Tuttitemi - testata  
     

L’impero Macedone (362-323 a.C.)
 

La Macedonia è un paese montagnoso, confinante a ovest col regno d'Epiro, a sud con la Grecia, separata dal massiccio del Pindo (monte Olimpo). A est si
estende nel territorio dei Geti fino al fiume Struma, a nord confina con i semibarbari Illiri, ai quali i Macedoni contendono la ricca regione mineraria della Peonia meridionale. La piccola capitale Pella sorge nel  golfo di Salonicco, in vista del Mar Tracico,
I Macedoni sono Elleni di stirpe indoeuropea che, quando Achei e Dori scendono nella penisola ellenica, rimangono tra le montagne.

A partire dal sec. VII a.C. la casa degli Argeadi unifica il paese, con capitale Ege.
Durante le guerre persiane i re Macedoni si dichiarano vassalli dei persiani, e pagano tributo; durante la guerra del Peloponneso appoggiano inizialmente Sparta e le oligarchie.

Alla fine del V sec. a.C. Archelao, alleato di Atene nella guerra del Peloponneso, fa costruire la nuova capitale Pella sul modello delle città greche.
Nel 359 a.C., tre anni dopo la battaglia di Mantinea che lascia le polèis greche indebolite e in contrasto tra loro, in Macedonia sale al potere in qualità di reggente Filippo II. Dapprima Filippo rafforza i territori macedoni a Nord, e stringe relazioni con l'Epiro; poi avanza verso la penisola calcidica, strappando ad Atene, il massiccio del Pangeo ricco d'oro.

Ormai padrone del trono, Filippo volge le sue aspirazioni verso la penisola ellenica: Sparta si è estraniata dalle grandi lotte politiche dopo lo  scioglimento della lega Peloponnesiaca; le città della seconda lega Delio-Attica sfuggite al controllo di Atene
combattono tra loro una guerra sociale; Tebe è impegnata nella guerra sacra che la oppone ai Focesi.
Filippo interviene a fianco dei Tebani, occupa la Focide nel 346 a.C.; quindi impone a tutti la pace di Filocrate, e viene accolto nella lega delica.
Ad Atene l'oratore e uomo politico Demostene cerca di far comprendere ai cittadini il pericolo macedone, ma inutilmente. Filippo II estende il suo dominio sulla Tracia, e controlla così la navigazione del Mar nero.

Le polèis, provocate da Filippo, si riuniscono nel 340 a.C. in una lega ellenica, cui partecipa anche Tebe.
Nel 339 a.C. una secondconquiste di filippo II macedonea guerra sacra offre a Filippo un nuovo pretesto di intervento. Con una finta, egli si attesta in Calcide alle spalle degli eserciti ateniese e tebano. A Cheronea, in Beozia (338 a.C.), i macedoni trionfano, anche per merito di Alessandro, figlio diciottenne di Filippo.
Ormai padrone della Grecia, Filippo sfrutta la vittoria con moderazione; solo Tebe è occupata militarmente.
Filippo offre la pace generale e l’autonomia di tutte le polèis, e fonda la lega di Corinto (Sparta esclusa), per riprendere la lotta con i persiani.

L'esercito greco-macedone, con Filippo comandante supremo, è ormai in marcia quando Filippo viene assassinato in una congiura di palazzo.
Il giovane Alessandro prende la guida della situazione; si fa confermare tutte le prerogative del padre. Rientra velocemente per reprimere le rivolte di Atene e altre polèis; Tebe serve da monito per tutta la Grecia: al tentativo di liberarsi dall'occupazione macedone, Alessandro risponde radendo al suolo la città e vendendo gli abitanti come schiavi.
Nel 334 a.C. l’esercito greco-macedone muove da Pella contro l'impero persiano, travagliato dalle lotte tra le satrapie.

Le polèis della lega hanno inviato solo un quarto dell'intero esercito di 30.000 fanti e 5.000 cavalieri; anche la flotta non è molto numerosa, Atene ha impegnato appena venti triremi.
In Asia Minore Alessandro riporta la prima vittoria sui satrapi locali, e occupa le città ioniche per sventare minacce navali persiane contro la Grecia. Poi conquista le satrapie della Caria e della Frigia; a Gordio taglia con la spada il nodo Gordiano, il cui scioglimento secondo l'oracolo garantiva il dominio dell'Asia; quindi attende la controffensiva persiana. Dario III, che ormai vede minacciate le satrapie centrali, scende in campo con 100.000 uomini, tra cui 30.000 mercenari greci, ma nella piana costiera di Isso subisce una pesante sconfitta.

