchina si illumina e chiede ai dirigenti di comprarmi».
Già, Nereo. È lui a trasformarla da attaccante a mediano.
«Inevitabile esigenza tattica. Troppe punte in quel Milan, serve qualcuno che si
sacrifichi ed io sono il più esuberante. Così Rocco, indicando il centrocampo,
mi dice: “Fèrmate lì”».
E in Coppa...
«Vinciamo, ma se prendiamo gol siamo eliminati. Ogni volta che avanzo il mister
urla: “Romeo, sta indrio!”».
E - racconta Bigon - a cinque minuti dalla fine l’urlo diventa: “Romeo sta
indrio che perdemo un milion!!!!!”. Cioè il premio partita.
«Ahahaha. Vede? Questo era Rocco, maestro nel gestire i giocatori».
Un gruppo di campioni. Guardi qui le figurine e scelga un compagno.
«Rivera. Fenomeno».
La giocata più incredibile che gli ha visto fare?
«Tutte. Le racconto questo. A volte, in allenamento o da avversario, ho cercato
di picchiarlo. Beh, non sono mai riuscito a prenderlo».
Troppo veloce?
«Geniale, capace di anticipare sempre l’azione. E di giocare di prima, cosa che
a un mediano fa girare le balle. Perché è impossibile far male a quelli così. I
campioni, se proprio sei fortunato, li prendi sul piede in sospensione, quello
alzato da terra. E, al massimo, gli fai un livido. Impossibile colpirli in
tackle sulla gamba portante e spaccarli».
A proposito di entrate e infortuni, parliamo di Liguori. Le va? In quella sua
prima stagione al Milan (1970-71), a San Siro contro il Bologna, lei entra in
ritardo sul centrocampista e gli rompe un ginocchio.
«Il calcio è fatto di contrasti. In ogni partita erano in undici a voler
picchiare Benetti, sempre: sapevano che facendo fuori me si sarebbero tolti un
bel problema. Sa in quanti ci sono riusciti?».
Pochi?
«Nessuno. Non mi sono mai infortunato».
Benetti il duro è sempre l’idolo dei propri tifosi.
«I supporter delle mie squadre si identificavano in me».
Gli avversari, invece, le giravano alla larga.
«Grazie alla fama da cattivo sono diventato più bravo di quello che ero: molti
mi lasciavano il pallone per paura».
Nel 1971 lei viene convocato per la prima volta in nazionale. E in azzurro, in
carriera, giocherà 55 volte, partecipando ai Mondiali del ’74 e del ’78.
«Esperienze incredibili. Quando torni da un Campionato del Mondo sei una persona
diversa. Sempre».
Tra nazionale e club, lei ha marcato i migliori. Il più forte in assoluto?
«Pelè. Non lo prendevi mai nemmeno sul piede in sospensione. E ti ignorava, non
ti guardava mai. Per lui eri un’ombra, non esistevi. Con lo sguardo controllava
il secondo o il terzo avversario da dribblare, per decidere come e dove
muoversi».
Nella stagione 1976-77 Romeo Benetti torna alla Juve. Scusi, perché ride?
«Mi presento in sede per firmare e, ricordando la prima volta, prima di entrare
mi metto una giacca. Mi guardano stupiti: “Ma Romeo, è luglio e fa caldo!
Toglila!”».
È la Juve di Agnelli.
«Arriva a trovare la squadra in elicottero e sa tutto di tutti. Come se fosse
sempre negli spogliatoi».
Romeo, guardi le figurine di quella squadra. Benetti, Gentile, Furino, Tardelli,
Boninsegna: quanti calcioni giravano in partitella?
«Ahahaha. Stavamo tutti sempre in squadra insieme. E si vinceva».
Ora scelga lei un compagno da ricordare.
«Scirea. Tre giorni prima di partire per la Polonia, dove è morto, era nostro
ospite a cena, qui a casa. Ragazzo stupendo. Sensibile. Calciatore immenso».
Benetti, altre fotografie e subito una curiosità: i baffi li ha sempre avuti?
«Una mattina, ai tempi del Milan, mi accorgo di essere in ritardo per
l’allenamento. E per fare più in fretta li lascio: da quel giorno non li ho mai
più tagliati».
Restiamo alla Juve. Vince due scudetti in due anni. E anche un premio per il gol
più bello della stagione 1976-77.
«Vede la coppa laggiù? La conservo ancora. Grande soddisfazione anche se a
distanza di anni lo posso confessare: fu un gol casuale, non voluto!».
Meraviglioso. Raccontiamolo.
«Fiorentina-Juve e per tutta settimana Zeffirelli provoca, fa polemica,
stuzzica. Si gioca a Firenze e ogni volta che tocco il pallone sono fischi,
buuuuu, offese. Allora gioco sempre di prima per evitare insulti. Ad un certo
punto Tardelli tira da lontano, il portiere Mattolini respinge, la palla si
impenna e arriva verso me, fuori area. Non so che fare, penso che se la stoppo
lo stadio mi fischia e allora decido di rinviare al volo, il più lontano
possibile. Pum. Ne esce un tiro perfetto che si infila all’incrocio del pali.
Gol più bello del campionato».
Dopo due stagioni bianconere, lei si trasferisce alla Roma.
«Dimostrazione dello stile Juve. Boniperti mi convoca in sede e mi spiega che il
club ha deciso di ringiovanire, dunque non sono confermato. E mi chiede dove
voglio andare, che mi accontenteranno».
Perché sceglie proprio Roma?
«Consiglio di Bearzot. E mi trovo bene».
L’allenatore è Liedholm.
«Un napoletano nato in Svezia».