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Claudi
TIBERIO (14-37)-
La storiografia moderna ha riabilitato la figura di Tiberio, denigrata dai
principali storici a lui contemporanei, mancando di quella comunicativa propria
del suo predecessore Augusto, ed essendo di indole torva, tenebrosa e
sospettosa. Questo suo riserbo, unitamente all'innata timidezza, certamente non
gli giovarono.
E così pure il costante disagio provato dal disinteresse
dimostrato da Augusto nei suoi confronti fino agli ultimi anni della sua vita,
gli diedero l'impressione di essere stato adottato solo quale ripiego.
Così
quando divenne Princeps, era ormai disincantato, inasprito e deluso.
A Tiberio si riconosce la grande abilità dimostrata in gioventù al servizio
di Augusto: dimostrò di possedere una grande intelligenza politica nella
risoluzione di molti conflitti, e riuscì ad ottenere numerosi successi in campo
militare con notevole abilità strategica.
Allo stesso
modo, si riconosce la validità delle scelte che prese nei primi anni del suo
impero, fino al momento del ritiro a Capri e della successiva morte di Seiano.
Tiberio seppe evitare di impegnare le forze romane in guerre dall'esito incerto
oltre i confini, ma riuscì ugualmente a creare un sistema di stati vassalli che
garantissero la sicurezza del limes da pressioni esterne.
In politica economica,
seppe attuare una saggia politica di contenimento delle spese che portò al
risanamento del deficit dello stato senza che si rendesse necessaria
l'imposizione di nuove tasse ai provinciali. Egli diede, pertanto, prova di
essere anche un abile amministratore con indubbie capacità organizzative,
aderendo perfettamente ed in modo quasi maniacale alla politica del suo
predecessore. Il suo dramma fu quello di essere stato trascinato a ricoprire un
ruolo a lui inadatto, per quel suo innato senso del dovere, in una situazione
che probabilmente non aveva cercato e che, al contrario, esigeva doti differenti
dalle sue. La sua tragedia fu quella di essersene reso conto ormai troppo tardi.
Più controversa resta l'analisi del comportamento di Tiberio durante il lungo
ritiro a Capri, e non esiste ancora al riguardo una linea universalmente
condivisa: le notizie riportate da Tacito e Svetonio appaiono generalmente come
distorte, o comunque non corrispondenti alla realtà. Resta possibile che
l'imperatore abbia dato sfogo ai suoi vizi durante la permanenza sull'isola, ma
è tuttavia improbabile che, dopo essersi a lungo distinto per il comportamento
morigerato, si sia poi abbandonato agli eccessi descritti dagli storici.
C'è accordo nel ritenere che la demonizzazione di Tiberio, la cui figura
acquisisce in Svetonio e Tacito una connotazione mostruosa tanto a livello
comportamentale quanto puramente fisico, sia determinata in primo luogo dalla
scarsa adesione alla realtà da parte dei due storici: l'uno, Svetonio, mosso
dalla volontà di raccontare ogni dettaglio scabroso, l'altro, Tacito, dal
rimpianto del sistema repubblicano.
Non c'era nessuno nella famiglia Giulia in grado di succedergli. Tiberio
giocò un gioco astuto rifiutando di designare chiunque. Il problema che aveva
tormentato Augusto tornava di attualità: come scegliere un imperatore per Roma?
La scelta di Tiberio cadde, alla fine, su un nipote, un giovane ben voluto nei
circoli romani. Quando Tiberio morì, Caligola fu scelto come suo successore.
CALIGOLA (37-41)
-
Caligola era il figlio dell'assassinato Germanico. Poiché l'opposizione a
Tiberio ruotava attorno ad Agrippina, il figlio di lei divenne immediatamente
popolare. Egli era anche benvoluto dall'esercito. Caligola aveva viaggiato con suo
padre nelle campagne militari del nord e amava andare in giro per il campo
indossando le calzature di suo padre, da cui ricavò il soprannome di Caligola.
Era conosciuto come un giovane amabile, spiritoso, intelligente. In seguito
alcuni storici confermarono alcune sinistre dicerie che riguardavano perfino i
suoi anni giovanili, ma non esistono prove certe di ciò.
Egli iniziò bene.
Elevato al potere imperiale da Macrone, prefetto del pretorio, il senato non ebbe altra scelta
che accettarlo. Caligola fece in fretta ad acquisire l'amicizia di molti.
Abolì le tasse sulle vendite, richiamò in patria gli esiliati di Tiberio,
soppresse l'uso di pagare gli informatori. Organizzò splendidi giochi e
spettacoli, conquistando l'adorazione della plebe romana.
Non ci fu niente nei primi mesi che potesse far presagire cosa stava per
accadere.
Nel 38 ebbe una febbre che lo portò vicino alla morte per settimane.
Quando guarì era diventato un mostro.
Alcuni storici parlarono più tardi di suoi
atti di follia commessi prima della malattia, ma tenuti nascosti (per esempio
avrebbe avvelenato il padre all'età di dieci anni). Comunque i resoconti
pubblici non mostrano traccia di questa personalità prima del 38. Dopo la sua
malattia i suoi eccessi furono sicuramente pubblici.
Tirannia -
Caligola guarì e mostrò una nuova e terribile faccia. Cominciò a pagare
informatori e a incoraggiare la presentazione di prove di tradimento consentendo
le accuse più oltraggiose. Inoltre incoraggiò la sua deificazione, anche se mai
lo stabili direttamente.
Cominciò a esibire bizzarri comportamenti, molti dei quali calcolati per
dimostrare il suo disprezzo verso l'ordine costituito.
All'interno del palazzo stabilì stupide parole d'ordine tipo "baciami,
dolcezza". Queste parole d'ordine dovevano essere ripetute dalle guardie di
palazzo tra cui erano dei vecchi centurioni dai capelli bianchi i quali
svolgevano il servizio di guardia come una specie di onorato semipensionamento.
Creò un bordello usando le mogli dei senatori, quindi richiese la loro presenza.
Nominò il suo cavallo senatore romano completo di stalla d'oro e di vestiti
senatoriali. Lanciò il vecchio zio Claudio nel fiume nel mese di febbraio
perché, egli disse, voleva vedere se il vecchio sapeva nuotare.
Tutte queste cose potevano sembrare divertenti o bizzarre ma, allo stesso tempo, Caligola fece
giustiziare moltissime persone.
Svetonio e altri parlano di terribili atrocità.
Il peggiore dei suoi errori politici fu il suo rapporto con l'esercito.
Intraprese una politica estera eccentrica. Si alienò la Giudea senza alcuna
ragione. Autorizzò un attacco al territorio dei Germani che non serviva a
niente. Preparò una grande invasione della Britannia che annullò
inesplicabilmente all'ultimo minuto. Questi atteggiamenti gli allontanarono la
simpatia dell'esercito e quando si alienò la stessa guardia pretoriana i suoi
giorni furono contati.
Morte e successione -
A partire dall'anno 41 Caligola si fece troppi nemici, e quando la guardia
pretoriana infuriata per problemi di paga arretrata decise di ucciderlo, nessuno
denunciò la trama.
Egli fu ucciso dai pretoriani all'uscita dallo stadio dove
aveva assistito a uno spettacolo.
La guardia pretoriana non aveva ambiziosi
piani politici. Il loro scopo era di uccidere Caligola e saccheggiarne il
palazzo. Passando le ore essi cominciarono a realizzare le implicazioni
politiche della loro azione. Essi avevano assassinato tutti i membri della
famiglia di Caligola, così non c'era nessuno in nome del quale essere castigati.
E lentamente entrò nelle loro menti l'idea che senza imperatore non ci sarebbe stato
bisogno dei pretoriani.
Saccheggiando il palazzo imperiale i pretoriani trovarono un anziano uomo
nascosto dietro alcune tende. Era Claudio, zio di Caligola. Claudio era vecchio,
terrorizzato, e generalmente considerato una specie di idiota. I pretoriani lo
acclamarono come imperatore, forse seriamente, forse per burla. Ma quando essi
portarono in parata il vecchio uomo per le strade di Roma e il popolo cominciò
ad acclamarlo, ormai il dado era tratto: il povero vecchio zio Claudio, la
vergogna della famiglia, era ormai imperatore.
