Medi e Persi
(VII-IV secolo a.C. fino al
331 a.C.)
I confini dell'impero persiano erano vastissimi: a est
fino all'Indo, a nord Caucaso e Turkestan, a sud
l'Egitto, a ovest la Turchia.
Il vasto altopiano che attualmente si chiama Iran, si stende dalla valle del
Tigri a quella dell'Indo, ed è limitato a nord dalla depressione che racchiude
il mar Caspio e il bassopiano turanico, e a sud dal golfo Persico e dall'Oceano
Indiano. Questo territorio di più d'un milione e mezzo di chilometri quadrati,
fu la sede della potenza dei Medi e dei Persiani (o Persi), popoli d'origine
ariana, ossia della razza dei popoli d'Europa, che dovevano sottomettere tutte le nazioni d'Oriente e riunirle in un vasto impero bene
organizzato.
I Medi, di origine indoeuropea, sottomettono i Persi e
gli Assiri, e cominciano a espandersi a Ovest.
La Persia è naturalmente distinta in una regione di pianure a oriente e di montagne
a occidente.
La regione delle pianure, ossia gran parte della Persia antica, è arida,
formata
da deserti sabbiosi, da paludi pestilenziali, divorata dai calori di un sole
ardente. Un tempo, grazie agli sforzi umani, il suo aspetto per diversità di
condizioni geologiche fu, forse, non così desolato come oggi appare, ma certo
non potè mai nutrire una densa popolazione. Il regno dei Medi si estese invece
sulle regioni montuose: fertilissime le valli, e i pendii irrigati da
un'infinità di piccoli corsi d'acqua. Foreste di pini, di platani, di querce,
verdeggiano in cima ai monti; peschi, ciliegi, peri, meli cotogni, olivi, messi
copiose e campi di rose, degradando, fanno belle e ricche la montagna e la
valle. Miniere di rame, di ferro, di piombo, cave di marmi forniscono un ottimo
materiale da costruzione.
Gli attuali Iranici sono appunto gli Arii che contesero,
passo a passo, ai Mongoli le valli fertili dell'Asia centrale.
A nord i Medi, e
nel sud, sulle rive del Persico deserte e indisputate, elessero la loro sede i
Persiani.
Probabilmente la mescolanza degli Iranici del nord con gli intelligenti Akkadi
fu il motivo per cui i Medi assursero prima alla storia che non i loro fratelli
Persiani, con i quali rimasero uniti da vincoli di religione e lingua comune.
I Persiani, rudi e assuefatti alle fatiche, divennero soldati eccellenti e
furono conquistatori appena ebbero un capo.
Usi e costumi - la saggezza dimostrata dagli Achemenidi nello stabilire l'organismo politico
dell'immenso impero persiano, lasciando ad ogni paese costumi, religione,
lingua, magistrati e, in certi limiti, l'autonomia, fu solo pareggiata dai
Romani e più tardi dagli Inglesi, che seppero con mezzi analoghi stabilire
dominazioni altrettanto salde ed estese. I re chiesero alle regioni sottoposte
solo danaro e soldati.
Si calcola che i redditi annui dei re persiani
fossero pari a miliardi e
miliardi di nostra moneta, pagati in verghe d'oro o in monete battute dai
sovrani soggetti: tributi in natura più consueti, aggiunti alle imposte
regolari, erano di frumento e di cavalli per la Media, di pesce secco per
l'Egitto e di avori e di gioielli, di tappeti, di bronzi, d'eunuchi giovani per
Babilonia, di mussoline per l'India, di statuette per l'Asia Minore.
Gli eserciti persiani erano moltitudini immense, variopinte e di vario valore:
l'armata di Serse fu da Erodoto detta di un milione e settecentomila uomini, e
v'erano i medi dalle tuniche scarlatte; adorne d'oro, gli arabi dai lunghi
camici di lana, gli assiri dall'elmo scintillante e dalle corazze di lino
imbottite, gli etiopi, coperti di pelli di leone o d'altro felino e armati di clava, i colchi dal
casco di legno, i traci dal berrettone di pelo di volpe. Talvolta bisognava
condurre queste torme sul campo a forza di scudisciate, per vederle poi
disperdersi seminando il disordine fra le milizie agguerrite, al primo impeto.
