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Esiste un popolo arabo
che vive dalle rive dell’Atlantico fino alle rive dell’Oceano Indiano ?
No di certo !
Il termine “arabo” non
qualifica una razza, …a meno che non ci si riferisca ai cavalli !
Il mondo contemporaneo enumera 22 paesi arabi, all’interno
dei quali vi si incontrano ogni sorta di popoli, come i Neri o Berberi, ad
esempio.
Ma allora il vocabolo
“arabo” designa una religione, come ad esempio l’Islam ?
No neanche questa volta
!
Prima dell’Islam, gli
Arabi
della
penisola arabica, erano massicciamente politeisti, ma vi si potevano
incontrare dei giudei e
dei cristiani.
Gli arabi ebrei
costituiscono una realtà, allo stesso titolo dei cristiani arabi.
In Egitto esiste la
popolazione arabo cristiana più numerosa del Medio Oriente, valutata intorno ai
6-7 milioni di individui.
Ma allora “arabo” che
cosa vuol dire ! Secondo un celebre hadit (parola o atto del
Profeta
Maometto), è
Arabo colui la cui lingua è l’arabo.
Ai
nostri tempi questa è la
definizione che
viene ancora riconosciuta. E’ in tale contesto che la Lega Araba
include il Libano, uno stato non mussulmano.
Questo organismo internazionale sottolinea il
fatto di distinguersi nettamente dalla lega degli Stati islamici, che sono in
totale 57.
Fra i suoi membri arabi
vi si trova l’Egitto, la Siria, il Libano, la Palestina, l’Irak, nei quali sono
presenti in forma minoritaria ebrei e cristiani. Ma va anche constatato che la
maggioranza dei paesi mussulmani non è araba. Basta citare a titolo d’esempio
l’Indonesia, il Pakistan, il Bangladesh e l’Afghanistan, per non parlare
dell’Iran e della Turchia che sono stati mussulmani non arabofoni.
Ma allora come conviene definire gli Arabi ?
Cronologicamente e per la sua ampiezza, la
presenza araba nel Medio Oriente ha largamente anticipato l’espansione della
conquista islamica a partire dal 7° secolo.
Dal 10° secolo prima della nostra era si trovano
degli Arabi all’esterno della penisola arabica ed alla stessa epoca il termine
“arabo” designa un elemento culturale e geografico.
Si trova la prima
menzione conosciuta della parola “arabo” in un testo scritto sotto il regno di
Salmanasar 3°, Re d’Assiria, che racconta le gesta della sua vittoria riportata
nell’853 a.C. a Qarqar (attualmente Tell Qarqar nella vallata dell’Oronte in
Siria), contro una coalizione, nella quale viene menzionato, oltre ai sovrani di
Damasco, di Hama, d’Achab, d’Israele, “Gindibu l’Arabo” ed i suoi mille
cammelli.
Citato fra il Re di
Fenicia settentrionale ed il figlio del Re d’Aram all’estremo sud della Siria,
Gindibu l’Arabo non proveniva dalla penisola arabica per affrontare il sovrano
assiro a Qarqar.
Si tratta più probabilmente di un nomade del
deserto siriano.
Le sue truppe sono
interamente montate su cammello, il cui impiego si diffonde in quel tempo
per i viaggi ed il commercio attraverso il deserto siri arabico.
A proposito dell’utilizzazione del cammello vale
la pena di approfittare per mettere fine ad un controsenso.
Certi storici, greci e romani, parlano di
combattimenti in cui gli Arabi risultano montati su dei cammelli.
Questi scontri non si sono mai svolti in questo
modo!
Un cammello, per la sua altezza, risulta
incapace di manovrare in uno spazio ridotto.
In più, il meharista risulta un bersaglio facile
per gli arcieri nemici. Il cammello viene montato da due uomini. Il primo guida
l’animale, mentre il secondo, un arciere, viene incaricato di proteggere sia il
suo collega sia l’animale.