CLAUDIO I Tiberio Germanico (41-54) -
E' fratello di Germanico e all'assassinio del nipote ha 50 anni. Claudio si nasconde
per paura di essere ucciso come gli altri parenti di Caligola, invece
viene acclamato imperatore dai pretoriani (25 gennaio 41) che ricompensa con cinque anni di
soldo (circa 15.000 sesterzi ognuno) e che eleva a 9 coorti, poi a 12 coorti (47 d.C.). Inoltre pur lasciando il divieto di sposarsi a legionari e pretoriani,
concede loro il riconoscimento dei figli illegittimi che ottengono quindi la
cittadinanza romana.
Combatte molte guerre e allarga ulteriormente i confini dell'impero. Ricordiamo
in particolare l'inizio della conquista della Britannia fino al Tamigi.
Il governo è svolto da liberti ed è in realtà in mano alla moglie Messalina, che
Claudio ripudia e fa uccidere (48), sposa poi l'amante Agrippina Minore (figlia
di Gemanico) che è la prima donna a fondare una colonia (Colonia Agrippina,
l'attuale Colonia), ed è ingiustamente sospettata del suo assassinio (13 ottobre 54 d.C.).
Claudio lascia alcune sue opere storiche sugli Etruschi ed i Cartaginesi,
l'ampliamento del porto di Ostia e presso Roma i resti
dell'Aqua-Claudia; il più
grande acquedotto romano, con 15 chilometri di archi alti fino a 27 metri, più
le gallerie (39-52 d.C.). Tra le sue opere pubbliche ricordiamo ancora il
parziale prosciugamento del lago Fucino.
Claudio imperatore si distingue per uno stile di governo estremamente dimesso,
essendo il suo un principato privo o quasi di eventi politici appariscenti. A
ciò principalmente è dovuta la bassa stima che i suoi contemporanei tendono a
riservargli, oltre che la scarsa risonanza del suo regno presso i posteri.
Eppure, nonostante una tale 'invisibilità', la sua gestione dello stato sarà
molto oculata, e perfino astuta.
La politica che egli decide di seguire è fondata essenzialmente sui seguenti
assunti:
a) il rafforzamento della centralità politica della parte occidentale dell'Impero,
oltre che della sua identità culturale e politica;
b)
il mantenimento di un atteggiamento di rispetto formale nei confronti
dell'autorità senatoria (ciò anche attraverso la sua politica culturale,
decisamente filo-occidentale);
c) avvicinamento ai ceti possidenti occidentali, attraverso facilitazioni di
carattere economico e fiscale.
E' chiaro dunque, come la politica di Claudio sia praticamente opposta rispetto a quella del suo predecessore, Caligola.
Tuttavia, contemporaneamente, egli agisce anche al fine di aumentare i poteri
politici e istituzionali imperiali, a spese di quelli senatori e nobiliari.
Ciò avviene, tra l'altro, con l'accrescimento del numero delle milizie
dell'esercito pretorio e con la riduzione dei poteri politici e giudiziari del
Senato.
La sua strategia consiste - anziché nell'umiliare e indebolire l'aristocrazia
sul piano morale, politico e economico - nel favorirne lo sviluppo dal punto di
vista economico, valorizzando al tempo stesso le sue radici culturali
(mantenendo un atteggiamento fondamentalmente filo-occidentale), ma anche
sottraendole impercettibilmente alcuni degli antichi poteri politici al fine di
accrescere quelli del nascente apparato imperiale.
E' un modo per cercare di risolvere, almeno in parte e a favore del princeps e
dell'Impero, l'annoso conflitto tra gli antichi e radicati poteri nobiliari e
quelli dell'apparato imperiale, molto più vasti ma di origine decisamente più
recente.
Altre azioni sostenute da Claudio sono una spedizione in Britannia nel 42
(compimento di quella progettata e mai realizzata da Caligola) e la creazione di
alcune nuove province: Tracia, Giudea, Licia e Mauritania.
Claudio morì nel 54, improvvisamente, dopo aver mangiato un piatto di funghi
letali, della specie amanita phalloides. Non è difficile pensare che sia stato
avvelenato da Agrippina per mano di Lucusta, anche se era ormai sicura della
successione di Nerone.
Essa potrebbe aver desiderato vedere il figlio sul trono
mentre era ancora abbastanza giovane per seguire i suoi consigli e le sue
volontà.
NERONE
Tiberio Claudio (54-68) -
Figliastro di
Claudio che ne ha sposato la madre Agrippina e lo ha adottato
(50 d.C.) cambiandogli nome (si chiamava infatti Lucio Domizio). All'assassinio del patrigno, è acclamato, diciassettenne, imperatore dai
pretoriani.
Nerone fa uccidere il fratellastro Britannico, figlio di Claudio I (55 d.C.),
poi la madre Agrippina (59 d.C.), la moglie Ottavia (62) e la seconda moglie Poppea.
Cerca di guadagnare popolarità con grandi opere e spettacoli, ma ciò è causa di
notevole sperpero di denaro. Durante il suo governo mezza Roma è distrutta da un
incendio ( 64), e Nerone accusa i cristiani perseguitandoli sanguinosamente,
molti di essi sono sacrificati nel Circus Gaii et Neronis (costruito sul
Vaticano da Caligola e ritoccato da Nerone).
Questa persecuzione è limitata alla
città di Roma.
L'incendio permette la costruzione della sontuosa domus Aurea Neroniana, il più
grande e ricco monumento dell'epoca Giulio-Claudia: 300x30 metri più 55 ettari
di giardini con boschi, vasche di acque sulfuree ed un colosso alto 30 metri
raffigurante Nerone nei panni del dio Helios (dove poi sorgerà il Colosseo).
Durante il suo impero ricordiamo una lunga guerra contro i parti e una campagna
contro la Britannia ribellatasi a Roma sotto la guida della regina Baodicea e
vittoriosa contro la legione di Petilio Ceriale che si salva a stento. Quindi la
rivolta fu domata dall'arrivo di diverse legioni. I druidi dell'isola furono
sterminati e la regina Baodicea si suicidò.
Ricordiamo inoltre la ribellione degli Ebrei tra il 66 e il 70, che tante
sconfitte inferse ai Romani, ma che alla fine fu domata, momentaneamente, da
Tito Flavio Vespasiano.
Nel 66 il fedele Tigellino, prefetto del Pretorio, reprime nel sangue la
congiura di C. Calpurnio Pisone appoggiata da numerosi senatori ed equites.
Tra le vittime ci sono Seneca e C. Petronio, che invia a Nerone una lettera
satirica prima di suicidarsi. È nota anche Epicaris che dopo essere stata
torturata si strangola per non rivelare i nomi dei congiurati (65 a.C.).
Mentre Nerone ai giochi greci si fa assegnare 1.808 premi, contro di lui si
ribella il senatore gallico C. Giulio Indice, propretore della Gallia Lugdunense,
ma viene sconfitto a Vesontio (odierna Besançon) da L. Virgilio Rufo governatore
della Germania Superiore e si suicida.
Nel 69 Sulplicio Galba governatore dell'Hispania Terroconese insorge trovando
l'appoggio di M. Salvio Ottone governatore della Lusitania (ed ex-marito di
Poppea), L. Clodio Macro legato d'Africa, Alieno Cecina questore dell'Hispania
Betica e Nifidio Sabino prefetto del pretorio.
Nerone raccoglie raccoglie una certa quantità di uomini e tenta di resistere, ma
vistosi abbandonato dai pretoriani lascia Roma e si fa uccidere (69).
Sarà l'ultimo
sovrano della dinastia Giulio-Claudia.