La parte più eletta, il nerbo dell'esercito era costituito dai Persiani. I
fanti, con il petto difeso da corazze, le gambe e i piedi dai calzoni di cuoio,
combattevano con uno scudo di vimini, un corto giavellotto, un arco con frecce,
un pugnale sospeso alla cintura, dimostrando grande coraggio e abilità. Il nucleo dell'esercito sono i 10.000
immortali, compagni del re.
Ma soprattutto eccellevano come cavalieri: fulminei e agili nella cavalleria
leggera, urtavano in masse compatte e grevi quando erano ordinati nella
cavalleria pesante, dai cavalli coperti di piastre o cotte di maglia in metallo.
Narra Erodoto che queste tre cose s'insegnavano ai Persiani fino da fanciulli:
dire la verità, tirare d'arco e stare a cavallo.
Le armate persiane mancavano di materiale di assedio: pare che abbiano fatto
poco uso delle torri e degli arieti.
Il re, adorno di lunghe e magnifiche vesti,
per la kidaris - tiara allargata in alto e circondata da una fascia azzurra e
bianca - si distinguevano esteriormente da ogni altro principe, ed esercitava il
suo potere per mezzo di un primo ministro, facendosi coadiuvare
nell'amministrazione dello Stato da un consiglio di sette altissimi personaggi.
Nessuno poteva presentarsi al suo cospetto, fosse anche di sangue regio, senza
esservi invitato, pena la morte, se il re non lo salvava stendendo il suo
scettro verso lui. Ogni atto che portasse l'impronta del sigillo reale era
legge.
Sobri e morigerati erano i Persiani ma, quando vennero a contatto con le civiltà
corrotte dell'Asia anteriore, perdettero le buone abitudini: si diffuse la
poligamia e i vizi più deplorevoli penetrarono negli harem. Ogni specie di
gioielli divenne comune agli uomini e alla donne; i cosmetici, i belletti, i
profumi, i capelli falsi acquistarono grande diffusione. I ricchi vestivano con
amplissime vesti di ricca stoffa, portavano calzari e in testa bende e corte
tiare di feltro.
Furono i raffinati Persiani i primi a usare le calze, le mutande e persino i
guanti.
Ai piaceri della caccia subentrarono ben presto quelli del gioco e del vino: si
racconta che « una volta all'anno, alla festa di Mitra, il re era obbligato ad
essere ubriaco » e che si giuocavano ai dadi la propria persona e quella dei
figli.
Singolare la loro consuetudine funeraria. Secondo l'Avesta, testo
sacro dello Zoroastrismo, « gli elementi -
l'aria, l'acqua, la terra, il fuoco, - devono essere preservati da ogni immonda
influenza » : i cadaveri non potevano nè essere consunti per inumazione, perché si
sarebbe contaminata la terra; nè col rogo, perché la fiamma ne sarebbe divenuta
impura; nè affidandoli alle acque, perché si sarebbero corrotte; nè lasciandoli a
dissolversi in balia del soffio sacro del vento. Perciò i Persiani avevano
adottato la consuetudine di farli divorare da corvi e da sparvieri, esponendoli
in grandi torri rotonde, di cui "la torre del silenzio" presso Bombay - il
cimitero dei Parsi dell'India - è un tipico esempio.
In età posteriore, quando
la religione s'inquinò e l'ambizione crebbe, si ricorse ad un mezzo termine: si
innalzarono tombe sontuose e vi si collocarono i morti, evitando il contatto col
suolo circostante mediante una densa spalmatura di cera fatta al cadavere.
L'agricoltura era in grande onore. E' detto nell'Avesta che l'azione più pura
del mazdeano "è quella di far germogliare sulla terra robuste e floride messi.
Colui che semina il grano e lo fa con purezza adempie in tutta la sua estensione
la legge dei Mazdeani e chi pratica questa legge agisce come se avesse dato vita
a cento creature, a mille opere, o recitato mille preghiere".
