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Per Storia della Repubblica romana (509-264 a.C.) si intende il periodo
Repubblicano di Roma, dalla caduta dei Re sotto Tarquinio il Superbo, fino alla
conquista dell'Italia a sud della pianura padana.
La Repubblica romana rappresentò il sistema di governo della città di Roma nel
periodo compreso tra il 509 a.C. ed il 31 a.C., quando l'urbe fu governata da
una oligarchia repubblicana. Nacque a seguito di contrasti interni che portarono
alla fine della supremazia della componente etrusca sulla città, ed al parallelo
decadere delle istituzioni monarchiche.
Quella della Repubblica rappresentò una fase lunga, complessa e decisiva della
storia romana: costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da
piccola città stato, quale era alla fine del VI secolo a.C., divenne la capitale
di un complesso Stato che governava l'intera Italia antica a sud della pianura
padana. In questo periodo si inquadrano la le conquiste romane in Italia
centro-meridionale, tra il V ed il III secolo a.C..
Il comando dell'esercito e il potere giudiziario, che in età regia erano
prerogativa del re, in epoca repubblicana, tranne che in poche occasioni, furono
assegnati a due consoli, mentre per quanto riguarda l'ambito religioso,
le prerogative regie furono attribuite al pontifex maximus. Con la progressiva
crescita di complessità dello Stato romano si rese necessaria l'istituzione di
altre cariche (edili, censori, questori, tribuni della plebe) che andarono a
costituire le magistrature.
Per ognuna di queste cariche venivano osservati tre principi:
- l'annualità,
ovvero l'osservanza di un mandato di un anno (faceva eccezione la carica di
censore, che poteva durare fino a 18 mesi), - la collegialità, ovvero
l'assegnazione dello stesso incarico ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei
quali esercitava un potere di mutuo veto sulle azioni dell'altro,
- la gratuità.
Ad esempio, se l'esercito romano scendeva in campo sotto il comando dei due
consoli, questi alternavano i giorni di comando. Mentre i consoli erano sempre
due, gran parte degli altri incarichi erano retti da più di due uomini - nella
tarda Repubblica c'erano 8 pretori all'anno e 20 questori.
Tra i magistrati un'importante distinzione era quella tra magistrati dotati di
imperium (cum imperio; ne facevano parte solo consoli, pretori e dittatori) e
quelli che ne erano sprovvisti (sine imperio, tutti gli altri); ai primi erano
affiancate delle speciali guardie, i littori.
Il secondo pilastro della repubblica romana erano le assemblee popolari (comizi
centuriati e comizi tributi), che avevano diverse funzioni, tra cui quella di
eleggere i magistrati e di votare le leggi. La loro composizione sociale
differiva da assemblea ad assemblea; tra queste l'organo più importante erano
comunque i comizi centuriati, in cui il peso nelle votazioni era proporzionale
al censo, secondo un meccanismo (quello della divisione delle fasce censitarie
in centurie) che rendeva preponderante il peso delle famiglie patrizie.
Ciononostante il peso della plebe veniva comunque ad essere accentuato rispetto
al periodo monarchico, in cui esisteva un solo organo assembleare (i comizi
curiati) costituito da soli patrizi. L'accesso della plebe all'esercito sancito
dalla riforma centuriata, varata all'inizio del periodo repubblicano (dopo la
Secessio plebis), spinse il ceto popolare a pretendere maggiori riconoscimenti,
che nell'arco di due secoli vide tra l'altro la costituzione
della magistratura di tribuno della plebe, eletto dal concilio della plebe.
Il terzo fondamento politico della repubblica era il Senato,
già presente
nell'età della monarchia. Costituito da 300 membri, capi delle famiglie patrizie
(Patres) ed ex consoli (Consulares), aveva la funzione di fornire pareri e
indicazioni ai magistrati, indicazioni che poi divennero de facto vincolanti.
Approvava inoltre le decisioni prese dalle assemblee popolari.
Esisteva poi la carica di dittatore, che costituiva un'eccezione all'annualità e
alla collegialità. In periodi di emergenza (sempre militari) un singolo
dittatore veniva eletto con un mandato di 6 mesi in cui aveva da solo la guida
dello Stato. Eleggeva un suo collaboratore (che comunque gli rimaneva
subordinato) detto maestro della cavalleria (Magister equitum). Caduto in disuso
dopo il periodo delle grandi conquiste, il ricorso a questo incarico tornerà ad
essere praticato nella fase della crisi della repubblica.
Essere cittadino romano comportava una notevolissima serie di privilegi,
variabili nel corso della storia, a creare diverse "gradazioni" di cittadinanza.
Nella sua versione definitiva e più piena, comunque, la cittadinanza romana
consentiva l'accesso alle cariche pubbliche e alle varie magistrature (nonché la
possibilità di votarle nel giorno della loro elezione), la possibilità di
partecipare alle assemblee politiche della città di Roma, svariati vantaggi sul
piano fiscale e, importante, la possibilità di essere soggetto di diritto
privato, ossia di poter presentarsi in giudizio attraverso i meccanismi dello
ius civile, il diritto romano per eccellenza.
Alla base della società romana c'erano le gens ovvero gruppi di persone (clan),
che condividevano lo stesso nomen gentilizio, erano per lo più composte da
più familie, a capo delle quali vi era un Pater familias. Le gens formavano a
loro volta le tribù urbane e rustiche.