FLAVI
Servio Sulplicio GALBA (68-69)
-
Legato di Spagna, è acclamato imperatore a 72 anni dai legionari, viene
riconosciuto dai pretoriani e solo dopo la morte di Nerone anche dai senatori.
Dà subito inizio a una serie di riforme che avranno breve respiro perché il suo
regno avrà breve durata.
Fu ben accolto dal
Senato e dal partito dell'ordine, ma non fu mai popolare presso l'esercito ed il
popolo. Incorreva, infatti, nell'odio dei pretoriani, per lo sprezzante rifiuto
di pagare quanto era stato loro promesso a suo nome, mentre aveva duramente
represso le rivolte presso le legioni armate da Nerone per combatterlo, d'altro
canto però non era neppure popolare presso la plebe per via del suo disprezzo
per l'apparire. Debole di salute, rimase completamente nelle mani dei suoi
favoriti; il console Tito Vinio, il prefetto del pretorio Cornelio Lacone e il
liberto Icelo.
Una sollevazione fra le legioni in
Germania, che chiedevano che il Senato scegliesse un altro imperatore, lo rese
cosciente della sua impopolarità e dello scontento generale. Per calmare la
tempesta, adottò come coadiutore e successore Lucio Calpurnio Pisone, uomo
comunque degno dell'onore.
La sua scelta fu saggia e patriottica; ma la
popolazione la vide come un segno di paura ed i pretoriani ne furono indignati
vedendo allontanarsi l'usuale donazione.
Otone, formalmente governatore della
Lusitania, ed uno dei più antichi sostenitori di Galba, indispettito per non
essere stato scelto al posto di Pisone, si unì ai pretoriani in agitazione e fu
da loro acclamato imperatore. Galba, alla fine si decise ad incontrare i ribelli
ma, come Svetonio racconta, era talmente debole che dovettero portarlo in
lettiga e, presso il Lago Curzio, la sua coorte di pretoriani disertò
lasciandolo solo nelle mani dei ribelli.
Fu colpito dalla Damnatio Memoriae su ordine del suo
successore Otone, ma poi fu riabilitato da Vespasiano.
Tacito giustamente afferma
che tutti lo avrebbero ritenuto degno dell'impero se non fosse mai stato
imperatore.
I pretoriani scontenti
del suo governo lo avevano ucciso il 15 Gennaio del 69.
Marco Salvio OTONE (69) 25 aprile 32 - 16 aprile 69 -
Otone, di antica
e nobile famiglia etrusca di Ferentium, era stato amico di Nerone al punto che
questi gli aveva dato in moglie la donna di cui si era invaghito, Poppea.
Però, al momento di reclamarla, Otone, ormai innamorato, si era tirato indietro.
Avendo disubbidito a Nerone ne perse i favori e il matrimonio fu annullato,
venendo relegato a governatore della remota provincia di Lusitania.
Quando Galba, governatore della Spagna Tarraconese, si ribellò a Nerone, Otone
lo accompagnò con le sue truppe, un po' per vendetta e un po' sperando nella
successione di Galba che non aveva figli. Ma dovette ricredersi quando Galba,
vistosi alle strette, nominò suo erede Pisone.
Morto Galba, Otone fu acclamato dal popolo, che lo soprannominò "Nerone" perchè
gli somigliava nell'aspetto un po' femmineo. Si riesposero le statue di Nerone,
la sua ex servitù fu richiamata a corte, e fu annunciato che il nuovo imperatore
avrebbe completato la Domus Aurea. Otone intendeva così sfruttare il buon
ricordo di Nerone che aveva tanto fatto divertire i Romani coi suoi spettacoli
circensi.
Ma Salvio Otone era stato da poco eletto, quando giunse a Roma la notizia che
Vitellio era stato acclamato anche lui imperatore dalle legioni della Germania
Inferiore.
Dapprima Otone tentò di persuadere Vitellio a rinunciare, poi gli chiese in
moglie la figlia e gli promise onori e ricchezze, ma poiché Vitellio gli faceva
promesse a sua volta perchè fosse lui a rinunciare, non rimase che la guerra.
Otone aveva dalla sua le legioni d'Africa, dell'Egitto, della Giudea, della
Siria, del Danubio, della Spagna e dell'Aquitania, e se fin da principio ne
avesse richiamata una parte avrebbe senza dubbio impedito all'esercito
avversario l'ingresso in Italia.
Ma indugiò parecchio
e soltanto quando si accorse che la guerra non poteva
essere evitata chiamò le legioni danubiane e ne costituì due nuove con
gladiatori e schiavi gente forte ma inadatta a combattere.
Si erano schierate con Vitellio oltre alle truppe germaniche, quelle della Britannia,
della Gallia Belgica, della Gallia Lugdunense e della Rezia: un potente esercito
di settantaduemila uomini marciava verso Roma.
Era diviso in due corpi: uno di trentaduemila soldati, al comando di Fabio
Valente, che entrava attraverso il valico del Cenisio; l'altro di quarantamila,
guidato da Cecina Alveno, attraversato il paese ostile degli Elvezi, avrebbe poi
passato le Alpi attraverso il valico del Gran San Bernardo. Dietro venivano le
riserve sotto il diretto comando di Aulo Vitellio.
All'avanzare delle truppe avversarie, Otone lasciò al governo di Roma suo
fratello Salvio Tiziano, convocò in assemblea il Senato e il popolo, sacrificò
alle divinità, prese con sé Lucio Vitellio, fratello del suo nemico e parecchi
magistrati ed uomini consolari che dovevano servigli da ostaggi, e partì dalla
città.
Anche il suo esercito era diviso in due parti, una delle quali era la flotta che
doveva assalire le coste della Gallia. Otone aveva eccellenti comandanti, ma gli
mancava un capace generale. Ma anche Vitellio non se la passava meglio, perchè
tra i suoi comandanti non correva buon sangue.
La guerra sembrò favorevole a Vitellio: Spagna e Aquitania l'avevano
riconosciuto imperatore e così i presidi della regione transpadana. Saccheggiata
la Liguria, vinsero Valente tra Antipoli ed Albigauno; il presidio di Piacenza,
comandato da Spurinna, si difese valorosamente e costrinse il nemico, guidato da
Cecina e sua moglie Solonina, a ripassare il Po e dirigersi verso Cremona;
presso questa città Marcio Macione, traversato il fiume, assalì le milizie di
Cecina e le sconfisse.
Cecina cercò allora di far cadere il nemico in una trappola, ma Svetonio Paulino
la sventò e procurò loro una sconfitta che poteva essere irreparabile se avesse
anche inseguito i vinti, cosa che non fece. A questo punto Valente e Cecina si
resero conto del pericolo, misero da parte i disaccordi e riunirono gli
eserciti.
I comandanti di Otone invece non erano concordi su come condurre la guerra:
Svetonio Paulino, Annio Gallo e Spurinna volevano aspettare le legioni di
Dalmazia e Pannonia che avrebbero attaccato le spalle e il fianco del nemico,
invece Tiziano, Proculo e lo stesso Otone, incoraggiati
dai successi, volevano
dar battaglia subito. Otone, con parte delle truppe, dietro consiglio di alcuni generali, si ritirò a
Brixellum (Brescello), mentre il grosso dell'esercito marciò verso il nemico.
Tra il Po e l'Adige ci fu una feroce battaglia, tra gli uomini affaticati dalla
lunga marcia di Otone e le truppe fresche di Vitellio, molto maggiori di numero.
Dapprima gli otoniani si batterono con bravura e la legione della marina
sbaragliò la XXI Legione di Cecina.
Ma successivamente i marinai furono respinti e il loro comandante ucciso. Infine
l'esercito di Otone ripiegò su Bedriacum lasciando 40.000 morti sul campo di battaglia.
Il giorno dopo i resti dell'esercito otoniano si allearono a Vitellio.
A Otone rimanevano la guarnigione di Piacenza e le milizie condotte con sé a
Brescello, inoltre le legioni del Danubio erano arrivate ad Aquileja. Ma Otone
ebbe paura, si considerò perduto e pensò al suicidio.