 

Nel 333 a.C. Alessandro Magno e il Gran Re Dario III si affrontarono per la prima volta.

In via ufficiale la guerra era motivata dalla vendetta – la vendetta dei greci contro i persiani per la devastante campagna militare che la Persia aveva condotto contro la Grecia 150 anni prima.

In via non ufficiale, ma del tutto evidente, la campagna militare di Alessandro era volta a soddisfare la sua fame di gloria e di conquista. Prima della battaglia Alessandro si ammalò di febbre per otto settimane e fu assistito da un medico di famiglia. Nel frattempo inviò avanti Parmenione, il comandante della sua fanteria e della cavalleria del Peloponneso, che con 15.000 uomini si spinse fino ai valichi di frontiera siriani per sbarrare l’accesso ai persiani.

Nello stesso periodo Memnone, il fidato comandante dell’esercito di Dario, morì di una grave malattia. Il Gran Re dovette convocare il consiglio di guerra, e decise di affrontare Alessandro in uno scontro in campo aperto.

Alessandro si mosse con il suo esercito verso Issos, avanzando poi lungo la strada costiera, dove si aspettava di imbattersi prima o poi nel nemico. Allo stesso modo, Dario voleva affrontarlo su una pianura vicina a Issos che gli pareva fosse a suo vantaggio. Tuttavia, non potendo approvvigionare il suo esercito per molto tempo in un luogo, dovette proseguire la marcia per la città di Issos su una strada a est, e perse così la pianura a suo favore. I due eserciti marciarono paralleli, separati da una catena montuosa.

Dai soldati greci feriti lasciati indietro, Dario era venuto a sapere che Alessandro e il suo esercito avevano preso la strada costiera. Dunque il Gran Re lo inseguiva con l’esercito persiano. Appena Alessandro venne informato che il nemico gli si trovava alle spalle, ordinò al suo esercito di retrocedere in fretta verso Issos.

Il campo di battaglia, nella pianura di Issos, era delimitato dalla catena montuosa da un lato e dal Mar Mediterraneo dall’altro. Ciò riduceva considerevolmente la superiorità numerica dei persiani.

Esistono molte stime sul loro numero, ma si ritiene che tale esercito includesse al massimo 100.000 uomini. Dal lato persiano, la cavalleria pesante si appostò sull’ala destra in prossimità della costa. La superficie piatta della pianura era estremamente vantaggiosa per la cavalleria.

Nel centro si ritrovarono i soldati greci con armamento pesante. A sinistra si appostarono i cardaci (fanteria iraniana), e il fianco sinistro della montagna venne occupato da unità con armamento leggero. Dario III si appostò con il suo carro e la guardia a cavallo dietro al centro del fronte. Il suo piano era di intervenire in modo decisivo sull’ala destra con la cavalleria pesante. L’ala destra di Alessandro sarebbe stata espugnata, insieme al macedone e alla sua cavalleria di eteri. Dal lato macedone, al centro stava la falange. I cavalieri del Peloponneso, sotto la guida di Parmenione, costituivano l’ala sinistra sulla costa.

Poco prima dell’inizio della battaglia, Alessandro ordinò alla cavalleria tessalica, che stava a destra, di aggiungersi all’ala sinistra di Parmenione, in modo da dargli rinforzi contro l’assalto della cavalleria persiana. La sua tattica era di impegnare il nemico con la fanteria macedone e di aprire dei varchi, che avrebbero dato alla sua cavalleria l’occasione di attaccare il centro persiano.

Durante la battaglia la falange macedone ebbe problemi nel contrapporsi agli opliti greci. Anche l’ala sinistra di Parmenione venne respinta. Ma al momento giusto l’esercito macedone ebbe la sua chance. Nel fronte nemico si aprì un varco e Alessandro si fece largo fino al Gran Re Dario nonostante l’accanita resistenza della fanteria persiana di punta. Dario riconobbe il pericolo di accerchiamento, fece voltare il suo carro da guerra e fuggì dalla battaglia in corso, anche se quest’ultima non poteva ancora considerarsi perduta.

La falange dovette attraversare il fiume Pinaro con le sue forti correnti, cosa che aprì altri grossi varchi nelle sue righe. Ne approfittarono i soldati greci di Dario, procurando perdite nette ai macedoni in avvicinamento.

Sul lato del mare, la cavalleria persiana incalzava la fanteria greca e i cavalieri del Peloponneso. Descrivendo una falce, la cavalleria di Alessandro andò in aiuto dei greci messi alle strette raggiungendoli nella loro posizione critica.