I cittadini romani (uomini liberi) si dividevano, inoltre, in Patrizi e Plebei.
A loro volta i patrizi più facoltosi, avevano alle loro dipendenza una serie di Clientes, vale a dire cittadini che, per la loro posizione svantaggiata
all'interno della società romana, si trovavano costretti a ricorrere alla
protezione di un "patronus" o di una intera "gens" in cambio di svariati favori,
talvolta al limite della sudditanza (applicatio) fisica o psicologica. Il
penultimo gradino della società romana era formato dai liberti (ex-schiavi), e
più sotto ancora vi erano gli schiavi.
In età repubblicana, alle tribù urbane furono aggiunte anche quelle rustiche.
È, inoltre, verosimile che proprio la tribù sia stata culla della consapevolezza
politica della plebe, i cui magistrati, detti tribuni, avevano come significato
proprio "uomini della tribù". Non è un caso che proprio dal termine "tribus"
derivino il nome sia i tribuni della plebe, sia i tribuni militari.
Una nuova organizzazione tribale, al di là di quella istituita prima da Romolo
(le tre tribù) e ridisegnata da Servio Tullio (con le quattro tribù urbane)
risulta documentata solo a partire dal 495 a.C. A questa data apparterrebbero
ventuno tribù, le 4 urbane serviane (Collina, Esquilina, Palatina e Suburana
e 17 rustiche (Camilla, ecc.). I nomi delle antiche tribù rustiche
corrispondevano a quelli delle antiche gentes originarie esistenti o anche
estinte, sulla base di distretti territoriali che in origine avevano
rappresentato località dove si trovavano le maggiori tenute delle casate
gentilizie romane.
Nel IV secolo a.C. si stabilì che indipendentemente dalla loro collocazione
territoriale, tutte le nuove conquiste fossero attribuite/iscritte ad una tribù
esistente. Ciò accadde ad esempio per Tuscolo assegnata alla tribù Papiria o a
Aricia assegnata a quella Orazia.
Dopo la guerra latina (340-338 a.C.) ed il conseguente assorbimento del Latium
vetus nello Stato romano (338 a.C.) si vennero a configurare colonie di diritto
romano accanto a quelle di diritto latino. Ricordiamo che queste ultime erano
assimilabili alle città federate con la perdita della cittadinanza originaria
per tutti i colonizzatori (romani o latini che fossero) ma con diritto di
commerciare liberamente e contrarre matrimonio con cittadini romani. A partire,
quindi, dal 338 a.C. si ebbe la deduzione della prima colonia romana, ovvero una
comunità autonoma, situata in territorio appena conquistato, in cui
erano stanziati dei cittadini romani, legata da vincoli di alleanza con la
madrepatria. La più antica fu Anzio. Inizialmente servivano da avamposto per
controllare un territorio che sarebbe stato ulteriormente colonizzato.
Esistevano due diversi tipi di colonia: le più importanti erano quelle colonie
romane, poi quelle di diritto latino:nel primo caso gli abitanti avevano la cittadinanza romana, e quindi il
riconoscimento di tutti i diritti di cittadinanza, con un'amministrazione
cittadina sotto il diretto controllo di Roma;
nel secondo caso venivano istituite nuove entità statali, con magistrati locali,
autonomia amministrativa e, in alcuni casi, con l'emissione di monete, ma
comunque con l'obbligo di fornire, in caso di guerra, l'aiuto richiesto da Roma
secondo la formula togatorum.
Gli abitanti delle colonie latine non erano Cives Romani Optimo Jure, ma
possedevano lo ius connubii e lo ius commercii secondo i diritti del Nomen
Latinum. Le colonie venivano fondate secondo il diritto latino sia come forma di
controllo della diffusione della cittadinanza romana (in quanto considerata
superiore a tutte le altre), sia per motivi pragmatici: non essendo direttamente
governate da Roma come le colonie di diritto romano, ma avendo magistrati propri
potevano meglio e più velocemente prendere decisioni per difendersi da pericoli
imminenti. Le colonie erano rette dai duoviri, da un senato locale e da
un'assemblea popolare.
La condizione di cittadino latino stava, quindi, a metà tra quella di civis
romanus e quella di straniero (peregrino). La parola latini inizialmente
indicava semplicemente le popolazioni abitanti del Latium vetus (Latini prisci),
popolazioni che erano vicine a Roma politicamente ed etnicamente. Una volta
inglobate nell'entità romana, si ritrovarono presto in una situazione
privilegiata rispetto alle altre popolazioni sottomesse. In particolare i latini
potevano:
contrarre legalmente matrimonio con una romana o un romano (ius conubii),
commerciare con i Romani con la garanzia di poter ricorrere al magistrato per la
tutela dei propri atti negoziali (ius commercii),
e, solo inizialmente, anche trasferirsi a Roma (ius migrandi) a condizioni di
parità coi cittadini romani e votare (ius suffragii) nei comizi
elettorali.
Alle città i cui abitanti godevano del ius Latii era riconosciuta l'indipendenza
per quanto riguardava la politica interna, quindi eleggevano i loro magistrati e
si autogovernavano; però erano vincolate alla politica estera romana ed erano
tenute a fornire un contingente di soldati che combattevano a fianco delle
legioni, ma in reparti diversi.