Bruciò generosamente le lettere compromettenti per i suoi amici e consigliò i
soldati di sottomettersi a Vitellio.
Alcuni generali insistevano di resistere perché la battaglia poteva ancora
essere vinta, ma Otone non ascoltò.
Scrisse una lettera alla sorella ed un'altra a Messalina, vedova di Nerone, che
avrebbe dovuto sposare, distribuì ai servi il suo denaro e si ritirò nella sua
camera.
All'alba si vibrò una pugnalata al petto e spirò.
Aveva trentasette anni.
Aveva governato per 95 giorni.
Non gli vennero fatte esequie solenni, ma i soldati che l'avevano amato lo
piansero, baciandogli le mani ed i piedi. Alcuni per il dolore si uccisero tra
le fiamme del suo rogo.
A Brescello fu innalzata una modesta tomba con la semplice iscrizione: Diis
manibus Marci Otonis.
L. Aulo VITELLIO (69) - 24 settembre 15 - 22 dicembre
69 -
Vitellio aveva vissuto la fanciullezza a Capri presso Tiberio, e si era
fatto molti amici per il suo carattere
gaio e i suoi modi originali e avventati. Fu amico di Caligola con cui
gareggiava in spericolate corse di cocchi, di Claudio con cui giocava a dadi e
di Nerone per le bravate notturne. Ebbe due mogli: Petronia e poi Galena.
Era pigro, smodato nel cibo e nel bere, allegro e sconsideratamente prodigo, al
punto di cadere in mano agli strozzini.
Amico di Tito Vinio, ottenne per mezzo di lui il governo della Germania
inferiore, e per i debiti dovette affittare la grande casa che possedeva lasciando moglie e figli in una casa modesta presa in affitto.
Con i soldati era prodigo ma privo di polso, per cui non rispettano nè i suoi
ordini nè la disciplina. Però lo amavano per questa liberalità, per cui
dopo solo un mese lo acclamarono imperatore.
Nella battaglia di Bediacrum (Valle del Po) le legioni di Vitellio si
scontrano con quelle di Otone il 16 aprile 1969 e Otone si suicida. Tre
giorni dopo, il 19 aprile, il Senato riconosce Vitellio imperatore.
Mentre le legioni germaniche vittoriose si abbandonano a saccheggi e a
devastazioni nella valle del Po, Vitellio, lasciata Lugdunum, scende in Italia.
Era famoso per la sua ghiottoneria: il suo viaggio fu una interminabile serie di
banchetti costosissimi, tutti a carico delle città.
Entrò in Roma in abito da guerra, al suono delle trombe, tra le aquile e le
insegne, alla testa delle truppe che tenevano le spade sguainate. Il fratello
Lucio Vitellio diede in onore di lui un grandioso banchetto in cui furono, tra
gli altri cibi, serviti duemila pesci scelti e settemila uccelli.
Vista la fine di Galba, Vitellio si circondò di truppe fedeli. La legione dei
marinai spagnoli venne mandata in Spagna; molti centurioni delle legioni
illiriche vennero messi a morte e le legioni stesse rimandate verso il Danubio;
la XIV Legione, famosa per la repressione della rivolta britannica, essendo più
turbolenta delle altre, fu inviata in Britannia.
Il corpo dei pretoriani fu sciolto e ricostituito in sedici coorti di mille
uomini ciascuna attingendo alle fidate legioni germaniche; anche le coorti
urbane furono sciolte e rifatte con legionari del Reno.
Delle faccende dell'impero egli si curò molto poco e lasciò che se ne
occupassero Valente e Cecina. Fu per per merito di costoro se due moti di
rivolta, uno nella Mauritania, l'altro nella Gallia, furono stroncati sul
nascere. In Mauritania venne ucciso il procuratore imperiale Lucio Albino che
col nome di Juba voleva farsi rè della provincia; in Gallia un certo Maricco
aveva raccolto intorno a sé alcune migliaia di aderenti proponendosi di dare la
libertà alla sua patria, ma la ribellione fu prontamente repressa da alcune
coorti romane aiutate dagli Edui.
Vitellio invece dedicava tutto il suo tempo alle feste e ai banchetti nei quali,
durante il breve spazio di pochi mesi, sciupò circa novecento milioni di
sesterzi.
Vitellio aveva l'appoggio dei pretoriani e delle legioni della Germania, ma era
malvisto dalle milizie che erano state favorevoli ad Otone, specialmente da
quelle dislocate nelle regioni danubiane e dalle legioni della Siria. che
avevano vinto la guerra in Palestina e alla testa del loro esercito il più
rinomato generale del tempo: Vespasiano.
Mentre in Oriente si discutevano i piani e si facevano i preparativi, le legioni
della Pannonia e della Dalmazia, che con entusiasmo si erano schierate con
Vespasiano, desiderose di vendicare su Vitellio la sconfitta di Bedriacum,
accettavano la proposta di Antonio Primo detto Becco di Gallina, comandante
della XIII Legione, e stabilirono di non aspettare l'arrivo di Muciano ma di
marciare subito verso l'Italia. Furono sollecitate le legioni della Mesia a
mettersi in cammino e perché i confini di questa regione nell'assenza delle
truppe non venissero molestati dalle popolazioni sarmatiche si diede posto nelle
legioni ai principi dei Sarmati Jazigi.
Anche Sidone e Italico, re dei Suebi,
vollero partecipare all'impresa.
Il primo a muoversi fu Antonio Primo cui era stato dato il comando della
spedizione. Questi desiderava giungere prima di Muciano per ottenere una
posizione di privilegio. Antonio partì con due legioni e con la cavalleria,
superò le Alpi, e nel Veneto occupò Aquileja, Padova e Vicenza, guadagnò alla
sua causa tre coorti vitelliane che stavano sulle rive del Po e conquistò
Verona.
Preoccupato dagli avvenimenti, Vitellio aveva dato ordine alle legioni della
Britannia, della Germania, delle Gallie e della Spagna di accorrere in Italia,
ma nessuno si era mosso aspettando che la guerra si delineasse in favore
dell'uno o dell'altro imperatore; poi Vitellio comandò di raccogliere truppe in
Italia e mandò Cecina con otto legioni a combattere Antonio.
Cecina presidiò Cremona con due legioni, e con le altre sei pose il campo ad
Ostiglia; però non era più convinto di Vitellio. Qui gli giunse la notizia che
la flotta di Ravenna, comandata da Lucio Basso, si era ribellata passando ad
Antonio Primo. Allora fece segrete trattative con Antonio e spinse anche alcuni
centurioni dalla parte di Vespasiano.
Le legioni però si rifiutarono di abbandonare Vitellio, legarono Cecina
chiamandolo traditore, cercarono due nuovi capi e, levato il campo da Ostiglia,
si diressero alla volta di Cremona per unirsi alle altre due legioni. Se
avessero avuto il tempo di congiungersi, le forze di Vitellio avrebbero forse
avuto ragione di Antonio Primo, ma questi con rapidità sorprendente marciò su
Cremona, attaccò le due legioni che la difendevano e le costrinse a riparare
dentro le mura.
Avuta notizia di quella sconfitta, le sei legioni di Ostiglia affrettarono il
passo e giunti a Cremona, attaccarono il nemico. All'alba le legioni di Vitellio,
decimate dalle milizie di Antonio, si ritirarono nel campo, sotto le mura della
città; ma vennero attaccate e si chiusero dentro le mura di Cremona.
Gli ufficiali dell'esercito vinto decisero di trattare con Antonio, liberarono
Cecina perché si recasse al campo avversario e ottenesse che la città non
venisse saccheggiata. Invece quarantamila uomini, dopo aver distrutte le ville
circostanti, entrarono a Cremona e per quattro giorni la saccheggiarono
orribilmente. Antonio aveva dato ordine che non si facessero prigionieri i
cittadini cremonesi, ma solo i soldati, invece fu una strage, dopodichè la città
venne data alle fiamme.