Di norma in occasione degli scontri i meharisti
combattono a piedi.
Sotto la spinta della
battaglia di Qarqar, gli Assiri continuano la loro avanzata verso l’ovest,
entrando sempre più frequentemente in contatto con gli Arabi.
Nel 738 a.C. si incontra
Zabibe, “regina degli Arabi” nella lista dei sovrani che pagano il tributo a
Tiglat Pileser 3°.
Quattro anni più tardi,
un’altra “regina degli Arabi”, Samsi, si aggrega alla coalizione anti-assira.
Sconfitta, la donna riesce a salvarsi con la fuga, ma diventa vassalla dell’Assiria.
Sempre secondo i testi assiri, si incontrano
degli Arabi nel 1° millennio prima della nostra era, in Siria del nord e nella
attuale Giordania, lungo la “strada del Re” che collega Damasco ad Aqaba, sul
Mar Rosso, via commerciale sulla quale transitano l’incenso e la mirra, che
provengono dal Regno di Saba (Yemen).
Dagli elementi conosciuti oggi risulterebbe che
alla stessa epoca degli Arabi vivevano a nord di Damasco, attuale capitale della
Siria, fra la Giordania e l’Eufrate.
Si incontrano altresì
degli Arabi originari del Sinai
nell’area di babilonia. Essi occupano un vasto territorio, molto eccentrico
rispetto alla
penisola arabica.
Nell’8° secolo prima della nostra era si
costituisce una vasta rete di commercio. I prodotti vengono istradati fra il
Golfo Persico ed il Mediterraneo per mezzo di
carovane di cammelli. E’ proprio lungo questa
via carovaniera, ai piedi delle montagne ed al limitare del deserto, che delle
potenti tribù stabiliscono dei
grandi centri urbani. Senza il cammello la via
dell’incenso non avrebbe mai visto la luce e la regina di Saba non avrebbe
contribuito a rendere più piccanti ed esotici i nostri sogni. Il cammello ha
permesso di far uscire dall’isolamento la parte meridionale della penisola
arabica.
Senza il suo aiuto sarebbe stato impossibile
attraversare gli spazi desertici dell’Arabia fino al Mediterraneo. L’incenso si
forma in gocce bianche su un
arbusto (Boswelia sacra)
che cresce nell’Hadramaut fino a Zafar nello Yemen.
L’incenso viene
inizialmente riunito davanti al grande tempio di Shabwa, capitale dell’Hadramaut
e da lì le carovane muovono verso Main, lungo il Mar Rosso. Una
delle prime tappe è
costituita da Timna, capitale del regno di Qataban (sempre nello Yemen).
I convogli passano in
seguito per Marib dove la pista prende decisamente la direzione del nord, verso
Najran.
A Main divergono due
strade.
Una si dirige verso
Gerrha, un porto sul Golfo Persico, per alimentare i mercati mesopotamici ed
iraniani. L’altra conduce verso Gaza, sul Mediterraneo, via Yatrib (oggi Medina)
e Petra, in Giordania.
Fra Timna e Gaza ci sono 65 tappe, ci ricorda
Plinio, ed ogni tappa è punteggiata da suo lotto di tasse, di diritti di
passaggio ed altre imposte. Quanto basta per appesantire il prezzo della
preziosa resina. A Gaza le carovane vendono, a prezzo d’oro, l’incenso, la
mirra, le pietre preziose e delle piante aromatiche che vengono trasformate in
unguenti, in cosmetica oppure in profumi, un seguito di operazioni che generano
ulteriori importanti profitti, prima ancora di aver intrapreso il cammino per i
paesi del Mediterraneo occidentale.
A Roma, l’incenso viene
rivenduto, all’epoca di Nerone, a cento volte il prezzo di costo !
Non esiste una “nazione
araba” anche se certi dei o deesse vengono riconosciuti ed adorati dappertutto e
se, in caso di pericolo, gli Arabi si uniscono per farvi fronte.