Il commercio era invece disprezzato, come le persone che l'esercitassero, poichè
i Persiani pensavano, al dire d'Erodoto, che non potesse riuscire il traffico se
non per via di una certa astuzia, di certi inganni contrari a quel sentimento di
venerazione per la verità che invece dominava nella loro mente.
Il commercio si fa per via di terra (la via regia tra le
città di Sardi e Susa è lunga 2700 km).
Nell'impero si useranno la moneta e sistemi unificati di pesi e misure.
Fioriranno l'astronomia, i lavori pubblici, (irrigazione), l'amministrazione.
Religione e Morale
- Dei diversi stadi attraverso i quali passò la religione dei Persiani prima
d'assumere le forme precise del libro sacro, questo solo possiamo asserire: che
la semplicità assoluta delle concezioni e dei riti ariani ben presto dovette
cedere il posto a una complicazione di credenze. Quando da nomadi i Medi
divennero stabili agricoltori e sentirono della terra ribelle la durezza e la
fatica del lavoro, e quando le messi abbondanti e prospere per il sole - il
fecondatore - perivano, e si seccava l'erba e così gli alberi, e la grandine
bruciava il suolo fiorente, nelle forze della natura sentirono confusamente
l'antagonismo del bene e del male.
E allorchè si avvicinarono alla Mesopotamia, dovette venir ad essi, dall'antica
culla del pensiero umano, qualche raggio che rischiarò la concezione dualistica
del mondo. Fu appunto nella Battriana che i Medi raggrupparono le loro
credenze e diedero forma a quella religione che è il mazdeismo; da Ahura-Mazda,
dio supremo.
Zarathustra ("splendore dell'oro") sarebbe stato il suo profeta; Mazda gli
apparve e gli consegnò l'Avesta, il libro della conoscenza, della saggezza, del
pensiero divino, con l'incarico di predicarlo a tutta l'umanità.
La morale predicata nell'Avesta era elevatissima: esigeva giustizia e verità
d'opere non solo, ma di parole e di pensiero; proclamava l'utilità del
pentimento, la necessità delle penitenze, l'immortalità dell'anima e
l'intercessione per i defunti.
Non templi, non statue agli dei, non riti complessi: altari su pietre accumulate
in cima a un colle; il fuoco sacro s'innalzava agli dèi fra le preghiere e i
canti dei fedeli. I sacrifici cruenti furono introdotti da magi, intermediari in
età tarda tra gli dei e gli uomini, che sconvolsero e turbarono con
l'astrologia, gli incantesimi, la divinazione, la semplicità della religione
persiana, della quale nessuna fra le antiche religioni fu più morale, più
spoglia di formalismi rituali, di superstizioni. Purtroppo andò poi
complicandosi sempre più di forme idolatre.
Storia -
- Verso il principio del secolo VIII a.C. la
Media sotto il regno di Ciassare fu turbato dalle invasioni di orde discese dal Caucaso: i
Gimirri (Cimmerii) dapprima e i Saci o Sciti più tardi, che per diciotto anni
tennero sottosopra tutta l'Asia occidentale, travolgendo il regno di Frigia
(Mida, per sottrarsi all'onta della sconfitta, s'avvelenò) sconfiggendo Gige, re
dei Lidi a Sardi, rovinando l'Urarti (l'Armenia) desolando la Siria, la Fenicia,
la Palestina, Babilonia. Ciassare ebbe la freddezza di liberare il proprio paese
dalle calamità con un tradimento: invitati tutti i capi invasori in un banchetto
per celebrare la pace, quando furono ben bene ubriachi, li fece sgozzare tutti.
Scongiurato il pericolo barbarico, riprese le ostilità iniziate contro l'Assiria,
infiacchita dalle devastazioni e dal mal governo. Ashsharedililani gli mandò,
nel 626, l'abile generale Nabublalussur che si proclamò re indipendente di
Babilonia e strinse alleanza con Ciassare, una figlia del quale fu data in sposa
al figlio suo Nabucodonosor. Per vent'anni l'Assiria resistette ai due forti
eserciti, ma nel 606 Ninive cadde: Ashshurakdeiddin lI diede fuoco al suo
palazzo per non farlo cadere in potere del nemico e si lasciò bruciare pure lui.