Ormai Vitellio non poteva fare assegnamento che sulle coorti dei pretoriani,
sulla flotta di Miseno e su poche altre truppe, che sarebbe stato difficile
far arrivare presto in Italia. L'imperatore ordinò che quattordici coorti pretorie andassero in Umbria per ostacolare la discesa di Antonio. Il campo fu
posto a Mevania (Bevagna) dove anche Vitellio si recò; ma vi rimase poco. Saputo
che la flotta di Miseno si era ribellata e i marinai avevano occupato Terracina
e Puteoli, fece levare il campo e si mise in marcia verso Roma. A Narni lasciò i
due prefetti del pretorio con parte delle truppe, e col resto andò a Roma.
Appena giunto, mandò il fratello in Campania per domare la ribellione e fece
arruolare soldati tra la popolazione di Roma. Nel frattempo Antonio Primo
giungeva a Corsule, a dieci miglia da Narni. I Pretoriani lasciati da Vitellio,
non vedendo possibilità di vittoria passarono al nemico; i prefetti fuggirono a
Roma.
Nella seconda battaglia di Bediacrum sono in lotta l'esercito di Vespasiano con
quello di Vitellio che però era rimasto a Roma, lasciando il comando ai
generali. Il 24-25 ottobre del 69 a Bedriacum l'esercito di Vitellio, che manca di
disciplina e di formazione, è sconfitto e fugge a Cremona.
Vitellio decide di dimettersi, ma i pretoriani non si arrendono per tema di
essere sostituiti o uccisi da Vespasiano per cui continuano a combattere.
Vitellio
allora si vide perduto e per mezzo del Prefetto della città Flavio Sabino,
fratello di Vespasiano, concluse con Antonio un accordo col quale, avrebbe rinunziato
all' impero se gli veniva concesso di vivere da ricco privato in una villa della
Campania, con l'incredibile somma di cento milioni di sesterzi.
Seguirono
giorni tumultuosi in cui popolo e pretoriani volevano trattenere Vitellio sul
trono mentre le truppe di Vespasiano si avvicinavano pericolosamente. Dopo una
strenua resistenza i pretoriani vengono sconfitti e trucidati. Mentre furiosa
ferveva la lotta alle porte della città, Vitellio si teneva nascosto nel palazzo
imperiale.
I suoi nemici lo trovarono, gli legarono le mani dietro la schiena e gli posero
un cappio intorno al collo, trascinandolo seminudo per il Forum.
Venne colpito e
deriso, e infine ucciso sulle scale Gemoniae. Poi viene appeso ad un gancio e
trascinato nel Tevere.
Era il 20 dicembre 69 e Vitellio non aveva
ancora cinquantacinque anni.
Tito Flavio VESPASIANO (69-79).17 novembre 9 - 23 giugno
79
Vespasiano nacque in Sabina presso l'antico Vicus Phalacrinae, (Cittareale).
Aveva combattuto in Tracia, ed era stato Questore nella provincia di Creta e
Cirene, poi aveva sposato Flavia Domitilla, figlia di un cavaliere, da cui ebbe
due figli: Tito e Domiziano, in seguito imperatori, ed la figlia, Domitilla.
Vespasiano divenne poi Edile e perse la moglie e la figlia prima di lasciare
la magistratura.
Nel 70 d.C. il
Senato,
anche se non era presente, conferì a Vespasiano tutti i poteri, lo creò console
insieme col figlio maggiore Tito.
A Tito diede le insegne consolari e
la pretura mentre l'imperio proconsolare andò a Domiziano che rimase a Roma a governare
come rappresentante del padre.
A Roma comandava comunque Antonio Primo, che permise alle soldatesche di
saccheggiare le case dei ricchi fingendo di cercare i partigiani di Vitellio,
spogliando pure la reggia dei Cesari.
Poi giunse a Roma Licinio Muciano, luogotenente di Vespasiano, che aveva
ricacciato l'invasione dei Sarmati. Ricevuto il trionfo ripulì la città, fece
uccidere Calpurnio Galeriano, fece uccidere il figlio di Vitellio e il liberto
Asiatico, e allontanò dalla capitale tutte le milizie fedeli ad Antonio Primo,
poi ricostituì le coorti pretorie coi Pretoriani licenziati da Vitellio.
Vitellio aveva lasciato a guardia del confine truppe arruolate specialmente fra
i Batavi, della tribù dei Chatti che stavano nel sud degli odierni Paesi Bassi.
Nominato imperatore, Vitellio aveva ordinato ai Batavi nuove leve di truppe per
poter fronteggiare Vespasiano.
Ma c'era un nuovo nemico da abbattere: Giulio Civile.
Nato da nobile famiglia
Batava, era stato imprigionato a Roma da Nerone che ne aveva fatto uccidere il
fratello; rimandato libero da Galba, aveva aderito al movimento di Antonio Primo
ed aveva raccolto le popolazioni germaniche del Basso Reno in favore di
Vespasiano. La rivolta si estese tra le schiere ausiliarie germaniche
dell'esercito romano e della flotta sul Reno.
Successivamente la ribellione si estese anche alla Gallia. Licinio Muciano pensò
a domare le insurrezioni: chiamò una legione della Britannia, due della Spagna e
quattro dell'Italia e le pose sotto il comando di Petilio Ceriale ed Annio
Gallo.
Le legioni romane ai scontrarono con i ribelli e li sconfissero per due volte.
Sul mare invece la flotta romana contro i sudditi del re Brinnone fu sconfitta.
E presso Novesio, alcuni squadroni di cavalieri romani furono vinti dalle truppe
ribelli. Dopo altri scontri, Giulio Civile (capo dei rivoltosi) intavolò
trattative coi Romani, e Petilio Ceriale (a nome di Vespasiano) gli concesse la
pace, con cui i Batavi ritornavano alleati di Roma con l'obbligo però di fornire
un certo numero di soldati.
GERUSALEMME - La guerra giudaica fu ripresa quando ad Alessandria Vespasiano
seppe che Vitellio era morto.
Tre uomini con tre fazioni si contendevano il potere su Gerusalemme: Simeone
figlio di Giora, che dominava la città alta; Giovanni di Giscala, accampato
presso la cinta esterna delle mura e i passi del monte Moriah, ed Eleazar che
aveva occupato il Tempio.
Eleazar alla Pasqua del 70 aprì le porte del Tempio, ma entrarono i seguaci di
Giovanni che si impadronirono del tempio uccidendo Eleazar.
A quel punto Tito ricevette dal padre Vespasiano l'ordine di marciare su
Gerusalemme con cinque legioni, alcune coorti dei presidi dell'Egitto e numerose
schiere di ausiliari. Le due fazioni giudaiche in lotta intanto si unirono per
difendere la città.
Tito la cinse d'assedio, e fatti tagliare quasi tutti gli alberi del territorio,
fece costruire molte macchine da assalto, e la battaglia cominciò.
Le macchine da guerra dovettero lavorare quaranta giorni per praticare una
breccia nelle mura e i Romani dovettero combattere via per via e casa per casa
per conquistare la città bassa. Poi si rivolsero al quartiere alto, sopra un
colle fortificato. Tito operò per otto giorni con le macchine da guerra ma alla
fine conquistò la città alta.
Rimaneva il grande colle col Tempio, custodito
dalla fortezza di Sion e dalle torri Moriah e Antonia. Tito fece costruire un
bastione da cui lanciare pietre e frecce contro il torrione giudeo, e lo
conquistò. Da lì fece appiccare il fuoco agli edifici vicini e quindi al Tempio
che andò distrutto.
Gli ebrei si arroccarono nella fortezza di Sion che venne
espugnata in due mesi. La città fu rasa al suolo, gli abitanti oltre i 17 anni
furono venduti come schiavi, gli altri inviati in Egitto a lavorare nelle
miniere o mandati per gli spettacoli dei gladiatori o per le lotte contro le
fiere.
I cittadini più importanti furono aggiogati al carro di trionfo e poi carcerati
o uccisi.