Col passare del tempo, e con l'espansione del dominio romano ben oltre i confini
del Latium vetus, il "diritto latino" venne riconosciuto e applicato anche a
città non laziali, e che non avevano abitanti di origine latina: il ius Latii
passò allora a indicare una condizione giuridica e perse qualunque connotazione
etnico-geografica; coloro che ne godevano (e che erano oramai divenuti troppo
numerosi) persero però il diritto di votare a Roma.
Altri privilegi erano legati alle sopraddette facilitazioni nell'ottenimento per
merito della cittadinanza romana. Inoltre i Latini che per qualsiasi motivo si
trovassero a Roma nel giorno in cui si fossero riuniti i comizi potevano
esercitare il diritto di voto (ius suffragii). Nel tempo lo status di latino
stava genericamente ad individuare una condizione di cittadinanza privilegiata,
ma non quanto quella romana (ancora era inibito l'accesso alle cariche
pubbliche): erano quindi latini anche gli abitanti delle colonie create da Roma
(latini coloniarii) e gli schiavi liberati in particolari circostanze.
Religione -
La mancanza di un "pantheon" definito, favorì l'assorbimento delle divinità
etrusche, come Venere (Turan), e soprattutto greche (a cominciare dalle guerre
pirriche). A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche
della religione romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci,
acquisendone l'aspetto, la personalità ed i tratti distintivi, come nel caso di
Giunone assimilata ad Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo,
come nel caso di Apollo o dei Dioscuri. Il controllo dello stato sulla
religione, infatti, non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva
a favorirla, a condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e
politico.
Il periodo repubblicano si distingueva nettamente dalla tradizione greca ed
etrusca, soprattutto per quanto riguardava le modalità dei riti. Le figure
dominanti del pantheon romano erano tuttavia analoghe a quelle di altri
nell'ambito del Mediterraneo, in primis quelli greci, basti pensare alle
corrispondenze Giove = Zeus, Giunone = Hera, Minerva = Atena. È possibile
affermare che i primi miti romani nacquero quando entrarono in contatto con gli
antichi greci verso la fine della Repubblica, i romani non ebbero storie sulle
loro divinità paragonabili al mito dei Titani o alla seduzione di Zeus da parte
di Era, ma ebbero miti propri come quelli di Marte e di Fauno.
Diritto, usi e costumi - Il primo cinquantennio dell'età repubblicana nel
V secolo a.C. è caratterizzata solo dal regolamento dei mores (diritti) in forma di
massime, ma da Livio e da Dionigi d'Alicarnasso ci viene raccontato che a
partire dal 462 a.C. i plebei, resosi conto che i Pontefici emanavano i mores
(diritti)
solo in favore loro o dei patrizi, cominciarono a chiedere un'opera scritta che
riassumesse l'essenza dei mores (diritti) in modo tale da fermare il monopolio dei
Pontefici su questi regolamenti orali, tramandati e conosciuti solo dai
sacerdoti. Così nel 450 a.C. fu emanata la legge delle XII Tavole, che
in pratica era una raccolta di massime dei mores (diritti) sino ad allora esistenti. Ma
siccome l'opera era di difficile interpretazione, questa fu affidata ai
pontefici. Perciò i mores (diritti) erano sempre e comunque in mano a questi ultimi, che
li rivelavano negli ambiti dove le XII Tavole non vigevano.
A seguito di gravi tumulti verificatisi tra patrizi e plebei, furono emanate le
leggi Licinie Sestie che rappresentano il culmine di un lungo processo storico,
definito rivoluzione della plebe. Esse furono proposte dai tribuni Caio Licinio
e Lucio Sestio Laterano nel 367 a.C.. Rappresentarono il più importante e
cruciale sviluppo della costituzione romana: al vertice dello Stato ci sono due
consoli reintegrati completamente dopo l'abolizione dei tribuni militum
consulari potestate, uno dei quali avrebbe dovuto essere plebeo (de consule
plebeio). In realtà, dai dati in nostro possesso sembra piuttosto che la legge
consentisse che uno dei due consoli fosse plebeo, ma non escludesse la
possibilità che entrambi i magistrati fossero patrizi. Era poi riservata ai
patrizi la carica di pretore (latino: praetor) che amministra la giustizia («qui
ius in urbe diceret»). Viene istituita l'edilità curule.
Esercito - La componente principale dell'Esercito Romano rimaneva, anche dopo la caduta dei
re etruschi, la Legione, e solo ai cittadini romani era consentito arruolarsi,
dovendo essi stessi provvedere personalmente al loro equipaggiamento, come nella
tradizione degli Opliti greci.
In coincidenza con il passaggio alla forma di governo repubblicano, l'esercito
fu diviso in due legioni, ognuna al comando di un console, e solo in caso di
estremo pericolo le due legioni venivano unificate e veniva eletto un solo capo,
in carica sei mesi, detto dictactor. Il contingente della legione composto da
soli cittadini romani e schierato su tre File: hastati, principes e triarii,
disposti per ordine di età (i triarii erano i più anziani).
Nel corso del 407 a.C., l'esercito romano fu diviso in tre parti e
mandato a saccheggiare il territorio dei nemici sotto il comando di tre dei
quattro Tribuni militari
Lucio Valerio Potito si diresse su Anzio,
Gneo
Cornelio Cosso si diresse su Ecetra e
Gneo Fabio Ambusto attaccò e conquistò
Anxur
lasciando la preda ai soldati di
tutti e tre gli eserciti e fu istituito lo stipendio per i soldati, forse su
indicazione dello stesso Furio Camillo.