Non esiste altresì una
società araba omogenea dall’Eufrate al Mar Rosso ed al Mediterraneo: fra un
mercante di Gaza ed un pastore della TransGirodania, gli elementi di diversità
superano largamente le affinità e le caratteristiche comuni.
Con la scomparsa
dell’impero assiro (587 a.C.), poi, più tardi, la rovina dell’impero achemenide
(330 a.C.), la conquista del Vicino Oriente da parte di
Alessandro il Macedone
apporta una vera frattura.
Il greco diventa la
lingua ufficiale del potere e del commercio, e la cultura greca si impone in
tutto il Vicino Oriente.
L’intrusione dei Macedoni comporta profondi cambiamenti politici nel mondo
arabo.
Se ai suoi inizi
l’impero mussulmano è di cultura greco araba, nell’8° secolo esso si arabizza
allorché la lingua ufficiale diventa l’arabo.
I soggetti del Califfo
diventano Arabi, proprio perché parlano arabo. Ebrei, cristiani e mussulmani
sono Arabi.
Di cultura araba, essi
vivono sotto il dominio dei conquistatori mussulmani, che sono Arabi in senso
etnico del termine.
La vittoria degli
Abbassidi, nel 9° secolo, segna l’accessione ai differenti gradi del potere da
parte di nuovi gruppi sociali e nazionali non arabi: Persiani e Turchi.
Gli Arabi di oggi
formano un popolo caratterizzato dalla lingua: l’arabo.
Questa popolazione che
occupa, almeno da dopo la 2^ metà del primo millennio a.C., la penisola arabica,
si è installata nei paesi limitrofi a nord. Poi a partire dalla conquista
mussulmana del 7° secolo, questa espansione ha comportato l’arabizzazione e
l’islamizzazione delle popolazioni, dai contrafforti dei Monti Zagros, in Persia,
fino all’Atlante marocchino sull’Atlantico.
I 190 milioni (stimati)
di Arabi presenti nel mondo di oggi non formano una razza,
essi condividono
delle caratteristiche etnografiche e sociologiche con altre etnie. La loro
coscienza unitaria risale al periodo contemporaneo, acquisita su delle basi
culturali e non religiose. Se un Arabo può essere mussulmano, succede che può
essere cristiano o anche ebreo. Inutile a questo punto di far diventare etnici
dei fatti culturali, come lo stanno facendo i fondamentalisti mussulmani, ebrei
e cristiani.
La
cultura e teologia classica islamica dunque si è formata in Arabia (alla Mecca e
a Medina) nel VII secolo, poi (VIII/XIIII secolo) si è trasferita in Siria (a
Bosra e Damasco), in Egitto (al Cairo) e in Iraq (a Baghdad e Bassora).
Verso la fine del XIII
secolo ha conosciuto la decadenza e verso la fine del Settecento, con la
spedizione di Napoleone Bonaparte in Egitto (1798), ha conosciuto l’irruzione
della modernità illuministica europea. Infatti se da una parte Napoleone
inaugura in Europa e soprattutto in Francia la “questione orientale”, dall’altra
parte i musulmani scoprono la cultura europea moderna ed illuministica.
Dopo
il crollo dell’impero ottomano (1917) e lo spezzettamento del mondo arabo in
colonie anglo/francesi, verso la prima metà del Novecento si è assistito ad una
rinascita (“nahda”) del mondo arabo sotto forma di nazionalismo sociale anche
per reazione all’innesto forzato dello Stato d’Israele nel 1948 in Palestina. Ma
con il crollo dell’Urss (1990) si è andata formando un’ideologia radicale
islamista, antinazionalista e antiaraba, finanziata dagli Usa e da Israele, che
dal 2003 in Iraq e dal 2011 con le “primavere arabe” sta espandendo nella
penisola arabica un nuovo mondialismo medio-orientale.
