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nasce nel 62a.C.
a Roma.
Figlio di Gaio Ottavio e di Azia, che era nipote di Cesare, cambiò il
nome paterno in quello di Ottaviano dopo
che fu adottato dallo stesso Cesare (45 a. C.).
Da
Apollo
nia,
in Grecia, dove sostava dedito agli studi in attesa di partire con una grande
spedizione preparata contro i Parti, accorse a Roma all'annuncio dell'uccisione
di Cesare, per vendicarlo e raccoglierne come figlio l'eredità.
Aveva appena
diciannove anni, ma con ferma determinazione, destreggiandosi abilmente tra
Marco Antonio, che sarebbe diventato suo antagonista per oltre dieci anni e il
Senato, incoraggiato da Cicerone, sorretto dal popolo (in favore del quale, con
mezzi suoi, aveva dato pronta esecuzione ai legati testamentari disposti da
Cesare), reclutò forze militari proprie, imponendosi rapidamente come
protagonista nella nuova grande lotta che si stava delineando in Roma per il
primato politico.
Ma anche il Senato conduceva, in difesa dell'oligarchia
repubblicana, un suo gioco sottile; quando Ottaviano se ne rese conto, si
accordò nel 43, anno in cui fu console, con Antonio e con Lepido, costituendo
insieme con essi un triunvirato, cui seguirono spietate uccisioni dei nemici
personali.
La
confisca dei beni degli uccisi procurò ai triunviri i mezzi per sistemare, con
distribuzioni di terre, i veterani di Cesare e arruolare forze militari,
richieste dalla lotta da condurre a fondo contro i partigiani di Bruto e Cassio,
intanto rifugiatisi in Grecia.
Dopo
la comune vittoria di Filippi (42 a. C.), la rivalità tra Ottaviano e Antonio
tornò a riaffiorare con scontri in Italia, specialmente nel 40 a. C. a Perugia,
tra i sostenitori dell'uno e dell'altro.
Nello stesso anno, a Brindisi, un nuovo
accordo venne però concluso tra i triunviri: a Ottaviano toccò l'Occidente
romano, ad Antonio – che sposò Ottavia, sorella di Augusto – le province greco-orientali, mentre Lepido si accontentava di un ruolo secondario in Africa.
Ma dopo qualche anno di collaborazione, peraltro con effetti positivi nella
lotta condotta contro Sesto Pompeo che ostacolava la navigazione sui mari, nuovi
contrasti si accesero tra Ottaviano e Antonio: il primo impersonava ormai la
tradizi
one
romana, il secondo quella greco-orientale.
Dalla battaglia di Azio, nel 31 a.
C., uscì vittorioso Ottaviano e con la vittoria Augusto instaurò il suo
definitivo primato in tutto l'Impero romano.
Preso l'imperium militiae e il titolo di Augusto nel 27 a.C. iniziò il
riordinamento e l'assetto dell'Impero.
Preoccupato di assicurare la pace all'interno e di dare confini più sicuri allo
Stato, dovette affrontare varie guerre e
sollevazioni in Egitto e nella Spagna.
Lunga, ma relativamente facile fu la
conquista del confine alpino in Italia: nel 24 a.C. le tribù dei Salassi nella valle della Dora Baltea furono domate e vi fu
dedotta la colonia militare di Augusta Pretoria(Aosta).
Nel 16 a. C. fu ridotto a provincia il Norico; l'anno dopo ebbero la
stessa sorte la Rezia e la Vindelicia; nel 14 fu
la volta della regione delle Alpi Marittime.
Maggiori difficoltà presentò la conquista del confine sul medio e basso Danubio,
dove solo nell'8 a. C. la Pannonia potè
essere sottomessa.
Nel 6 a. C. Tiberio cominciò la conquista della Boemia, così
detta dai galli Boi che l'avevano
occupata; ma l'impresa fu interrotta da una ribellione della Pannonia, che fu
risottomessa solo dopo tre anni e ridotta a
provincia romana.
Ad oriente di
questa divenne provincia anche la Mesia.
Oltre la linea del Reno i Germani continuavano nei loro tentativi di varcare il
fiume con sconfinamenti e aggressioni a
mercanti romani: Augusto alla fine decise una serie di azioni per porre termine
a queste incursioni.
Il confine del Reno
era troppo prossimo alle Gallie e troppo debole per una difesa effettiva:
bisognava perciò passare all'offensiva, obbligare
le tribù germaniche a fare atto di sottomissione e raggiungere il confine
dell'Elba.
Ne derivò una guerra lunga e
complessa che costò all'Impero gravissimi sacrifici di uomini e mezzi.
Druso diresse con perizia la prima fase della conquista, ma venne a morte
nell'anno 9 a. C. appena raggiunto l'Elba. Il
nuovo confine poteva dirsi acquisito, ma non era fortificato e Arminio, capo
della tribù dei Cherusci, riuscì ad attirare in
un agguato ne
lla selva di Teutoburgo Quintilio Varo, le cui legioni furono
distrutte (9 a. C.).
La gravità del disastro
indusse forse Augusto a rinunziare alla rivincita e al proposito di estendere
oltre il Reno il confine dello Stato romano,
lasciando così incontrollate le tribù dell'Europa centrale.
In oriente Augusto evitò la guerra contro i Parti ottenendone, per via
diplomatica, la sottomissione, mentre il regno
vassallo della Galazia fu trasformato in provincia romana, ampliata poi con i
territori del Ponto.
Nella Palestina fu favorita
dapprima la formazione di un forte stato vassallo sotto Erode, un idumeo
convertito al giudaismo; alla sua morte, nel 4
a. C., lo stato fu diviso in tre parti e nel 6 d. C. anche la Giudea divenne
provincia romana.