L'Assiria scompare così dal novero delle nazioni, sulle sue rovine rinasce la
potenza babilonese, si rinsalda la meda. Ciassare continuò la sua opera di
conquista sottomettendo le popolazioni della regione montuosa dell'alto Tigri e
dell'Armenia, annientando le ultime schiere cimmerie.
L'avanzata nell'Asia Minore gli fu impedita dalla resistenza vigorosa della
insorta Lidia, gelosa della sua indipendenza. Dopo sei anni di lotta un'eclisse
di sole sopraggiunta al momento d'impegnare la battaglia definitiva fece
concludere la pace tra i due popoli (il 28 maggio 585, secondo i calcoli
astronomici dell'Airy), fissando sul fiume Hays, che scorre dal centro dell'Asia
Minore al Mar Nero, il termine occidentale tra la Lidia e i Medi.
L'anno seguente Ciassare moriva e gli succedeva il figlio Ishtuvegu - Astiage -
pacifico ma crudele e superstizioso, dedito solo alla caccia e ai piaceri, privo
dell'energia necessaria a consolidare un così grande e recente impero, e
mancante di criteri utili per dominare.
Ciro - Verso il 550 a.C. Ciro II di Persia conquista la Lidia di
Creso, con alcune colonie greche, le terre a Est fino
all'Himalaya, Babilonia (di Balthassar) liberando i
prigionieri ebrei. - Capo di una piccola tribù (dei Parshua - da qui Persia) dipendente
dalla Media, un territorio limitato dalla foce dell'Oraatis e dallo sbocco dello
stretto d'Ormuz nell'Oceano Indiano, privò Ishtuvegu del regno ereditato dal
padre. Ciro era figlio di Cambise.
Con lui, nel 546, la monarchia meda fu stata sostituita da quella persiana. Persi e Medi erano affini di razza, sicchè il mutamento interiore dovette avvenire senza grandi scosse, ma la ripercussione all'esterno fu immensa. Il re di Lidia, Creso, temendo la conquista persiana e desideroso d'altronde, di vendicare il cognato lshtuvegu, decise d'andare a combattere il nemico nel suo stesso paese, forte dell'alleanza con Egitto, con Babilonia, con Sparta. Passò risolutamente la frontiera dello Halys, fino allora rispettata, invase la Cappadocia e si impadronì di Pteria. I Persiani accorsero subito e, fallito un tentativo di insurrezione che volevano provocare alle spalle di Creso, iniziarono la battaglia, che però non ebbe esito.
Ciro, poichè non si
sentiva troppo sicuro, aveva iniziato un movimento di ritirata, quando seppe che
il re di Lidia, essendo prossimo l'inverno, si era ritirato pure lui, aveva
dimesso i mercenari e gli alleati, calcolando di raccoglierli nella successiva
primavera. Allora con una serie di marce brillantissime, dal confine persiano
corse indisturbato fino a Sardi - a 400 miglia dall'Halys - dove la cavalleria
dei Lidi, che sola era rimasta a Creso, valorosissima, dopo aspra battaglia, per
uno stratagemma del re persiano, fu disfatta. Creso battuto si chiuse in Sardi,
sollecitando il soccorso degli alleati - che però non venne. - Per un sentiero
indifeso i nemici entrarono nella città e dopo pochi giorni lo fecero
prigioniero. Ciro non solo gli risparmiò la vita, ma lo trattò da amico e da
uguale. La fine del potente monarca della Lidia è incerta: la leggenda di
Erodoto parla di una pietà che ha reso quel nome indimenticabile.
L'opera di conquista persiana doveva andar ben oltre. Assoggettate la Ionia e le
colonie greche dell'Egeo, Ciro avanzò nelle regioni semiselvagge della Battriana,
della Marziana, della Sogdiana, dell'Ariavarta, dove edificò città, mise colonie
e presidi (545-539). Ma un'impresa più grande rimaneva da compiere, perchè egli
fosse il signore dell'Asia: la conquista dell'impero babilonese.