Ovvie le conseguenze: ringraziamenti dei plebei, polemiche dei Tribuni che
vedevano spuntate alcune delle loro armi, proteste di chi doveva pagare. Il
vantaggio immediato fu che venne approvata una legge che dichiarava guerra a
Veio e i nuovi Tribuni con potestà militare vi condussero un esercito in massima
parte formato da volontari.
Si tramanda che l'organico dell'esercito sia passato da 3.000 a 4.000 unità nel
V secolo a.C., e quindi da 4.000 a 6.000 effettivi dopo il 400 a.C. Quest'ultimo
organico di 6.000 uomini fu poi diviso in 60 centurie di 100 uomini ciascuna.
Attorno alla metà del IV secolo a.C., durante la guerra
latina, le legioni erano composte da 5.000 fanti e 300 cavalieri. Era
utilizzata all'interno della legione, la formazione a manipolare (dal latino manipulus). La legione a sua volta era divisa in tre differenti schiere:
la prima era costituita dagli Hastati ("il fiore dei giovani alle prime armi",
come racconta Livio) in formazione di quindici manipoli (di 60 fanti
ciascuno) oltre a 20 fanti armati alla leggera (dotati di lancia o
giavellotti, non invece di scudo), chiamati leves.
la seconda era formata da armati di età più matura, chiamati Principes,
anch'essi in formazione di quindici manipoli, tutti forniti di scudo ed armi
speciali. Queste prime due schiere (formate da 30 manipoli) erano chiamate antepilani.
la terza era formata da altri quindici "ordini", formati ciascuno da 3 manipoli
(il primo di Triarii, il secondo di Rorarii ed il terzo, di Accensi) di 60
armati ognuno. Ognuna di queste quindici unità constava di due vessilliferi
e quattro centurioni, per un totale di 186 uomini. I Triari erano soldati
veterani di provato valore, i Rorarii, più giovani e meno esperti, ed infine gli
Accensi, ultima schiera di scarso affidamento.
« Quando l'esercito aveva assunto questo schieramento, gli Hastati iniziavano
primi fra tutti il combattimento. Se gli Hastati non erano in grado di battere
il nemico, retrocedevano a passo lento e i Principes li accoglievano negli
intervalli tra loro. [...] i Triarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba
sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in
terra, con la punta rivolta verso l'alto, quasi fossero una palizzata... Qualora
anche i Principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla
prima linea fino ai Triarii. Da qui l'espressione latino "Res ad Triarios rediit"
("essere ridotti ai Triarii"), quando si è in difficoltà. »
(Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 8, 9-12.)
I Triarii, dopo aver accolto Hastati e Principes tra le loro file, serravano le
file ed in un'unica ininterrotta schiera si gettavano sul nemico.
Hastati, Principes e Triarii utilizzavano, infine, tutti lunghi scudi ovali,
detti scutum (quelli rotondi, detti clipeus furono abbandonati quando ai soldati
fu pagato per la prima volta lo stipendio, verso la fine del V secolo a.C.).
Nella prima fase della repubblica romana l'esercito continuò a evolvere e,
sebbene tra i romani vi fosse la tendenza ad attribuire tali cambiamenti a
grandi riformatori, è più probabile che i cambiamenti fossero il prodotto si una
lenta evoluzione piuttosto che di singole e deliberate politiche di riforma.
La formazione manipolare fu probabilmente copiata dai nemici Sanniti, a sud di
Roma, forse quale conseguenza della sconfitta romana nella Seconda guerra
sannitica.
Al periodo a cavallo poi tra il IV secolo ed il III secolo a.C. risalirebbe
quindi il mutamento che portò dal tradizionale schieramento oplitico-falangitico
basato sulla centuria, a quello manipolare, che rendeva più agile e articolato
l'impiego tattico della legione romana. Contemporaneamente, alla
suddivisione delle milizie secondo la classe di appartenenza, prevista
dall'ordinamento serviano, si sostituì quella secondo il criterio
dell'anzianità, e la base del reclutamento fu allargata, per la prima volta
tra il 281 e il 280 a.C., anche ai proletari.
Economia, commercio e prime monete repubblicane
-
Nella prima età repubblicana la forma più comune di azienda agricola era quella
basata sulla piccola proprietà, in cui il padrone lavorava personalmente il
podere con l'ausilio di schiavi o braccianti liberi salariati. Il piccolo
proprietario coltivava un po' tutti i prodotti (policoltura). Solo una piccola
parte dei prodotti agricoli coltivati dai nuclei familiari nelle loro piccole
proprietà finiva sul mercato, la maggior parte era destinata al fabbisogno della
famiglia del proprietario terriero. Il prodotto principalmente coltivato era il
grano. Nell'allevamento prevalevano gli ovini, mentre bovini ed equini erano
utilizzati per i lavori nelle campagne.
Dato che l'economia romana era marcatamente rurale, quando si parla di industria
nell'età repubblicana di Roma antica non si intende altro che le attività
artigianali, i cui prodotti (come quelli agricoli) erano spesso destinati non
tanto alla commercializzazione, quanto piuttosto alle necessità familiari.
