|
Giappone 1945-1965 | ||
Alla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone era in condizioni disperate. Nel corso del conflitto, erano morte
circa 2 milioni di persone, un terzo delle quali civili; le
città, attaccate con bombe incendiarie (Tokyo) e con ordigni nucleari (Hiroshima e
Nagasaki) erano ridotte a cumuli di macerie. avrebbero dovuto collaborare anche altre forze alleate: in pratica, invece, gli Stati Uniti non permisero a nessun’altra potenza di interferire nella propria politica giapponese. La gestione dell’occupazione fu assegnata al generale Douglas Mac Arthur, che in primo luogo procedette al rimpatrio di tutti i giapponesi (circa 6 milioni) che si trovavano sparsi nelle varie regioni dell’Asia. Oltre ai soldati e ai prigionieri, si dovette provvedere al ritorno anche dei numerosi civili che vivevano da tempo a Taiwan e in Corea, territori che l’impero nipponico aveva conquistato all’inizio del secolo e che, dopo il 1945, divennero indipendenti. Inseguito, il generale americano organizzò a Tokyo un grande processo per punire i criminali di guerra, cioè, in pratica, i principali responsabili della politica estera giapponese negli anni compresi tra il 1941 e il 1945. Furono eseguite sette condanne a morte; l’imperatore Hirohito, tuttavia, non fu né processato né destituito: semplicemente, gli fu imposto di dichiarare che la sua figura non era di origine divina e che egli era soltanto « il simbolo dello Stato e dell’unità del
popolo».
Fu dunque la potenza occupante a fissare i principi giuridici che avrebbero dovuto regolare in futuro la vita politica nipponica; questo gesto clamoroso, tuttavia, non
venne accolto come un’intollerabile intrusione e un atto di
imperialismo culturale. «rinuncia alla guerra»
per sempre da parte del Giappone, che in effetti, negli anni Cinquanta, ricostituì una piccola forza militare, ma scelse pure di impiegare al
massimo l’1% del proprio prodotto nazionale lordo in spese destinate agli armamenti.
Il regime d’occupazione americano si concluse nel 1952; il 1950, invece, può essere individuato come l’inizio della grande espansione economica, che in un primo tempo trovò un eccezionale incentivo nella guerra di Corea.
Per la sua vicinanza geografica al
teatro delle operazioni militari, il Giappone divenne infatti il principale fornitore di beni I motivi di tale successo economico furono molteplici.
In aggiunta alle esigue spese militari, va ricordato che gli StatiUniti aprirono i loro
mercati alle esportazioni giapponesi, non immaginando che i prodotti nipponici sarebbero presto diventati pericolosi concorrenti dei manufatti americani. Negli anni precedenti la guerra mondiale, il Giappone aveva utilizzato in prevalenza, come Nel dopoguerra,
il problema energetico fu risolto importando
petrolio dalla regione del Golfo Persico, a prezzi estremamente contenuti, utilizzando navi-cisterna sempre più capienti. Per questo motivo, e per ridurre anche i costi di trasporto delle materie prime d’importazione,
la maggior parte delle nuove fabbriche fu costruita in prossimità del mare. Infine, bisogna ricordare la precoce diffusione di una scolarizzazione superiore di massa, che rese i giovani giapponesi particolarmente qualificati nel loro campo di attività. Per molto tempo, la maggior
parte
dei
lavoratori si identificò
completamente
nella ditta in cui era impiegata
e divenne fiera dei suoi successi, atteggiamento che riduceva i motivi di conflittualità fra i
dipendenti e i datori di lavoro. Oltre tutto, perfino con salari bassi i
lavoratori nipponici furono ottimi risparmiatori, permettendo alle banche di
disporre sempre di notevoli risorse per il credito. La sua capacità produttiva aveva ormai assunto un volume quasi quadruplo di quello dell’intera Africa, doppio La vertiginosa crescita economica degli anni Cinquanta e Sessanta non fu del tutto
priva di problemi. Per contenere le spese, molti giapponesi furono costretti a cercare casa lontano dal posto di lavoro, ma il problema dei trasporti fu solo in parte risolto dal potenziamento delle metropolitane e dalla costruzione di ferrovie ad alta velocità. Inoltre, il problema dell’inquinamento divenne precocemente acuto. Nel 1973, l’aumento del prezzo del greggio deciso dai paesi esportatori di petrolio ebbe in Giappone ripercussioni
particolarmente forti: il tasso di crescita, infatti, dapprima scese al 5-6%, e poi si stabilizzò su un 3% annuo. L’industria
giapponese, nel frattempo, modificò in parte le proprie caratteristiche, investendo capitali soprattutto in
prodotti ad
alta tecnologia, che richiedevano una quantità minore di
materia prima e minori risorse energetiche rispetto alla tradizionale industria pesante. Come spesso accade per le profezie, anche questa si è rivelata un’ipotesi azzardata, che non ha tenuto in sufficiente conto la forza del sistema americano e ha ampiamente sottovalutato l’emergente e dinamica economia cinese. Inoltre, i profeti dell’imminente supremazia nipponica
non avevano valutato a fondo alcuni nuovi e gravi problemi strutturali che l’economia e la società giapponese devono affrontare. I giovani, dal canto loro, appaiono insofferenti
verso la scadente qualità della
vita che caratterizza i grandi centri urbani Infine, il sistema bancario del paese ha mostrato
alcuni preoccupanti segni di debolezza, fornendo ingenti prestiti a nazioni come
la Corea del Sud, Taiwan o
Singapore, che dopo
un periodo di espansione economica e
produttiva hanno incontrato notevoli difficoltà, verso la fine degli anni Novanta, a
mantenere i ritmi di crescita del decennio
precedente. Dal 1950 al 1973, la crescita fu impetuosa e disordinata; la crisi energetica del 1973 e il brusco rialzo dei prezzi del petrolio provocarono una riduzione del tasso di sviluppo, ma anche una razionalizzazione dell’intero sistema produttivo nipponico.