Il legato Cesto Gallo assedia per altri tre anni la rocca di Masada, rifugio dell'ultimo
migliaio di ribelli che infine si suicida in massa (73 d.C.).
Cadde così il regno giudaico. Al re Erode Agrippa II vennero lasciate le sue
terre che, alla sua morte, furono annesse alla Siria. La Giudea divenne
provincia con due colonie di veterani.
A ricordo della vittoria fu innalzato a Roma l'arco di Tito che esiste tutt'ora.
I tesori del tempio di Gerusalemme tra cui la grande menorah d'oro vennero
portati nel tempio di Giove Capitolino.
Mentre Tito assediava Gerusalemme, Vespasiano si imbarcava ad Alessandria. Giunto
a Brindisi si incontrò con Licinio Muciano e i più importanti Senatori.
A Roma
la popolazione l'accolse in festa.
Fu spietato con i nemici e generoso con gli
avversari politici: diede una buona dote alla figlia di Vitellio e fece console
Mezio Pompesiano che gli si era contrapposto. Infatti disse "Non ucciderò un
cane che mi abbaia contro", per indicare che non serbava rancore per poco. Fu
invece severo con chi metteva in pericolo la pace dell'impero. Elvidio Prisco,
repubblicano, che da pretore ometteva nei suoi editti il nome dell' imperatore,
fu diffidato e infine messo a morte.
Eprio Marcello e Alieno Cecina, che
tentarono di mettere i pretoriani contro l'imperatore, vennero uccisi e così
Giulio Sabino che si spacciava per figlio bastardo di Giulio Cesare.
GIUSTIZIA - Vespasiano emanò la "Lex de imperio Vespasiani", per cui egli e gli
imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non
in base a poteri divini come i Giulio-Claudii.
•Decretò schiava la donna che sposava uno schiavo di altri.
•Decretò che i crediti degli usurai non potessero essere riscossi presso i figli
dei debitori.
•Annullò le leggi di Nerone relative al tradimento coniugale.
•Autorizzò chiunque a fabbricare negli spazi vuoti quando gli stessi proprietari
tardassero edificare.
•Multò pesantemente coloro che sporcavano fuori dei contenitori di rifiuti posti
agli angoli delle vie.
RICOSTRUZIONE - Destinò fondi per la ricostruzione di città distrutte dai
terremoti e dagli incendi; furono assegnati diecimila sesterzi annui a coloro
che insegnavano lettere latine e greche; furono dati stipendi e doni ai poeti e
agli artisti di valore, attori compresi.
A Roma:
•fece ricostruire il tempio di Giove Capitolino con le tremila tavole di bronzo
distrutte dall' incendio, nelle quali erano documenti antichissimi e di grande
importanza;
•innalzò il tempio della Pace presso il Foro,
•riparò il tempio di Claudio sul Celio cominciato da Agrippina e quasi distrutto
da Nerone,
•Iniziò la costruzione del Colosseo, nel centro della città tra l'Esquilino e il
Palatino dove era il laghetto della Domus Aurea di Nerone, l'anfiteatro che
conteneva ottantasettemila spettatori che fu compiuto dopo la sua morte.
•fece costruire i bagni pubblici, i cosiddetti Vespasiani, affinché non si
lordassero le mura degli edifici.
•Per restaurare l'erario Vespasiano ristabilì le imposte abolite da Galba,
aggiungendone altre.
•Tolse l'autonomia a Bisanzio e alle isole di Rodi e Samo.
•Fece una revisione dei beni demaniali e delle terre dei municipi.
•Ridusse le feste e i giochi.
•Mise una tassa sul prelievo di urina dei tintori di panni dai gabinetti
pubblici. Rimproverato dal figlio Tito, rispose: "Pecunia non olet" il denaro
non ha odore.
•Ridusse le pubbliche distribuzioni ai poveri e al popolo.
•Ridusse le spese della casa imperiale.
Con tutto ciò riuscì a ristabilire le finanze dello Stato.
L'ESERCITO - Ricostituì il corpo dei Pretoriani con a capo il figlio Tito. Le
coorti pretorie furono ridotte a nove, e a quattro quelle delle guardie urbane.
Il numero delle legioni che sotto Augusto era di venticinque fu portato a
trenta. Nell'esercito del Reno indisciplinato e rivoltoso, alcune legioni furono
punite altre congedate o soppresse; tre nuove ne vennero formate: la IV Flavia
Felice e la XIV Flavia Finna.
Rafforzò la flotta sul Danubio creando due campi
stabili, ognuno con una legione.
Nel 71 Tito fece ritorno a Roma e celebrò con il padre il trionfo.
Nel 79, in Campania, Vespasiano fu colto da una malattia intestinale e tornò a
Roma, dove morì poco dopo. Aveva 70 anni ed aveva regnato per 10 anni.
Flavio Sabino Vespasiano TITO (79-81) - 30 dicembre del 39
- 13 settembre del 81
A Vespasiano successe il figlio Tito che il padre stesso
aveva designato. Fu un buon Imperatore. Tribuno militare
valoroso in Britannia e in Germania, espugnò Gerusalemme riportandone un trionfo
e un arco a Roma.
A Gerusalemme ebbe una relazione con Berenice di Cilicia,
figlia di Erode Agrippa I e se ne innamorò portandola a Roma. Ricoprì più volte
la carica di console durante il regno del padre, fu anche Prefetto della Guardia
pretoriana e questore; era stato sempre al fianco del padre nel governo
dell'impero.
Ma Tito non aveva una buona fama. Lo ritenevano avido per le tasse esose mentre
governava col padre, crudele in guerra e dissoluto in pace. Salito al trono però
cambiò vita, cominciando con l'abbandono di Berenice, che gli costò gran dolore.
Rinunciò agli attori, ai ballerini e alle notti di baldoria, rifiutò i doni che
di solito si facevano agli imperatori, aiutò con le proprie sostanze quanti si
rivolgevano a lui.
Ottenne il favore del popolo con elargizioni, spettacoli e gentilezza. Nelle
terme da lui costruite ammise la plebe anche quando vi era lui a prendere il
bagno; diede spettacoli gladiatori e naumachie, terminò la costruzione del
Colosseo e lo inaugurò con grandiose feste che durarono cento giorni: in un solo giorno
fece combattere nell'arena cinquemila belve.
GIUSTIZIA - Abolì i processi di lesa maestà;
•punì i delatori;
•prescrisse che in una medesima accusa non ci si potesse valere di leggi
diverse.
•prescrisse che trascorso un certo numero di anni, non si indagasse più sulla
condotta passata dei defunti.
Non emise una sola sentenza di morte.
A due patrizi che avevano congiurato contro di lui Tito li rimproverò e li
invitò a pranzo, poi li fece sedere ai suoi fianchi in uno spettacolo di
gladiatori e per mostrare che non temeva di essere ucciso mise nelle loro mani
due spade perché le esaminassero. Suo fratello Domiziano, che più volte tentò di
mettergli contro le truppe, fu trattato da Tito con affetto considerandolo il
suo successore.
Fece costruire delle Terme nel sito dove si trovava la Domus Aurea, restituendo
l’area alla città.
Nel 76 una nube gigantesca sormontò il Vesuvio e l'aria echeggiò di cupi boati,
il naturalista Plinio, ricevendo richieste di aiuto, fece mettere in mare le
quadriremi per salvare gli abitanti in fuga. Sulle navi cadeva una pioggia
rovente di cenere e di lapilli; Plinio approdò a Stabiae e lì vide la lava che
colava a valle come un torrente. L'aria era irrespirabile a causa dei gas
venefici che si sprigionavano dai lapilli del Vesuvio. Plinio tentò di fuggire,
ma morì asfissiato. Con lui perivano Stabia, Ercolano e Pompei. Saputo il
disastro, Tito mandò dei consolari in Campania con viveri e denari e per
soccorrere i danneggiati ordinò che a questi venissero distribuite le sostanze
dei cittadini senza eredi periti nell'eruzione del Vesuvio.