Il commercio nella prima età repubblicana era legato principalmente al bestiame
e praticato mediante il baratto (la parola pecunia, moneta, deriva appunto da
pecus, bestiame). A Roma i mercati settimanali, in particolare quello del
bestiame, si tenevano nell'area del Foro Boario, tra l'Aventino e l'Isola
Tiberina. Oltre al mercato del bestiame e delle carni, si svilupparono quello
delle erbe (Forum olitorium) e delle "ghiottonerie" (Forum cuppedinis). Infine,
con la crescita delle città, a partire dalla metà del III secolo a.C. in poi si
diffusero, per lo più in prossimità del foro cittadino, quelli che oggi
chiameremmo i "centri commerciali" dell'epoca: i mercati generali (macellum).
Quando dal baratto si passò a un primo sistema monetario, il valore dell'unità
monetaria, consistente in un certa quantità di rame o di bronzo (aes rude), fu
stabilito pari a quello di una pecora o di un bue. In seguito l' aes rude fu
sostituito dalla prima moneta di bronzo, l' aes grave o asse librale (perché
inizialmente era del peso di una libbra circa), introdotta con l'avvio dei
commerci su mare intorno al 335 a.C.. Con l'espandersi di Roma al commercio
estero (in particolare con la Magna Grecia), nel III secolo a.C. comparvero le
prime monete d'argento, coniate inizialmente dall'alleata Cuma (che disponeva di
una zecca), fino a quando Roma stessa cominciò a battere moneta. Le monete più
preziose venivano utilizzate per le transazioni internazionali, quelle di minor
valore, invece, per l'economia domestica. Il monopolio dei metalli e la
proprietà delle miniere era detenuta dallo Stato.
Le monete di questo periodo sono comunemente indicate con il nome di
romano-campane. Erano di bronzo in stile greco, prodotte in piccole quantità con
l'inscrizione ΡΩΜΑΙΩΝ verso il 300 a.C.. Si ritiene che siano state prodotte a
favore di Roma da Neapolis (Napoli), basate su stile e peso simile a quello
della monetazione propria di Neapolis, ed usate per facilitare il commercio.
Roma emise il suo argento in stile greco con una doppia dracma con l'inscrizione
ROMANO, che fu coniata nel sud d'Italia e che probabilmente fu usata lì e non a
Roma. Alcuni storici ritengono che queste monete valessero 10 assi, facendone
così dei denari; questa asserzione è basata su un passo di Plinio il Vecchio del
I secolo d.C., in cui afferma che il denario fu introdotto nel 269 a.C.. Secondo
Pomponio, un giurista vissuto nel II secolo d.C., la posizione dei triumviri
monetales fu stabilita nel 289 a.C.,
"III viri aere argento auro flando feriundo"
(i tre responsabili di fondere e battere bronzo, argento e oro).
Secondo Suidas,
la zecca era situata nel tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio.
Classi sociali -
Premesso che il concetto di classe sociale è estraneo al mondo antico, si
può comunque affermare che una minoranza di grandi proprietari terrieri (patres
o patrizi, che si trasmettevano di padre in figlio il diritto di sedere in
Senato) dominava sul resto dei cittadini, che erano privi di diritti politici
(ordine della plebs o plebe). La plebs non era una "classe" omogenea, in quanto
non comprendeva solo i poveri o i proletari nullatenenti, ma anche plebei
ricchi, piccoli proprietari terrieri, artigiani e piccoli commercianti.
Ai
plebei ricchi interessava soprattutto avere un peso politico maggiore ed
accedere alle principali cariche pubbliche;
i plebei poveri, invece, assillati
dai problemi economici, chiedevano soprattutto:
l'abolizione della schiavitù per
debiti (nexum),
distribuzioni di terra
sovvenzioni da parte dello Stato.
I
rapporti fra plebei e patrizi erano complicati dal fatto che moltissimi plebei
erano clienti di famiglie patrizie: dato che il povero non contava nulla ed era
esposto a ogni sopruso, i plebei più indigenti cercavano un protettore potente (patronus)
fra i membri del patriziato, che li assistessero in tribunale e in ogni
circostanza in cambio del voto alle elezioni nei vari comizi. Per ottenere i
diritti politici la plebe condusse una serie di dure lotte (conflitto degli
ordini) dal V secolo a.C. al III secolo a.C.
Il conflitto di classe interno, unito alla sovrappopolazione e all'esigenza di
migliorare le condizioni di vita delle classi meno agiate, finì per favorire
l'espansione esterna: la conquista di nuovi territori permetteva, infatti, di
distribuire nuove terre tra la plebe (anche se in realtà le distribuzioni di
ager publicus finivano per lo più nelle mani dei più ricchi possidenti) e di
"incanalare" verso l'esterno le tensioni, stimolando la coesione sociale. Grazie
a questa spinta, la Repubblica romana avviò un processo di espansione e
colonizzazione che l'avrebbe trasformata, in due secoli, nella prima potenza
della penisola italica.
Cultura -
Lo sviluppo economico che interessò, infine, l'Urbe tra la metà del IV e
l'inizio del III secolo a.C. portò, comunque, ad un progressivo avvicinamento di
Roma all'area magnogreca, ed ebbe, dunque, anche pesanti ripercussioni sugli
aspetti istituzionali, culturali e sociali della vita nell'Urbe.