Ottaviano, celebrato il trionfo nel 29 e
onorato nel 27 a. C. col titolo augurale di Augusto, aveva ora davanti a
sé il compito grandioso di ordinare e riorganizzare, sul piano politico,
amministrativo, militare, religioso, gli immensi territori dell'impero.
Da uomo positivo e prudente qual'era,
avendo imparato dalla lezione delle idi di marzo che gli uomini restano
a lungo fedeli alle forme anche quando la realtà che sta dietro è
mutata, rispettò del tutto le vecchie istituzioni, rinnovandole però
nelle funzioni: creò così le condizioni per quella coesistenza tra i
poteri del capo unico, principe, riunente in sé le prerogative delle
antiche magistrature repubblicane, e i poteri del Senato e degli altri
magistrati, che avrebbero fatto da cardini al nuovo regime del
principato, destinato a durare tre secoli.
Lo stesso Ottaviano, ormai Augusto, ha
definito nelle Res gestae l'essenza del nuovo regime: “in
autorità, vi si legge, cioè in prestigio (e in concreto vuol dire
potenza) superò tutti i magistrati, ma li pareggiò in potestà” (cioè nel
potere specifico de
lle
cariche). Su tale sottigliezza legale si appoggiò il suo principato che
fu repubblica in apparenza, ma monarchia di fatto.
Illustrano bene la
posizione assunta da Augusto nello Stato le misure e gli atteggiamenti
presi nei quasi cinque decenni in cui esercitò il primato. Dopo che nel
40 a. C. aveva ricevuto il titolo di imperator, col comando di
coorti pretoriane a difesa della sua persona, e nel 36 a. C. la
sacrosanctitas, cioè l'inviolabilità propria dei tribuni della
plebe, dal 31 al 23 a. C., di seguito, e poi più volte ancora, rivestì
il consolato.
Il potere militare gli veniva dall'imperio proconsolare
permanente, cioè dal comando delle forze dislocate nelle province. Nel
29 a. C. gli fu conferita la dignità di princeps senatus; nel
27 a. C., come si è detto, il titolo di Augustus; nel 23 a. C.
la tribunicia potestas, cioè l'essenza del potere tribunizio
col diritto di veto che esso comportava; nel 12 a. C., alla morte di
Lepido, la carica di pontefice massimo; nel 2 a. C. il titolo di
pater patriae.
Vasta e molteplice fu l'attività che
egli svolse in ogni campo.
Sul piano amministrativo, circondato da
esperti consiglieri, tra i quali i fedelissimi Agrippa e Mecenate:
rafforzò il Senato,
valorizzò l'ordine equestre reclutandovi gli alti
funzionari dell'amministrazione (prefetti del pretorio, dei vigili,
dell'annona, procuratori, ecc.);
riorganizzò le finanze, creando,
accanto all'aerarium statale, una sua cassa personale, il
fiscus;
istituì 9 coorti pretorie,
ingrandì l'esercito portando a
25 le legioni di 6000 uomini, che schierò a difesa dei confini;
creò
giurie permanenti per i tribunali;
stimolò le attività economiche
costruendo strade, creando il cursus publicus (servizio
postale);
istituì il censo provinciale;
riformò i costumi rafforzando
l'istituto familiare;
ripristinò templi e riti;
abbellì di nuovi
splendidi edifici Roma;
favorì la cultura e le arti;
protesse i poeti,
che lo glorificarono come colui che aveva riportato la pace nel mondo
dopo i tempi duri delle guerre civili.
Ebbe tre mogli, Clodia, Scribonia,
e, dal 38 a. C., Livia.
I suoi ultimi anni furono rattristati dalla
sconfitta di Varo in Germania e da scandali e dolorose vicende familiari
(quanto era stato duro e crudele con i nemici nella lotta per il
primato, tanto fu poi aperto ai moti degli affetti con i familiari e gli
amici).
Augusto non ebbe discendenti diretti maschi e gli premorirono gli amici più
cari, tra cui Agrippa, che si era associato al
potere, e i nipoti prediletti.
Alla fine, dopo contrastate vicende, adottò nel 4 d. C. Tiberio Claudio, figlio
di primo letto della sua terza moglie Livia
Drusilla, e gli conferì la potestà tribunicia per un decennio; nel 13 d. C.
gliela rinnovò unendole l'imperium proconsulare:
Tiberio fu così il suo successore designato.
Nel 14 d. C. Augusto, che
continuava a governare il vasto impero
nonostante i suoi 76 anni, volle accompagnare Tiberio, mandato a riordinare l'illirico,
fino a Benevento. Al ritorno, colpito
da grave infermità, dovette fermarsi a Nola, dove spirò il 19 agosto. Scompariva
con lui una delle figure più complesse
della civiltà romana, alla quale diede un'impronta che doveva durare lungo
tempo.
Alla morte, il Senato gli decretò
l'apoteosi, rendendo alla sua persona, vissuta sempre in semplicità e
schiva di pompa, quel culto che, associato al culto della dea Roma, era
destinato a diventare un potente elemento di coesione per le varie parti
dell'impero.
Fu sepolto in Roma nel mausoleo omonimo.
Il titolo
onorifico che gli fu dato di Augusto, tratto dalla scienza augurale,
richiamava, nella pregnanza religiosa, l'idea dell'accrescimento e della
prosperità e come tale fu portato anche dai successori proprio per il
prestigio grande di cui la sua persona fu circondata in vita ed esaltata
dopo la morte.
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