Ed egli la compì. In che modo non è ben chiaro: la tradizione greca e la biblica
fanno entrare l'esercito persiano senza combattimento in Babilonia, mentre la
città era immersa in conviti, nei tripudi, nelle danze, sprezzando il re di
Persia e il suo esercito. Tutti i paesi tributari di Babilonia si piegarono
ossequenti a Ciro, la Siria, la Palestina, la Fenicia. I popoli vinti egli li
legò a sè con legami più saldi, favorendo i Fenici, l'armata dei quali serviva
ai suoi scopi; concedendo agli Ebrei di riedificare il tempio di Gerusalemme, e
restituendo i sacri vasi d'oro e d'argento che come trofei erano stati portati
in Babilonia quando quel tempio era stato distrutto; mostrando una grande
tolleranza per le opinioni religiose di tutti i popoli.
Come per i primi fatti della sua vita, così per l'ultima sua impresa e per la
sua morte, avvenuta nel 529, la leggenda ha alterato in tal modo la verità che è
difficile separarla dal vero: Senofonte lo fa morire tranquillo e sereno, nella
reggia; Erodoto in una lotta feroce contro Tomiri, regina dei Massageti; Ctesia
in una guerra nella Battriana. Quel che è certo è che il suo corpo fu riportato
in Persia e sepolto in Pasagarda - vicino a Persepoli, la capitale dei Parshua
antichissimi.
Cambise II - Il figlio Cambise sconfigge gli egizi, e
rioccupa la Lidia.
Cambise II volle proseguire le imprese paterne e osò quello che Ciro non aveva
tentato, la conquista dell'Egitto. Fatto morire segretamente il fratello Bardiya
(lo Smerdi dei Greci), si impadronì della parte dello Stato che Ciro aveva lasciato in eredità, s'alleò con gli Arabi per assicurarsi la via del
deserto; accrebbe la flotta fenicia e delle città dell'Asia Minore e, apprestato
un grande esercito, navigò arditamente verso il delta del Nilo.
Nel IV anno del
suo regno, 525 a.C., il faraone Psamitik III subiva una prima sconfitta a
Pelusium. Assediato a Menfi, dovette piegare il capo dinanzi al vincitore.
Avendo tentato, qualche anno dopo, di riacquistare il trono, fu messo a morte e
l'Egitto diventò una satrapia persiana.
Cambise tentò di guadagnarsi il favore dei sacerdoti egizi proteggendone i riti
e facendosi iniziare ai misteri Isidici, e vi riuscì. Ma ciò non bastò alla sua
sete di dominio; forse la pazzia aveva iniziata la sua opera.
L'Achemenide epilettico tendeva alla conquista di tutto il mondo antico; egli voleva soggette la Lidia, l'Etiopia, Cartagine, i paesi delle ricchezze prodigiose. Un esercito di 50.000 uomini, distaccato da Tebe, attraverso il deserto mosse ad assalire Cartagine - poichè i Fenici non vollero prestare la flotta per distruggere la più fiorente delle loro colonie.
L'esercito immenso che il re stesso guidava lungo il Nilo alla
conquista dell'Etiopia, avendo stoltamente abbandonato il fiume ferace per
seguire una via carovaniera più diretta, fu dalla fame ridotto a tale
disperazione che molti soldati, uccisero i compagni per cibarsi delle
loro carni e per succhiarne il sangue.
Il conquistatore, vinto dal deserto, dovette tornare di nuovo in Egitto. La sua
mente, già squilibrata dai due immani disastri della campagna etiopica, parve in
preda a manifesta follia allorquando a Tebe, avendo visto la popolazione intenta
a celebrare feste in onore di una nuova incarnazione del dio Ani, volle i
magistrati della città condannati a morte, battuti a sangue i sacerdoti,
massacrati dai mercenari gli adoratori pietosi e infine egli stesso osò con la
spada trafiggere l'innocente torello.
Si era persuaso che quei tripudi solennizzassero, in odio a lui, le recenti sconfitte.