- Favorì
l'elevazione politica e sociale di una parte della classe plebea
- portò alla
scomparsa o all'attenuazione delle antiche forme di subordinazione sociale, come
la schiavitù per debiti, garantendo dunque una maggiore mobilità sociale che
causò la nascita del proletariato urbano: essa comportò a sua volta un forte
aumento della popolazione di Roma,
- favorì la costruzione di nuove strutture
nella città e modificò profondamente gli equilibri sociali.
E' innegabile che l'avvicinamento di Roma alla Magna Grecia, avvenuto verso gli
inizi del III secolo a.C. portarono notevoli ripercussioni sugli aspetti
istituzionali, culturali e sociali della vita nell'Urbe. Il contesto
culturale romano fu fortemente influenzato dalla penetrazione della filosofia
pitagorica, presto accettata dalle élite aristocratiche, e dal contatto con la
storiografia ellenistica, che modificò profondamente la produzione storiografica
romana.
Urbanistica -
I decenni successivi al 509 a.C. furono caratterizzati da una notevole attività
edilizia: tra i santuari sorsero il tempio di Saturno, il tempio dei Castori nel
Foro e quello di Cerere alle pendici dell'Aventino. Queste fondazioni dimostrano
un innegabile influsso ellenico, testimoniato anche dalle importazioni di
ceramica greca, continue fino alla metà del V secolo. A partire dal governo dei
decemviri e dalla promulgazione delle leggi delle XII tavole si registrò invece
a un periodo di crisi, causata dalla fase più acuta delle lotte tra patrizi e
plebei e dalla calata del Volsci, che significò la perdita dei territori nel
Lazio meridionale. Un analogo declino venne subìto in tutta la penisola, anche
nelle città greche e etrusche. L'unica opera architettonica di qualche rilievo
fu la fondazione del Tempio di Apollo in Campo Marzio e la Villa Pubblica,
creata per le nuove figure dei censori.
L'area del campo Marzio, a nord ovest della città, sin dall'epoca regia, fu
consacrata al dio Marte, e adibita ad esercizi militari. Tarquinio il Superbo se
ne appropriò e lo fece coltivare a grano. Secondo una leggenda, durante la
rivolta che causò la cacciata del re, i covoni di quel grano furono gettati nel
fiume dando origine all'Isola Tiberina. Con l'inizio dell'epoca repubblicana, il
Campo Marzio ritornò area pubblica e fu riconsacrato al dio. Fu sede dei comitia
centuriata, assemblee del popolo in armi.
All'inizio del IV secolo si registrò una ripresa dopo il periodo di oscure lotte
con le popolazioni confinanti, culminata con la conquista della città etrusca
rivale, Veio, dopo ben dieci anni di assedio e ad una guerra durata quasi un
secolo. Poco dopo seguì però l'attacco e la conquista da parte dei Galli (390 a.C.).
Dopo la devastante invasione (che spinse verso la decisione non attuata di
trasferirsi nella Veio da poco conquistata) si registrò una ripresa. Fu
ricostruita la grande cinta muraria in tufo di Grotta Oscura, di cui vediamo
oggi i resti, note come "mura serviane". Esse sono in realtà il frutto della
ricostruzione del periodo repubblicano lungo lo stesso tracciato, a rinforzo e
spesso in sostituzione dell'antico agger, dopo il sacco di Roma del 390 a.C.,
molto probabilmente utilizzando anche le fortificazioni precedenti.
Secondo Livio furono costruite a partire dal 377 a.C. dai censori Spurio
Servilio Prisco e Quinto Clelio Siculo. Riferisce lo storico che, passato lo
spavento dovuto al saccheggio da parte dei Galli il 18 luglio 390 a.C.,
abbandonata l'idea del trasferimento dell'intera popolazione a Veio, si decise
una rapida ricostruzione della città, talmente frettolosa e improvvisata che fu
la causa principale del caos urbanistico dell'antica Roma. Subito dopo
iniziò la costruzione della cinta muraria, che durò oltre 25 anni e costituì il
principale baluardo difensivo per sette secoli, sebbene con il tempo abbia perso
gradualmente la sua importanza strategica.
Le mura si estendevano per circa 11 km (quindi un po' più della cinta del VI
secolo), includendo circa 426 ettari. Il Campidoglio era già protetto da una
fortificazione propria, l'arce (arx capitolina). A questa furono collegati
Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Palatino, Aventino e parte del Foro
Boario, sfruttando, dove possibile, le difese naturali dei colli. Nel tratto
pianeggiante lungo poco più di un chilometro, tra Quirinale ed Esquilino, furono
rafforzate con un aggere, cioè un terrapieno largo più di 30 metri. La cinta
romana era all'epoca una delle delle più grandi in Italia e forse dell'intero
Mediterraneo.
In alcuni tratti le mura erano ulteriormente protette da un fossato largo
mediamente più di 30 metri e profondo 9. Erano alte circa 10 metri e spesse
circa 4 e, secondo alcune testimonianze, avevano 12 porte, sebbene in realtà se
ne conoscano in numero maggiore. Furono restaurate in vari periodi: 353, 217,
212 e 87 a.C.