In un primo momento nel mondo islamico è prevalso un certo fascino nei confronti
della modernità, mentre il rigetto e la lotta anche violenta saranno successivi.
L’Egitto è il primo
Paese islamico ad inviare in Francia una equipe di 40 studiosi (1826-31) ad
imparare le scienze esatte, la tecnica e la letteratura per poterle applicare
all’avanzamento socio-politico dell’Egitto, senza voler rinunziare alle proprie
tradizioni, alla propria cultura e religione.
L’imàm del gruppo di studiosi egiziani sbarcati in Francia si chiama
Rifà ‘a Rasì al-Tahtawì
(1801-1873) ed è lui il caposcuola di questo spirito di apertura dell’islam
egiziano alla modernità illuministica francese in vista dell’emancipazione
sociale ed economica della propria Nazione.
Tuttavia l’emancipazione sociale del mondo musulmano era vista sempre alla luce
del rinnovamento e della rinascita dell’islam e non in contrapposizione ad esso.
Quindi lo studio della scienza e della tecnica europee avrebbero dovuto essere
fatte in sintonia con un ritorno alle fonti e alle origini dell’islam, che nei
secoli XI e XII ha dato notevoli frutti di ricchezza culturale, letteraria,
filosofica teologica e scientifica, ed avrebbe dovuto essere impiegata dalle
Nazioni arabe per risolvere i problemi politici e sociali nei quali versavano
nel XIX secolo.
La
distruzione di Baghdad nel 1258 ad opera dei Mongoli ha segnato la fine della
cultura araba, che nel Mille e Millecento ha conosciuto il suo periodo d’oro
(con pensatori e capi spirituali o “imàm” profondi supportati da Stati forti e
centralizzati) e dopo il 1258 è decaduta da cultura cosmopolita a religiosità
popolare, rurale e regionale tenuta viva dalle confraternite (“turuq”), che
hanno diviso interiormente il mondo arabo, ulteriormente spezzettato
geopoliticamente dopo la caduta dell’impero ottomano (1917) dall’Inghilterra e
dalla Francia.
Però l’introduzione
tardiva della modernità filosofica soggettivista, relativista e razionalista nei
Paesi islamici, non conciliabile con la loro tradizione religiosa, generò un
turbamento traumatico nelle popolazioni del vicino e medio oriente, anche a
causa del colonialismo anglo-francese, il quale non è stato accettato dal mondo
arabo perché più propenso a sfruttare economicamente che a civilizzare e ad
evangelizzare.
Padre Charles de Foucauld (1858-1916), missionario in Algeria e Marocco, aveva
spiegato bene alle autorità francesi il pericolo di un colonialismo
principalmente materiale e sfruttatore non apportatore di cultura e Vangelo,
incapace di conquistare le menti e le volontà degli arabi: «Occorre che
l’annessione geografica e materiale sia seguita da quella spirituale»
Gli arabi sono immuni
dal razionalismo illuministico e sono tuttora profondamente ordinati al
Trascendente, perciò disprezzano l’ateismo e l’agnosticismo. Purtroppo l’Europa
moderna ha portato nel mondo arabo la cultura illuminista, agnostica, lo
sviluppo tecnologico e non è stata accettata dagli arabi, anzi è stata pian
piano odiata e non del tutto ingiustamente.
Di fronte all’intrusione improvvisa della modernità illuministica europea nel
mondo arabo del XIX secolo, molti si comportarono come “pappagalli”, che
scimmiottavano il liberalismo napoleonico, senza cercare di capirne il
significato, senza distinguere ciò che era conforme alla verità e ciò che non lo
era, come è successo in Europa dopo il 1945 nei confronti della moda americana.
Tutto ciò ha portato alla nascita del wahabismo, del salafismo, della
Fratellanza musulmana e del radicalismo ideologizzato e politicizzato della
cultura araba e della religiosità di un certo islam fondamentalista che è
entrato in conflitto sia con il sunnismo e lo sciismo tradizionali sia con il
nazionalismo sociale del baathismo siriano e irakeno, sia con il nasserismo
egiziano del XIX-XX secolo.
Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento gli intellettuali arabi
studiano il pensiero moderno europeo alla luce della rinascita (“nahda”)
islamica e si forma una visione politica nazionale e panaraba comprensiva delle
varie entità musulmane, che prevale sulla componente strettamente religiosa
islamica senza rinnegarla, ma partire dagli anni Cinquanta del Novecento questa
visione panaraba sarà combattuta dal pensiero o meglio dall’ideologia
rivoluzionaria politica (“thawra”).
Il pensiero sociale panarabo, prevalentemente politico senza essere areligioso,
paragonabile al ghibellinismo o al fascismo italiano ed europeo e quindi diverso
sia dal marxismo ateo e materialista sia dell’integrismo religioso, ha cercato
di amalgamare tutti i musulmani in una riunione di Stati autoritari e
nazionalisti arabi di ispirazione islamica, ma non religiosamente integralisti,
per riportare il mondo e la cultura araba ad un alto livello, già toccato
nell’XI-XII secolo.
Questa corrente
panarabista ha avuto due pensatori fondamentali: al-Afghanì (1839-1897) e ‘Abduh
(1849-1905), i quali guardavano all’islam come cemento della riunificazione e
della rinascita (“nahda”) culturale e politica del mondo arabo, in cui
l’elemento politico e nazionale arabo ha il primato su quello strettamente
religioso islamico.
Il nazionalismo sociale arabo era persino tollerante nei confronti dei cristiani
che erano accetti nella edificazione della cultura dello Stato arabo. Si vedano
la Siria, l’Iraq, la Tunisia, la Libia e l’Egitto. La Nazione e lo Stato arabo è
visto anche come strumento di emancipazione dal dispotismo turco-ottomano.
Tuttavia questa corrente di pensiero è stata avversata da pensatori o ideologi
islamisti radicali (“thawra”, rivoluzione) e fondamentalisti religiosi, che a
partire dal salafismo di Rashid Ridà (1865-1935), all’inizio “moderatamente
aperto alla modernità”, ma sempre nell’ottica di un ritorno alle fonti, ossia
alla purezza originaria dell’età d’oro dell’islam, poi sempre più estremista con
al-Razìq, che rifiuta addirittura tutte le innovazioni sopraggiunte nell’epoca
posteriore all’islam originario dei primi pii antichi (“salafiyyìn”) maomettani,
con la ‘Fratellanza musulmana’ di al-Bannà (1906-1949), hanno polemizzato con il
nazionalismo arabo e dato nascita alla rivoluzione (“thawra”) qaedista e
jihadista e alla lotta attuale contro i regimi nazionalistici panarabi o
musulmani laici in Iraq, Egitto, Libia, Tunisia e Siria.
Perciò si scontrano, a partire dal XIX secolo, tre tipi di islamismo: il primo
delle confraternite (“qutub”), che hanno frammentato le nazioni ed hanno
provocato la decadenza della cultura araba rurarizzandola; il secondo del
nazionalismo
laico-patriottico d’ispirazione religiosa islamica (“partito
social-nazionalista Baath”), ma non integralista, ed infine il terzo
fondamentalista e jihadista, che lotta ad intra contro i regimi nazionalistici
panarabi, ma nello stesso tempo è foraggiato ad extra dagli Usa, dall’Arabia
saudita e da Israele, pur dicendo di rifiutarli.