Nell'80 un terribile incendio scoppiò a Roma distruggendo i teatri di Pompeo e
di Balbo, la Biblioteca di Augusto, le Terme di Agrippa, e sei templi, fra cui
il Pantheon e quello di Giove Capitolino. Dopo l'incendio venne la peste, e Tito
si prodigò per tutti attingendo dalle casse dello stato ed ai suoi beni privati.
Nella villa di Rieti, dove era morto Vespasiano, nell'81, a 41 anni e dopo soli due
anni di regno, moriva Tito.
Si disse fosse morto di malaria, contagiato dai malati a cui faceva visita, ma
altri sostennero che suo fratello Domiziano l'avesse fatto avvelenare dal suo
medico.
Tito Flavio DOMIZIANO (81-96) 24 ottobre del 51 - 18 settembre del 96 -
Nella reggenza Domiziano
fece buona impressione ai senatori per modestia e moderazione, proponendo la
riabilitazione di Galba e perchè invitò a non perseguitare i sostenitori del
vecchio regime, limitandosi a revocare i consoli ordinati da Vitellio.
Con l’arrivo di Vespasiano, Domiziano dovette rinunciare al governo, ripiegando
sulla letteratura. Il fratello maggiore Tito invece, per la lunga esperienza
politica e militare, fu associato al governo dell'impero.
Tito però non aveva figli maschi, per cui Vespasiano dovette pensare che
Domiziano più giovane dovesse un giorno succedergli. Per cui gli dette la carica
di sacerdote, e dal 72 poté essere effigiato nelle monete, dal 74 potè anche
battere moneta, portare la corona d’alloro e far incidere il suo nome nei
monumenti accanto a quelli del padre e del fratello.
Durante il regno di Vespasiano, Domiziano fu console per sei volte, anche se ne
esercitò uno solo ordinario perché Tito gli cedette il posto. la prima volta a
venti anni, ottenne l’unico consolato ordinario nel 73, gli altri nel 75, 76, 77
e 79.
Era un bell'uomo, alto col viso tondo ma con vista debole.
Di costumi viziosi e
dissoluti, non si fermò davanti a nulla: rubò la moglie ad Elio Lamia, disonorò
la nipote Giulia, figlia di Tito, causandone la morte; poi tornò a convivere con
la moglie Domizia già ripudiata per adulterio.
Piuttosto frugale e sobrio, faceva in genere un pasto al giorno, e pur dando
frequentemente festini li faceva terminare al tramonto.
Amante delle tradizioni greche, istituì a Roma giochi ellenici a cui assisteva
vestito alla greca ed era molto devoto di Athena.
Probabilmente invidioso del padre e del fratello, verso il quale avrebbe
mostrato risentimento anche dopo la morte, criticandone gli atti e abolendo le
feste in onore dell’anniversario della nascita. Misantropo e collerico,
s’irritava allo stesso modo con chi si mostrava cortigiano e con chi cortigiano
non era: secondo lui, gli uni volevano lusingarlo, gli altri disprezzarlo.
Domiziano ristabilì la politica dei Giulio-Claudi, rafforzando il proprio potere
per contrastare quello dei patrizi. Si fece chiamare "signore e dio nostro". Durante la guerra contro i Daci, alcune legioni si ribellarono costringendolo a
firmare una pace sfavorevole. Sentendosi tradito, Domiziano vide congiure
ovunque, fissandosi sempre più sul culto della sua personalità.
A sua moglie moglie Domizia Longina fece dare il titolo di Augusta.
Alla morte di Vespasiano, nel 79, Tito rimase unico imperatore e, come il padre,
escluse Domiziano dagli affari di Stato, ma lo dichiarò suo successore e gli
fece ottenere il consolato ordinario nell’80 proponendogli di sposare la figlia
Giulia: Domiziano rifiutò di separarsi da Domizia, ma Giulia divenne poi sua
amante.
Tito morì di febbri malariche nell'81, e Domiziano partì precipitosamente per
Roma, per farsi acclamare imperatore dai pretoriani. Partì così di fretta che
qualcuno sospettò che lui entrasse in qualcosa nella morte del fratello.
Era infatti ambiziosissimo.
Il giorno dopo il Senato gli concesse il titolo di Augusto e padre della patria,
poi il pontificato, la potestas tribunicia e il consolato.
Domiziano ricostruì numerosissimi monumenti importanti, che erano stati
distrutti dal fuoco, e tra questi anche il Campidoglio.
Prese la censura a vita e la carica di console ordinario che nel '84 si fece dare
per la durata di dieci anni.
A Domiziano veniva dato il titolo di dio e padrone
e l'imperatore cominciava ad indossare il manto di porpora, sempre più
ossessionato e sospettoso.
Quando non abitava a Roma, Domiziano risiedeva ad
Albano, o in diverse ville al Tuscolo, a Gaeta, Anzio, Circeo e Baia.
Non consentì che venissero poste in Campidoglio statue di lui, se non d'oro e
d'argento e di peso determinato.
Negli ultimi anni Domiziano divenne crudele, perseguitando ebrei e cristiani, e
facendo uccidere molti senatori ed equites, inoltre osteggiava gli optimates,
spesso sequestrando i loro beni per rimpinguare le casse dello stato, ormai
sofferenti per le enormi spese per le opere pubbliche e i vari giochi circensi.
I pregi e la buona amministrazione:
•amministrò la giustizia con zelo e diligenza, tenendo in via straordinaria
tribunale anche nel Foro.
•perseguì i magistrati corrotti.
•per tre volte distribuì trecento sesterzi ad ogni cittadino povero.
•rifiutò le eredità lasciategli da chi aveva figli.
•condonò le multe di oltre cinque anni prima.
•proibì che si facessero degli eunuchi.
•annullò la legge di Roscio Cepio che prevedeva il pagamento di un’indennità a
favore dei senatori di nuova nomina.
•ricostruì le biblioteche distrutte dagli incendi, facendo cercare libri in ogni
parte del mondo.
Gli errori e i vizi:
•cercò di guadagnarsi il favore popolare con elargizioni, banchetti, feste e
spettacoli.
•fece magnifici banchetti nelle feste della sua pretura e per commemorare il
nuovo e settimo monte a Roma.
•fece celebrare i ludi secolari elevando fino a cento il numero delle corse
giornaliere dei cocchi.
•celebrò ogni anno feste e giochi che costarono un patrimonio che pesarono sulle finanze.
•lasciò ai contadini per usucapione, le terre invase spettanti ai veterani e
represse le persecuzioni fiscali.
•per mantenersi fedele l'esercito, Domiziano aumentò la paga dei soldati: i
pretoriani ebbero mille denari annui, cinquecento le milizie urbane, trecento i
legionari.
•proibì che le legioni ponessero il campo le une vicino alle altre.
•vietò che la plebe assistesse agli spettacoli mescolata coi cavalieri.
•si arrogò il diritto di condannare a morte i senatori responsabili di gravi
reati.
•accortosi del debito pubblico tolse le agevolazioni fiscali pesando soprattutto
sui giudei.
•sempre per il debito pubblico accettò qualsiasi eredità giungendo alla confisca
illecita dei beni.
•per incrementare la coltivazione del grano, vietò di piantare nuove vigne e
ordinò che nelle province si riducessero della metà le piantagioni di viti.
•radiò dal Senato un ex-questore perchè faceva il mimo e il ballerino, proibendo
le recite in luoghi pubblici.
•alle meretrici tolse il diritto di andare in lettiga e di ricevere legati o
eredità.
•punì i seduttori prima con l'esilio poi in pubblico comizio facendoli colpire a
morte con le verghe.
•rimise in vigore i processi di lesa maestà aboliti da Tito, colpendo molti
filosofi stoici.
•ripristinò l’onere, imposto da Claudio ai questori entrati in carica, di
offrire al popolo giochi gladiatori.
•fece distruggere i numerosi libelli che circolavano contro i personaggi più in
vista della città con pena di morte per gli autori.
•applicò la lex Scantinia contro l’omosessualità e la lex Julia contro
l’adulterio e il concubinato.