In altra occasione fece seppellire vivi, con la testa all'ingiù,
dodici nobili persiani con il pretesto che l'avessero offeso; un'altra volta con
una frecciata, per mostrarsi sicuro tiratore d'arco, colpì al cuore un fanciullo
sotto gli occhi del padre, e pretese da questo l'elogio della sua abilità.
Odiato e iroso, trascorreva la sua vita in Egitto macchinando nuove imprese e
crudeltà nuove, quando gli giunse notizia che il fratello suo Smerdi era stato,
dai principi persiani, riconosciuto re (522 a. Cr.). Raccolse subito un grande
esercito e si disponeva a marciare contro l'usurpatore, un falso Smerdi, quando
misteriosamente morì, pare per una ferita infertasi nella coscia destra nel
montare a cavallo se pure non si tratta di un racconto divulgato dai familiari
allo scopo di celare il suo assassinio compiuto per mano loro, assecondando,
forse, una rivoluzione religiosa suscitata dall'antagonismo tra i Parsi e i
Magi.
Quel Gaumata, il falso Smerdi, che si credeva ormai saldo sul trono di Ciro,
poiché Cambise era morto senza prole, durò ben poco nella sua illusione. Dovette
trapelare nel popolo che il secondogenito di Ciro era stato ucciso dal fratello
Cambise; che doveva essere un usurpatore indegno chi, approfittando d'una
pretesa rassomiglianza, tentava d'ascendere al trono; si vociferava che costui
avesse le orecchie mozze. Il fatto che il nuovo re si lasciava vedere il meno
possibile accrebbe le prevenzioni contro di lui.
Daryavus, figlio di Victaspa
(Dario d'Istaspe), satrapo d'Ircania, della famiglia achemenide, aiutato da sei
principi persiani, gli si contrappose. Nella primavera del 521 Gaumata, sorpreso
nel suo palazzo, venne ucciso.
DARIO - Dario I occupa Tracia e Macedonia (500 a.C.)
Quando Dario salì al trono trovò che le popolazioni soggette avevano
approfittato dello scompiglio avvenuto in mezzo ai
Persiani per riacquistare l'indipendenza:
in Babilonia era sorto un falso figlio di Nabunahid, che col nome di Nabukudurussur IlI prese titolo regio;
nell'Elam, Assina, discendente dall'antica dinastia nazionale, chiamò a raccolta gli abitanti;
nella Media apparve un preteso discendente di Ciassare, che con il nome di Pirrurvarti II trasse dalla sua l'Assiria, l'Armenia, l'Ircania, i Parsi;
alla voce di Fradà sorse la Margiana; sotto i vessilli di Citantakhma si
adunarono altre genti minori.
Dario radunò un esercito e a Zazanu, sull' Eufrate, i Caldei furono vinti definitivamente; gli Elamiti
furono domati; Pirruvarti, battuto ripetutamente dai generali di Dario, fu solo
nel 520 sbaragliato del tutto dal re sopraggiunto nella Media, presso Kiunduru ;
Citantakhrma finiva sulla croce dopo breve regno; Dadarshi, satrapo della
Battriana, nel 519 sconfiggeva Fradà, e Dario nel luglio dello stesso anno aveva
domato l'lrcania. Pari sorte subirono un secondo falso Nabukudurussur e un altro
falso Smerdi : la strage orrenda accompagnò sempre l'opera di assoggettamento
dei ribelli.
Prima di estenderlo con nuove conquiste, Dario attese a organizzare l'impero,
seguendo una politica accorta e di larghe vedute, lasciando sussistere i
costumi, le leggi, le istituzioni d'ogni popolo, ponendovi a capo, supremo
moderatore civile, un satrapo, poi un generale e un segretario regio incaricato
in apparenza della cancelleria.
I tre poteri si sorvegliavano reciprocamente, e il segretario soprattutto
fungeva da informatore sul conto del popolo, del satrapo, dell'esercito, del
generale. Ogni anno, accompagnati da grossi reparti di truppa, perchè avessero
forza le loro decisioni, rappresentanti del re andavano a compiere una specie
d'ispezione per le diverse satrapie, con l'incarico di ascoltare le lagnanze dei
sudditi e di rendere loro giustizia quando occorresse.