L’idea dello Stato-Nazione è vista dal nazionalismo panarabo in termini di
liberazione dal giogo schiavista turco-ottomano e coloniale-illuminista
franco-britannico ed è stata elaborata da intellettuali arabi, sia musulmani che
cristiani. È proprio questo che il fondamentalismo wahabita e salafita non
accetta e combatte con ferocia oggi in Siria e ieri in Iraq (1990, 2003), Libia,
Tunisia (2011) ed Egitto (già a partire da al-Sadat ucciso dagli integralisti
nel 1981) e vuol rimpiazzare il concetto di patria (“biladì”) e di “tradizione
laica arabo/islamica” (“turàth”) con quello di rivoluzione armata (“thawra”).
Muslim-world
Il nazionalismo panarabo è laico e non laicista, né integralista, ossia ha
cercato di costruire lo Stato come condizione per la rinascita (“nahda”) della
cultura araba, servendosi della religione islamica quale principale fattore
aggregante delle diverse nazioni arabe e del singolo Stato non rifiutando
l’apporto secondario dei cristiani, ma senza arrivare a forme di islamismo
radicale e fondamentalista, che vuol imporre soprattutto l’islam in tutto il
mondo con la spada ed instaurare una sharia mondiale.
Il conflitto in Siria è stato combattuto per tre anni.
Quanto alla base o alla
manovalanza, soprattutto tra l’islamismo radicalmente e integralmente religioso
(il wahabismo qaedista) contro la concezione laica, nazionalistica e politica
dello Stato arabo d’ispirazione islamica (il regime di Bashar al-Assad), che si
fonda sul trinomio “Stato, Partito, Nazione”, il quale è ritenuto blasfemo e
idolatrico dall’integralismo religioso islamista poiché tenderebbe a divinizzare
la nazione, il partito e la patria, mentre solo Allah e il Corano son divini per
il wahabismo, il quale, tuttavia, divenendo un’ideologia militare e
politicizzata è stato definito “un islam senza Dio”, che viene rimpiazzato dalla
rivoluzione armata (“thawra”) islamica, la quale ha preso il posto di quella
sovietica dopo il crollo dell’Urss nel 1989.
Per sintetizzare e semplificare, senza distorcere, si può dire che l’islamismo
fondamentalista o integralista rende la religione islamica un’ideologia
rivoluzionaria (“thawra”) antinazionalista, paradossalmente mondialista e
“antiaraba”, che contesta lo Stato arabo/islamico per instaurare la sharia o
legge coranica universale e globale. È per questo che il mondialismo o la
globalizzazione del Nuovo Ordine Mondiale giudaico-americanista va d’accordo con
il wahabismo e lo finanzia dall’alto, senza che la bassa manovalanza dei ribelli
armati lo sappia, nella lotta attuale contro la Siria, come nel 1981 arrivò
all’assassinio di al-Sadat in Egitto, nel 2005 a quello di Saddam in Iraq e nel
2011 a quello di Gheddafi in Libia.
L’islam attuale e religiosamente radicale non si fonda più sui teologi (“ulama”,
in farsi “ayathollàh”), i quali hanno avuto in Egitto eccellenti università e
scuole di pensiero filosofico/teologico, ma sull’ideologo militante e
contestatore, il quale è l’inquisitore dello Stato/Nazione /Patria
arabo-musulmana non ritenuto più elemento di coesione, ma idolo che va abbattuto
in nome della sharia e del puro islam, che si fonda solo su Allah e il Corano.
Ecco perché lo Stato
siriano è combattuto dalla contestazione religiosa radicale islamica, che non
implica tanto un discorso di fede, ortodossia o teologia quanto un’orto-prassi
ideologico-rivoluzionaria simile a quella farisaico/talmudica, la quale ha come
maestri principali due ideologi: il pakistano al-Mawdudì (1903-1979) e
l’egiziano Qutb (1906-1966).
Vi è pure una certa somiglianza dell’islamismo ideologia radicale con il
collettivismo marxista in quanto il primato della contestazione islamica,
secondo Mawdudì, deve portare alla rinunzia dell’individualità poiché il singolo
individuo è completamente assorbito nella rivoluzione islamica e scompare, come
deve scomparire lo Stato arabo anche se d’ispirazione musulmana poiché la
Nazione sarebbe un freno e un ostacolo alla rivoluzione totale e permanente
islamica, che in ciò è tributaria del trozkismo come lo è il neoconservatorismo
americano.