Le opere pubbliche:
•ampliò la rete stradale: la Domiziana che da Sinuessa va a Pozzuoli, in Oriente
costruì strade in Galazia, Ponto, Cappadocia, Pisidia, Paflagonia e Armenia
Minore.
•edificò in Campo Marzio, dove è la chiesa di Santa Maria sopra Minerva, il
tempio di Iside e Serapide, e un tempio dedicato a Minerva, di cui si conserva
ancora la statua, la Minerva Giustiniani.
•Fece restaurare il Tempio di Giove Capitolino decorandolo con porte e tetto di
bronzo dorato con la spesa folle di 12.000 talenti.
•Anche la capanna di Romolo, conservata nel tempio, fu restaurata.
•Fece costruire un santuario a Minerva accanto al restaurato tempio di Castore,
sotto il Palatino.
•Fece edificare un grande tempio si Minerva nel Foro di Nerva, del quale restano
il grande portico e l’immagine della dea.
•A Campo Marzio fece fare un tempio a Minerva Calcidica circondato da portici
(Foro Palladio) e un tempio alla famiglia Flavia.
•Accanto al tempio di Giove Capitolino fece erigere un tempio di Giove Custode,
in cui erano rappresentate le sue gesta e la sua immagine nella statua del dio.
•fece costruire da Apollodoro un teatro musicale i cui resti stanno accanto al
palazzo Massimo alle Colonne, e uno stadio, l'odierna piazza Navona, in cui si
svolgevano i Giochi Capitolini.
•Fece costruire un grande palazzo-reggia sul colle Palatino nel 92 oltre alla
Mica Aurea, sul Celio.
Guerre -
La guerra germanica di cui nell'84 Domiziano celebrò a Roma il trionfo non fu
nemmeno combattuta. I Chatti che stavano molestando la frontiera all'avvicinarsi
delle legioni romane furono pronti a ritirarsi.
I Daci guidati dal re Decebalo invasero la Mesia dove c'era solo una legione
romana che fu trucidata. Domiziano affidò il comando della guerra a Cornelio
Fusco, recandovisi di persona, senza però prendervi parte. I Daci, sperando di
attirare i Romani ripassarono il fiume ma Domiziano, visto il pericolo
allontanarsi, fece ritorno in Italia.
L'anno seguente Cornelio Fusco attaccò i Daci ma fu sconfitto e ucciso.
Giuliano, governatore della Mesia, passò nella Dacia sconfiggendoli in una
battaglia sanguinosa.
Da questa vittoria i Romani avrebbero potuto trarre non pochi vantaggi, ma
Domiziano non accettò la pace, la guerra riprese con tali perdite che dovette
fare un pessimo accordo con Decebalo.
Guerra Britannica -I Caledoni scesero dalle montagne in trentamila e assalirono i Romani al monte
Graupio. Agricola mandò prima ottomila ausiliari e tremila cavalieri, poi cinque
coorti che misero in fuga i Caledoni, lasciandone ventimila sul campo. I
superstiti, dopo aver barbaramente ucciso figlioletti e mogli, si dispersero tra
i boschi e sui monti della Scozia.
Nel frattempo la flotta di Agricola giungeva alla punta settentrionale della
Britannia e dava la notizia che questa era un'isola. Malgrado i successi
Domiziano richiamò Agricola a Roma.
Morte -
Agricola tornò a Roma e celebrò il trionfo morendo poco dopo. Qualcuno sospettò
dell'imperatore. Domiziano sapeva di essere odiato. Due congiure erano state
scoperte per cui ormai ne vedeva dappertutto.
Aveva raddoppiata la guardia del palazzo, cambiato spesso il prefetto urbano e
il capo dei pretoriani.
Presto si organizzò un'ultima congiura cui partecipò anche la moglie Domizia, Il
compito fu affidato al liberto Stefanio nel 96.
Nel giorno stabilito, Stefanio, che per allontanare i sospetti da tempo portava
il braccio fasciato, chiese di parlare a Domiziano per informarlo di una
congiura. Mentre Domiziano leggeva il foglio coi nomi dei congiurati, Stefanio
tirò fuori dalla fasciatura il pugnale e lo colpì al ventre, ma la ferita era
lieve. Iniziò una colluttazione ma accorsero altri congiurati che uccisero
Domiziano con sette pugnalate.
Domiziano morì a 44 anni con 15 anni di regno. Fu posto in una bara plebea e i
modesti onori funebri gli furono dati in casa di campagna della nutrice dell'imperatore, che portò poi di nascosto le ceneri nel tempio dei Flavi. Il popolo
fu felice dell'assassinio ma non i pretoriani che invasero il palazzo, linciando
il congiurato Stefano. I capi dei pretoriani però l'indussero alla calma
promettendo loro ricchi compensi.
Con lui si estinse la dinastia dei Flavi
Durante il suo regno, nell'isola di Pathmos, Giovanni scrive l'Apocalisse.
Marco Cocceio NERVA (96-98) 8 novembre 30 - 27
gennaio98.
Marco Cocceio Nerva nacque a Narni nel 30 d.C., di nobile famiglia,
suo padre era Cocceio Nerva, famoso magistrato, suo fratello aveva sposato una
nipote di Tiberio imparentandosi con la famiglia Giulia-Claudia.
Nel 65
Nerva
aveva ricevuto i trofei da Nerone, e con Vespasiano aveva diviso nel 71 il
consolato, conferitogli poi da Domiziano nel 91.
Come discendente dei Flavi e, come suo nonno e suo padre, giurista di fama ma
pure uomo di grande cultura conciliò le diverse fazioni sulla sua nomina.
Dione
Cassio nel giustificare la scelta di Domiziano su Nerva, dedusse perché non
aveva figli ed avendo 66 anni non avrebbe avuto il tempo di diventare
pericoloso. Fu dunque uomo di transizione, gradito all'esercito ma pure ai
senatori di cui molti auspicavano ancora la Repubblica. La popolazione invece fu
indifferente, cosa che non gli sfuggì per cui si affrettò a fare una buona
elargizione di denaro alla popolazione oltre che ai militari. Poi fece rientrare
gli esiliati, fece cessare le persecuzioni ai cristiani, ed emanò provvedimenti
d'urgenza per l'approvvigionamento del grano.
Con una legge agraria distribuì nuovi terreni dello Stato ai cittadini poveri.
Soprattutto cambiò il "principato adottivo", per cui l'imperatore in carica
doveva decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del
senato. Questo piacque molto ai Senatori ma poco ai militari, soprattutto ai
Pretoriani che spesso nominavano di loro iniziativa l'imperatore.
Riorganizzò il sistema idrico di Roma, restaurò molti quartieri, e importanti
vie come l'Appia e la Tiburtina, nonché molte strade nelle province. Fece
costruire lo splendido Foro di Nerva, di cui rimangono i resti del tempio di
Athena e altro.
Ma restituendo le confische e abolendo l'accusa di lesa maestà, che davano
introiti consistenti, lese abbastanza l'erario dello Stato. Per evitare allora
un'amministrazione così depauperante dei congiurati decisero di assassinarlo, ma
Nerva, scoperta la congiura offrì la gola dicendo "Uccidete solo me, eliminate
un povero vecchio, ma non i problemi nuovi."
Comunque per scongiurare una guerra civile, adottò un successore ben visto dai
militari, capaci di incutere timore ai pretoriani e a chi volesse eliminarlo.
Così nominò Ulpio Traiano comandante dell'esercito e governatore della Germania
superiore. L'unico in caso di disordini capace di marciare su Roma e ristabilire
l'ordine. Lo nominò Tribuno e Proconsole. La scelta di Nerva fu disinteressata,
tanto più che Traiano non aveva mai dimostrato simpatia per l'imperatore. Nerva
fu nuovamente nominato console, insieme con Traiano, nel 98, ma morì dopo tre
mesi di carica.
Il suo successore volle un funerale di grande solennità, e le
sue ceneri furono poste nel mausoleo di Augusto.
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