Fortunatamente per il Giappone l’embargo non durò a lungo, ma il grosso delle nazioni esportatrici di petrolio, l’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) formarono un cartello che quadruplicò i prezzi. E ciò colpì il Giappone più che qualsiasi altra grande potenza industriale. Mentre infatti gli StatiUniti potevano parlare ragionevolmente di autosufficienza energetica, i giapponesi furono costretti ad arrampicarsi sugli specchi per assicurarsi i rifornimenti di petrolio necessari.
Da allora il mondo non sarebbe loro mai più apparso sicuro, e i dubbi
riguardo
alla compatibilità di interessi con gli americani aumentarono.
Altri problemi avevano già costretto il governo
ad affrontare un bilancio in deficit e la prima bilancia commerciale sfavorevole da vari anni, ma
entrambe queste condizioni peggiorarono nettamente in conseguenza della crisi del petrolio. L’inflazione invece aumentò, raggiungendo per un po’ il 20 percento e più, e causando una penuria di beni di consumo, in particolare di carta igienica. I giapponesi tuttavia riuscirono a riavere la situazione sotto controllo più rapidamente della maggior parte dei paesi industrializzati, anche se erano stati colpiti più a fondo di tutti. Il tasso della crescita economica venne riportato a circa il 5 o 6 per cento e, dopo che una seconda crisi del petrolio fece aumentare nuovamente i prezzi nel 1979, si stabilizzò gradualmente sul 3 o 4 per cento. Erano tassi di incremento assai più bassi
degli aumenti del 10 percento dei
giorni gloriosi del miracolo giapponese, ma complessivamente erano notevolmente
più alti di quelli degli altri paesi industrializzati. [...] aveva provocato non solo un terribile affollamento urbano, ma un inquinamento senza precedenti dell’aria e dell’acqua. All’inizio degli anni sessanta in alcune aree metropolitane l’aria era così inquinata che i vigili erano costretti a indossare maschere e vennero installate delle stazioni di ossigeno per i pedoni. Il monte Fuji, che una volta si vedeva bene da Tokyo per la maggior parte dell’anno, si riusciva a distinguere solo in condizioni atmosferiche eccezionali, troppe volte all’anno i fiumi erano troppo sporchi per poterci pescare e alcuni tratti della costa avevano lo stesso problema.
La consumazione di pesce contaminato con
il mercurio, pescato vicino a un’industria chimica a Minamata, nel Kyushu, causò
il Le condizioni del traffico peggioravano, rendendo sempre più penoso lo spostamento dei pendolari. La situazione delle case nelle aree urbane era gravissima, e alla fine degli anni settanta provocò un commento casuale da parte
di un inglese, che
disse che
i giapponesi vivevano in
gabbie per conigli, cosa che offese molto l’orgoglio giapponese.
L’inquinamento acustico,
come veniva chiamato dai giapponesi, prodotto dalle autostrade, dai treni ad alta velocità e dai jet affliggeva la vita
di milioni di persone. I giapponesi raggrupparono tutti questi inconvenienti della vita moderna sotto il nome
di
kogai, che significa
fastidi pubblici. Velocemente il Giappone emanò una serie di leggi sul controllo dell’inquinamento, rigorose come quelle di qualsiasi altro paese del mondo, e nel 1975 fu l’unico paese ad avere un sistema di controllo sull’inquinamento che prevedeva sanzioni sia alle fabbriche che perfino ai privati motorizzati che avevano causato danni all’ambiente o alle persone. I risultati furono incredibili: i cieli di Tokyo e delle altre città si schiarirono di anno in anno e l’inquinamento idrico diminuì notevolmente. A causa del sovraffollamento urbano, il problema dell’inquinamento rimase piuttosto grave, ma, in ogni caso, era avvenuto un grosso cambiamento nell’indirizzo di iniziative e investimenti, che dalla crescita industriale indiscriminata si erano spostati verso il miglioramento dei servizi sociali e il controllo dell’ambiente, in modo da elevare la qualità della vita.
|