Occorre pertanto, secondo Mawdudì e i “muftì” o dottori della legge del
wahabismo saudita, esportare dal Pakistan la sharia islamica in tutto il globo e
non arrestarsi in una Nazione e neppure alla penisola arabica. Infatti sono
stati proprio il Pakistan, l’Afghanistan e l’Arabia saudita ad inviare i ribelli
combattenti in Siria e a rifornirli di armi assieme agli Usa e ad Israele.
Lo Stato, secondo l’ideologia islamista radicale, può essere utilizzato per un
certo tempo al fine di esportare la rivoluzione islamica nel mondo intero perché
esso è solo un momento storico della rivoluzione islamica permanente e totale,
come vuole il trozkismo per la rivoluzione comunista.
Come si vede il wahabismo contiene due facce apparentemente contraddittorie:
1°) l’eversione politica
rivoluzionaria armata antinazionalista e mondialista e
2°) un forte
conservatorismo religioso di stampo farisaico/calvinista, proprio come il
neoconservatorismo americano.
Plutocrazia democratica
angloamericana, giudaismo farisaico, calvinismo massonico liberista neocon,
bolscevismo – specialmente trozkista – e islamismo radicale sono le diverse
sfaccettature del medesimo prisma o i tentacoli di un’unica piovra, che San
Giovanni chiama la “sinagoga di satana” (Apoc., II, 9). Il mondialismo oggi
aggredisce il globo da ovest (patto atlantico) e da est (qaedismo jihadista),
avendo l’islamismo ideologico rimpiazzato il bolscevismo sovietico crollato nel
1990.
Filoramo spiega molto
bene che “sarebbe un errore analizzare l’islam politico rivoluzionario come un
ripetitore della tradizione, perché la tradizione non esiste più”. Mawdudì ha
ideologizzato e rivoluzionato la “teologia” islamica, separandola dalla
tradizione e rendendola “un islam millenarista senza Dio” come lo era il
comunismo; a quest’ideologia islamistica si richiamano tutti i movimenti
musulmani radicali dell’islam contemporaneo.
La lotta rivoluzionaria propugnata da Mawdudì si realizza nella jihad, la quale
più che guerra “santa” è diventata una guerra “rivoluzionaria”: essa combatte,
in maniera quasi anarchica, tutte le forme di sottomissione al potere umano,
alla Nazione tranne che ad Allah e tende alla instaurazione del regno di Allah
su tutto il globo mediante la sharia. Mawdudì è il teorico della globalizzazione
o del mondialismo islamico come “islamizzazione integrale della società e
progetto totalizzante, il quale va accettato o rifiutato per intero”.
Il nazionalismo panarabo
è visto dal fondamentalismo islamico come la decomposizione della sharia
musulmana universale e totale, che viene presentata dagli ideologi jihadisti
come una “fratellanza universale”. Lo Stato è solo un mezzo temporaneo per
giungere al fine, che è la sottomissione del mondo intero all’islam mediante la
jihad, che si basa soltanto sul Corano, la Sunna e Maometto, profeta di Allah.
La sharia è tutto, è il fine e presuppone che la società sia totalmente
islamizzata. Sayyid Qutb († 1966) radicalizza ancor di più l’ideologia di
Mawdudì († 1979) e di al-Bannà († 1949) e promuove la distruzione dell’islam
laico nazionalista, sorto dal crollo dell’impero ottomano, per rimpiazzarlo con
“la guida del genere umano da parte dell’islam radicale”.