Ma per l'opera d'organizzazione Dario non desistè dalle tradizioni di conquista dei re che l'avevano preceduto: egli ambiva di conquistare l'Europa, come Ciro aveva conquistato l'Asia e Cambise l'Africa.
Ma trovò una tale resistenza nelle selvagge tribù intorno al Caspio, tra il Volga e l'Ural e nel clima di quelle regioni, che il suo disegno non ebbe compimento.
Più fortunata fu invece la sua
spedizione (512) contro i popoli abitatori della valle superiore dell'Indo, del Sapta-Sindhu, che egli in gran parte assoggettò, sottomettendone diversi come
tributari. Con legname tagliato nel Cashemir costruì una flotta che, scendendo
l'Indo sotto gli ordini di un greco, Skylax di Karyanda, giunse fino al mar
Rosso e compì la conquista delle regioni adiacenti.
D'un tratto l'avanzata dei Persiani verso l'oriente si arrestò: le minacce degli
Sciti - una mescolanza confusa di genti arie e turaniche stese dal Danubio
all'Oxus, nelle attuali regioni della Russia e della Tartaria, riunite assieme
in federazioni - richiamarono Dario stesso con il suo enorme esercito - da 700 a
800 mila uomini - in Europa (508).
Attraversato il Bosforo e il Danubio su grandiosi ponti di barche, egli entrò
nei piani di Scizia, dove dopo un lungo inseguimento, durante il quale vide la
maggior parte di quelle popolazioni ritirarsi nell'interno del paese, costrinse
gli Sciti a un trattato per il quale si obbligavano a rispettare le frontiere
dell'impero persiano.
Per questa spedizione la Macedonia fu annessa all'impero; per questa spedizione
venne a contatto con la potente Grecia, che a Salamina disperderà l'enorme
esercito di Serse, il figlio di Dario, e porterà la guerra fin nel centro delle
terre persiane.
Serse viene sconfitto dai greci nel 479 a.C.
L'impero vacilla, e nel 331 a.C. verrà sconfitto
definitivamente da Alessandro Magno.
La Macedonia e la Tracia, le colonie greche dell'Asia Minore riavranno la
libertà; l' Egitto con l'aiuto dei Greci tenterà di risorgere; il figlio di
Dario, Artaserse I, e Serse II, e Dario Il si stremeranno in queste lotte mentre
i satrapi si ribelleranno, i sudditi scuoteranno il giogo e l'anarchia
dissolvente si propagherà dovunque nell'interno.
Gli ultimi
re di Persia, lotteranno contro i satrapi e le province ribelli con
condottieri greci nell'esercito e nella flotta,
Un secolo e mezzo dopo Salamina, l'ultimo grande impero asiatico avrà in un
macedone (ALESSANDRO) il suo "Shahinshah" (il "re dei re" ): ai Greci succederanno i Romani, ai Romani gli Arabi. Sono questi i tre
periodi in cui il genio ariano nella Persia non manderà più nessun bagliore.
LINGUA E LETTERATURA - La più antica lingua parlata dai persiani fu chiamata Zend. Questa
designazione non è esatta, e pochissimo sappiamo di questo antico linguaggio. II
significato della parola zend e letteralmente: «commentario». Zend-Avesta vuol
dire : « il commentario e il testo sacro».
La lingua zend potrebbe essere più propriamente chiamata: lingua battriana o
battro-persica.
Lo zend, vicinissimo al sanscrito, diede origine al vecchio persiano che, a sua
volta, per la sua mescolanza con i dialetti semitici della Mesopotamia, diventò
il pehlvi, d'onde derivò per le mescolanze con l'arabo, il persiano moderno.
Lo zend è la lingua dei libri sacri di Zoroastro; il vecchio persiano è quella
delle iscrizioni cuneiformi composte sotto gli Achemenidi, e il pehlvi fiorì poi
sotto la dinastia dei Sassanidi.
Queste differenti forme d'uno stessa linguaggio appartengono alla famiglia degli
idiomi indo-europei. Gli antichi dialetti della Persia si collegano al sanscrito
e alle nostre lingue europee per la sintassi, per i verbi e per la forma delle
loro parole.