La città, saccheggiata dagli invasori, venne velocemente ricostruita, e fu a
questa rapidità nella ricostruzione che gli storici romani (come Tito Livio)
attribuirono l'aspetto disordinato della pianta cittadina. La disordinata
urbanistica di quel periodo sembrerebbe derivare dalla rapida e continua
crescita progressiva del nucleo urbano, che non seguì alcun piano preordinato,
dove gli edifici e le vie si adattavano all'orografia del territorio. In
conseguenza si trattò piuttosto un evento di lunga durata, perché se si fosse
giunti ad una vera e propria ricostruzione si sarebbe certamente seguito un
impianto più regolare: negli edifici arcaici e del IV secolo non sono stati
individuati importanti rifacimenti o cambiamenti di pianta e orientamento.
All'età repubblicana risale la fondazione di diversi edifici pubblici e templi,
soprattutto nell'area del Foro Romano, dei quali sono rimaste conservate le
versioni architettoniche successive, del Campidoglio e del Palatino. Sempre in
quegli anni si tracciarono le prime strade consolari, i rispettivi ponti sul
Tevere e i primi acquedotti (come quello voluto dal censore Appio Claudio Cieco
nel 312 a.C.).
Solo a partire dal III secolo a.C. si andarono sviluppando le prime
trasformazioni monumentali inserite in piani urbanistici coerenti, ad esempio il
complesso di templi repubblicani dell'area sacra, costruiti
separatamente e unificati dall'inserimento in un grande portico.
Nacquero contemporaneamente i modelli architettonici della basilica civile e
dell'arco onorario. Per la prima volta venne applicata la tecnica edilizia del
cementizio, che consentì all'architettura romana di avere un suo originale
sviluppo, e iniziò l'importazione del marmo come ornamento degli edifici. Forte
era l'influenza della Magna Grecia, con artisti ellenici a Roma dall'inizio del
V secolo e l'accentuarsi del livello culturale medio dei romani. Il primo tempio
interamente in marmo, fortemente influenzato dalle forme greche, fu il tempio
rotondo del Foro Boario. Nacquero in città fabbriche di ceramica di alto
livello, che vengono esportate un po' ovunque nel Mediterraneo occidentale. Si
diffuse la tecnica per realizzare statue in bronzo: dalle statue di Alcibiade e
Pitagora ricordate nella seconda metà del IV secolo nel Comizio, opera di
artisti della Magna Grecia, alla quadriga in bronzo nel tempio di Giove
Capitolino del 296 a.C., che sostituì una quadriga in terracotta dell'etrusco
Vulca, dalle due statue colossali di Ercole e Giove nell'Area Capitolina, al
celebre Bruto Capitolino. Gli scrittori greci parlano ormai spesso di Roma, anzi
uno di loro arriva a definirla "città greca".
Architettura -
L'attività religiosa a Roma in quel periodo si intensificò notevolmente, come
testimoniano le fonti, elencando la costruzione di numerosi templi (oggi quasi
tutti scomparsi), come il tempio di Saturno al Foro (501-498 a.C.); il tempio di
Mercurio (495 a.C.); l'ara massima di Ercole invitto (495 a.C.); il tempio di
Cerere, Libero e Libera sull'Aventino (493 a.C.), il tempio dei Dioscuri al Foro
(484 a.C.); il tempio del Dus Fidius (466 a.C.); il tempio di Apollo in circo
(431 a.C.); il tempio di Giunone Regina sull'Aventino (392 a.C.); il tempio di
Marte fuori Porta Capena (388 a.C.); il tempio della Concordia (366 a.C.); il
tempio di Giunone Moneta (344 a.C.); il tempio della Salus (306-303 a.C.); il
probabile tempio di Feronia (IV secolo a.C.); il tempio di Venere al Circo
Massimo (293 a.C.); il tempio di Esculapio sull'Isola Tiberina (291 a.C.) e il
tempio della Bona Dea (272 a.C. ca.).
Risalirebbe al 329 a.C. la costruzione dei primi carceres del Circo Massimo, che
diedero così il definitivo aspetto architettonico dell'impianto. Pochi anni più
tardi (nel 312 a.C.), fu la volta della costruzione della prima strada romana
(Via Appia) e del primo acquedotto di Roma (Acquedotto Appio). Un trentennio
più tardi (tra il 272 e il 269 a.C.), il censore Manio Curio Dentato fece
costruire un secondo acquedotto, l'Anio vetus.
Arte -
Il 509 a.C. segna tradizionalmente la cacciata dei re etruschi e l'inizio delle
liste dei magistrati. La produzione artistica restò comunque a lungo influenzata
dai modi etruschi e da quelli delle città greche della Campania: fino al 390
a.C. Roma fu una semplice città dell'Italia centrale, sebbene avvantaggiata da
una posizione che favoriva il transito commerciale. Col ritiro degli Etruschi
dalla Campania (disfatta di Cuma del 474 a.C.) i traffici si indebolirono e
la città si vide costretta a ampliare il suo territorio. Dal 390 al 265 a.C. i
Romani riuscirono a conquistare l'Italia subappenninica; contemporaneamente i
plebei riescono a accedere alle cariche pubbliche.
L'attività religiosa a Roma in quel periodo era intensa, come testimoniano le
fonti elencando una serie di templi oggi quasi tutti scomparsi. Ciascuno
aveva le sue statue di culto, alle quali vanno aggiunte altre numerose statue,
per la maggior parte in bronzo, che decoravano la città (tutte scomparse).