Il nazionalismo arabo anche se d’ispirazione musulmana, ma non integralista è il
fattore scatenante del radicalismo islamico wahabita jihadista, che lotta
innanzitutto contro il nemico interno al mondo arabo (il nazionalismo baathista)
e solo dopo contro l’occidente, dal quale tuttavia viene finanziato e si
impelaga in “una jihad mondiale e permanente, fondata su una comunità di
guerrieri in permanenza”. Gli “autori” ed attori principali dell’islam radicale
contemporaneo non sono più gli studiosi o i teologi, ma gli imam ululanti e i
militanti ideologizzati di un islam guerriero e volto
1° alla delegittimazione
cruenta degli Stati nazionalisti arabi e
2° alla lotta puramente
verbale e teorica contro l’occidente
L’effetto paradosso dell’islam radicale è proprio questo: mentre dice in teoria
di rifiutare l’occidente dal quale è foraggiato, in pratica si fa vettore di ciò
che asserisce di rifiutare,
1°) l’occidente e
specialmente gli Usa hanno finanziato e armato i jihadisti,
2°) hanno reso,
inavvertitamente, l’islam una pura prassi ideologica politica rivoluzionaria,
3°) spingono verso la
mondializzazione e globalizzazione in quanto la destabilizzazione dei regimi e
degli Stati autoritari arabi, laici ma non atei, favorisce la ricostruzione di
una comunità che, volente o nolente, s’incammina verso la globalizzazione del
Nuovo Ordine Mondiale.
Se gli Usa tramite la jihad islamista radicale riuscirà ad abbattere anche i
regimi della Siria, del Libano e dell’Iran dovrà poi confrontarsi con
l’iper-terrorismo islamista radicale, il quale si presenta come il Nuovo Ordine
Mondiale dell’est, che ha rimpiazzato l’Urss. Ma essendo i militanti terroristi
comandati dai Saud pronti, come i sadducei, a venire a patti con l’occidente,
gli Usa pensano di non dover soffrire troppo da costoro. Tuttavia resta
l’ostacolo della Russia di Putin e l’enigma cinese, ammesso e non concesso che
Siria, Libano e Iran siano vinti.
Come
al-Ghazalì nel XII secolo tarpò le ali alla cultura araba e i Tartari nel
1256/58, con l’invasione della Persia e la distruzione di Baghdad, compirono
l’opera di arretramento della speculazione araba, così oggi i wahabiti e i
jihadisti cercano di rigettare il mondo arabo, che aveva conosciuto una certa
ripresa nella prima metà del Novecento, grazie ai regimi nazionalistici e
sociali (Iraq, Egitto, Libia, Tunisia e Siria), nel caos dal quale dovrebbe
uscire l’ordine massonico del mondialismo ebraico-americanista (“ordo a caos”).
Per cui, quando si parla di vicino/medio oriente, di mondo arabo e di islam,
occorre distinguere tra
1°) la religione
musulmana originaria, che nega la divinità di Cristo e la Trinità
2°) questa non è la
“barbarie”, ossia il “beduinismo” rozzo e ignorante o il “jihadismo” feroce e
militante, ha avuto notevoli pensatori e scuole di pensiero letterario,
scientifico, filosofico e teologico;
3°) inoltre vi è un
islam nazionalista, sociale, moderno e contemporaneo, che non è solo “scimitarra
conquistatrice”, ma è moderatamente “tollerante” verso le altre culture e
religioni, specialmente il Cristianesimo; questo tipo d’islam è sorto anche come
reazione allo spezzettamento voluto dall’Inghilterra e dalla Francia della
penisola arabica (dopo il crollo dell’impero ottomano) a favore del colonialismo
prevalentemente affaristico/materialistico anglo/francese e del sionismo, cui
nel 1917 la GB promise una “casa nazionale” in Palestina e al quale fu concesso
uno Stato nel 1948 da Stalin e dagli Usa, che ha svolto una vera e propria
“pulizia etnica” nei confronti degli “arabi” o non-ebrei ed è l’origine della
rivolta del mondo arabo anche “laico” contro il mondo atlantico/sionista.
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