Adottando la scrittura della Mesopotamia, gli Arii la semplificarono. I Persiani
poi le fecero compiere un progresso immenso, rendendola alfabetica, e servendosi
di trentasei o trentasette caratteri puramente fonetici.
I primi modelli di scrittura cuneiforme portati in Europa e decifrati dal
Grotefend, erano stati tratti da Persepoli, e per conseguenza rappresentavano il
persiano antico e la scrittura alfabetica adoperata sotto gli Achemenidi. I
lavori degli scienziati europei si trovarono in tal modo semplificati, e
poterono andare dal più facile al più difficile. Grazie alle iscrizioni in due
lingue, essi poterono passare dal persiano antico, lingua indo-europea le cui
radici erano conosciute, all'assiro, lingua le cui radici erano affatto
sconosciute.
La lingua di Dario è oggi conosciuta come quelle di Pericle e di Augusto. Lo
zend stesso non offre più che ben poco d'oscuro. I Persiani scrivevano da
sinistra a destra, e si può supporre che avessero una scrittura corsiva e si
servissero della pergamena.
Non ci restano come monumenti letterari dell'epoca degli Achemenidi, che le
iscrizioni incise, dietro ordine di questi principi, sopra stele o sopra intere
pareti di rocce nelle differenti regioni dei loro vasti Stati. Le più antiche di
queste iscrizioni sono del tempo di Ciro, ma fu Dario che ci lasciò di esse il
maggior numero.
Le opere della letteratura persiana antica sono: lo Zend-Avesta e lo
Shahr-Nameh, o Libro dei Re.
Abbiamo già parlato dello Zend-Avesta, dal punto di vista della religione, e
sappiamo che si divide in più libri. Vi si annette una composizione
relativamente recente: il Boundehesch, trattato di cosmogonia che non potè
essere redatto che posteriormente alla conquista dell'altipiano dell'Iran.
In quest'ultimo libro si
vede la traccia evidente delle credenze caldaiche. Il racconto della creazione,
della caduta e del diluvio, offre analogie evidentissime della Genesi, e così
pure con gli antichi scritti rinvenuti nella biblioteca di Ninive.
Lo Zend-Avesta rimane il monumento più autentico e nel tempo stesso il più
caratteristico dell'antica letteratura persiana.
Arte
- L'arte persiana fu d'imitazione e di combinazione: i resti architettonici dei
grandiosi palazzi di Persepoli e di Susa, e i bassorilievi, ci mostrano che i
Persiani copiarono dai Greci, dagli Egiziani, dagli Assiri non solo i
procedimenti, ma fecero per lo più lavorare a loro profitto e per la loro gloria
gli artisti e gli operai di quelle differenti regioni. È singolare il fatto che
Erodoto e Ctesia, i quali videro le grandi capitali degli Achemenidi, non
parlino di quei palazzi sontuosi di cui restarono rovine imponenti.
Non statue, non bronzi, non mobili nè di legno, nè di avorio, non stoffe, non
ori, non ceramica propria ebbe la Persia: quegli stessi popoli presso i quali
fiorivano le arti più squisite diedero ai re, oltre all'imposta annua in denaro,
un contributo dei loro prodotti.
Semplicemente caratteristiche possono sembrarci nelle rovine che ne rimasero, le
tombe dei re persiani, fra le quali la più notevole è quella di Ciro. Esse sono
scavate nella roccia. L'ingresso rappresenta la porta d'un palazzo; manca però
ogni traccia di scala per accedervi. È situato, questo ingresso, ad una certa
altezza da terra, e la salma del re doveva esservi introdotta per mezzo di
impalcature e di apparecchi speciali.
Nulla inventò il popolo di Persia; ma per alcuni secoli godette calmo e sereno
di tutto quello che l'umanità da cinque a seimila anni aveva immaginato e messo
al mondo, riassunse in sè il contenuto di tutte le antiche civiltà che si
stavano dissolvendo
ed aprì per esse la via all'Europa ariana, che, tornando sui suoi passi
nell'Oriente, comincerà la sua gloriosa vicenda .