Alcuni riferimenti sulle monete e su reperti di Tarquinia, Chiusi, Perugia
e Volterra (inizio del III secolo- fine del I secolo a.C.) permettono di
avanzare ipotesi sull'aspetto di queste statue, legato all'ellenismo provinciale
italico, ovvero la riproduzione di modelli del primo e secondo ellenismo con
errori, interpolazioni e semplificazioni. Ne viene fuori un'arte popolaresca
volta solo ai fini pratici di narrazione o di modesta decorazione.
Un esempio unico di scultura di produzione superiore all'artigianato è la
cosiddetta testa di Giunio Bruto, oggetto però di numerose ipotesi di datazione
che oscillano dal IV al I secolo a.C.
Questa scarsità di interesse artistico è ben giustificabile dal quadro della
mentalità romana, intesa come espressione di una popolazione da sempre abituata
a lottare contro la natura, la povertà e le popolazioni vicine. Il patrizio
romano era tipicamente un uomo duro, violento e tenace, forgiato dalla fatica,
abituato a dominare incontrastato nella cerchia familiare e ad avere interessi
essenzialmente pratici e rivolti all'immediato. L'incombenza di forze
inafferrabili spingeva questi individui a una superstizione diffidente, che
rifiutava tutto ciò che non recasse un'utilità immediata. Nel II secolo a.C., ad
esempio, il Senato stabilì da demolizione di un teatro in pietra appena iniziato
"come cosa inutile e nociva ai costumi".
Passaggio fondamentale per l'arte e l'architettura romana fu il 280 a.C., quando
l'esercito di Pirro si scontrò coi Romani in Italia, determinando il primo vero
contatto diretto tra Romani e genti del tutto grecizzate. Nel giro di due
generazioni, tra il 264 e il 202 a.C. (dalla prima guerra punica alla battaglia
di Zama) Roma divenne una potenza nel Mediterraneo occidentale; nel 272 a.C. si
colloca la vittoria su Taranto, seguita dalla presa di Reggio (270 a.C.), la
lega con Siracusa durante la prima guerra punica (264-241 a.C.) e l'ammissione
dei Romani ai giochi istmici di Corinto del 228 a.C., che equivaleva all'entrata
di Roma nella società delle nazioni di civiltà greca.
Pittura -
Riguardo invece alla pittura trionfale, a Roma si hanno testimonianze dalla
prima metà del V secolo a.C., con la citazione dei pittori italioti e sicelioti
Damofilo e Gorgaso, autori della decorazione pittorica del tempio di Cerere,
fondato da Spurio Crasso nel 493 a.C.. Ciò testimonia la presenza di artisti
di varia provenienza, ma non l'esistenza a Roma di una scuola pittorica con
caratteri peculiari. La pittura a quell'epoca aveva un fine prevalentemente
pratico, ornamentale e, soprattutto, celebrativo.
Primi spettacoli teatrali -
I primi teatri dell'antica Roma furono costruiti sull'esempio di quelli greci,
nella direzione dell'intrattenimento. Più tardi, alle prime rappresentazioni
tipicamente di stampo ellenistico, seguirono anche quelle latine, spesso incluse
nei giochi, accanto a combattimenti di gladiatori, ma soprattutto, sin dalle
origini collegate alle festività religiose. Sappiamo, infatti, che nel 364 a.C.,
durante i ludi romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa
una forma di teatro originale, costituita da una successione di scenette
farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati fescennina licentia.
Durante i fescennini si svolgevano canti travestimenti e danze buffonesche. Il
genere, di derivazione etrusca, non ebbe mai una vera e propria evoluzione
teatrale, ma contribuì alla nascita di una drammaturgia latina.
La provenienza di molti testi era di origine greca, in forma di traduzioni
letterali o rielaborazioni (vertere), mescolate ad alcuni elementi di tradizione
etrusca. Era anche d'uso la contaminatio, consistente nell'inserire in un
testo principale scene di altre opere, adattandole al contesto. Non di rado i
testi erano censurati, impedendo riferimenti diretti alla vita civile o
politica, mentre era esaltato il gusto della gestualità e della mimica. Il
teatro era rivolto alla popolazione intera, e l'ingresso era gratuito.
Nel mondo greco-italico si assiste alla fioritura di spettacoli teatrali fin dal
VI secolo a.C. nei quali prevale l'aspetto buffonesco. In Magna Grecia e Sicilia
dalla fine del V al III secolo a.C. si diffonde la farsa fliacica, commedia
popolare, in gran parte improvvisata in cui gli attori-mimi erano provvisti di
costumi e maschere caricaturali. Fissata in forma letteraria da Rintone di
Siracusa, tutto quello che ne è rimasto sono le raffigurazioni su vasi,
ritrovate nei pressi di Taranto, il cui studio ha permesso solo una parziale
ricostruzione del genere.
L'atellana, farsa popolaresca di origine osca, proveniente dalla città campana
di Atella, fu importata a Roma nel 391 a.C.: prevedeva maschere ed era
caratterizzata dall'improvvisazione degli attori su un canovaccio; quattro erano
i personaggi fissi dell'atellana: Maccus, Pappus, Bucco e Dossennus.
Lo spirito farsesco dei fescennini e delle rappresentazioni di musica e danza
etrusche generò la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo notizia: la
satura. Questo genere consisteva in una rappresentazione teatrale mista di
danze, musica e recitazione.
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