In seguito assalì i fianchi del centro nemico. Sfiduciato per la fuga del Gran Re, l’esercito persiano, inclusi tutti i mercenari, si ritrasse. Il numero di morti dal lato di Alessandro Magno si aggirava sui 450 uomini, mentre i feriti erano circa dieci volte tanto.

Ma i morti e i feriti dalla parte persiana erano estremamente più numerosi.

Fuggendo, Dario lasciò indietro sia la madre sia la sua consorte.

In modo inatteso, Alessandro le fece trattare da regine accordando loro tutti gli onori.

Fra i prigionieri si trovavano alcuni nobili persiani, tra cui anche Barsine, che poi Alessandro sposò.

I macedoni fecero un bottino di 3.000 talenti in contanti e si appropriarono di tutta la cassa imperiale a Damasco, cosa che bastò a pagare tutti i vecchi debiti militari di Alessandro, nonché il suo esercito per un altro anno.

 

Siria e Fenicia sono ormai a portata di mano, e Alessandro, assoggettate Biblo e Sidone, distrugge Tiro che ha resistito per sette mesi. Abbandonata l'originaria idea di una guerra panellenica contro la Persia, Alessandro comincia a vagheggiare un impero universale; per questo respinge le proposte di pace di Dario III che gli offre le terre a occidente dell'Eufrate e l'alleanza.
Nel 332 a.C. Alessandro libera l'Egitto dal dominio persiano, che durava dal 525 a.C., e fonda la città di Alessandria sul delta del Nilo: i sacerdoti di Hammon-Ra lo incoronano faraone. 

Risalito dall'Egitto nel 331 a.C. affronta ancora Dario, che ha reclutato un esercito tre volte superiore a quello macedone: a Gaugamela, sull'alto Tigri, le falangi di Alessandro e del fedele generale Parmenione hanno la meglio.

Dario si salva ancora con la fuga, mentre Alessandro, proclamato signore dell'Asia, entra a Babilonia, e successivamente nelle capitali imperiali di  Susa, Persepoli (che viene data alle fiamme) e Ecbatana. Dopo queste conquiste, i reparti federati delle città greche rientrano in patria (331 a.C.).

 

Impero acedione
Nei sette anni successivi Alessandro assoggetta l'altopiano iranico e le province orientali. Dario, conquiste Alessandro Magnoormai sconfitto, viene fatto assassinare da Besso, satrapo della
Battriana, che si autoproclama re; ma anche Alessandro vuole essere considerato successore legittimo degli Achemenidi: sconfigge e fa giustiziare Besso; poi occupa la Sogdiana e avanza in altri territori sconosciuti (odierni Afganistan, Uzbekistan e Tagikistan). Alessandro è ormai a 5000 chilometri dalla patria, ma nel 327 a.C. riprende ad avanzare verso le valli dell'Indo (Pakistan) superando i limiti raggiunti da  Dario I. Penetra nel Punjab e si spinge fino alla valle del Gange.

A questo punto, esausti dalla guerra e sgomenti davanti all'ignoto, i suoi soldati rifiutano di  procedere oltre.
Il ritorno del corpo di spedizione, man mano integrato da nuovi contingenti e rinforzi, avviene per tre vie: una colonna comandata da Cratero procede all'interno attraverso la Carmania; un'altra, guidata da Alessandro, costeggia l'oceano indiano attraverso il Belucistan; il resto dell'esercito si imbarca alle foci dell'Indo e al comando dell'ammiraglio cretese Nearco entra nel golfo persico per raggiungere la foce del Tigri e dell'Eufrate.
Alessandro giunge a Susa nel 324 a.C., deciso a  intraprendere una spedizione verso l'Arabia, ma muore improvvisamente nel 323 a.C., a Babilonia.

Aveva 33 anni e regnava da 13.
Alla morte di Alessandro, il partito antimacedone riprende il sopravvento ad Atene.

Guidati da  Demostene, un democratico radicale, gli ateniesi si coalizzano con gli Etoli, Corinto e Argo per allestire una flotta e un forte esercito.

Antipatro, il generale di Alessandro reggente della Macedonia, è costretto a rifugiarsi nella fortezza di Lamia in Tessaglia, finché i rinforzi giunti dall'oriente impongono ad Atene una costituzione oligarchica e la presenza di un presidio macedone.

Iperide viene giustiziato e Demostene sceglie il suicidio.