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tra Rivoluzione Industriale e Illuminismo

Nel Settecento, in particolare nella seconda metà del secolo, si verificò in Europa una forte crescita demografica; infatti in cento anni la popolazione europea crebbe di circa 70 milioni di individui, un aumento superiore a quello verificatosi nei tre secoli precedenti.
Con la rivoluzione demografica del Settecento, che può essere paragonata a quella prodotta dalla scoperta dell'agricoltura nell'età neolitica, ebbe inizio un processo irreversibile di crescita della popolazione, tipico dell' età contemporanea.
Innanzitutto si registrò un progressivo declino della mortalità. Per secoli la popolazione europea era cresciuta lentamente, perché a un alto tasso di natalità corrispondeva un quasi altrettanto elevato tasso di mortalità. Invece nel corso del XVIII secolo si verificò un calo progressivo della mortalità, soprattutto quella infantile, per diversi motivi favorevoli.
Innanzitutto i progressi dell'agricoltura (di cui parleremo tra poco) produssero un miglioramento dell'alimentazione.
Un altro fattore che favorì la diminuzione della mortalità europea fu la scomparsa della peste dal nostro continente, per motivi ancora poco conosciuti. L'ultima terribile epidemia si abbatté sulla Francia meridionale, in particolare a Marsiglia, nel 1720-1721. Altre malattie, come il vaiolo, diventarono meno pericolose grazie all'introduzione di rimedi più efficaci .peste

Armi più efficaci contro le epidemie - Nel Settecento la lotta contro le epidemie divenne più efficace attraverso l'applicazione di più rigorosi provvedimenti per isolare le zone colpite. Inoltre durante il Settecento si giunse alla scoperta di un mezzo molto efficace per prevenire le malattie infettive, la vaccinazione.
Ciò a partire dal 1720 in Inghilterra alcuni medici, per combattere le epidemie di vaiolo, avevano sperimentato un sistema giunto da Costantinopoli, dove lo si praticava da tempo: pungersi con un ago infettato nel pus del vaiolo. In questo modo la persona contraeva la malattia, ma in forma benigna, e dopo un breve periodo acquisiva un'immunità definitiva nei confronti del vaiolo. Il sistema fu perfezionato dal medico inglese Edward Jenner, il quale aveva notato che alcune donne di campagna, che avevano contratto il vaiolo bovino (o "vaccino"), risultavano immuni dal vaiolo umano.
Nel 1796 Jenner iniettò per la prima volta il vaccino, cioè il vaiolo ricavato da una mucca infetta, a un bambino: era nata la vaccinazione, uno strumento di difesa fondamentale nei confronti delle malattie infettive.


La nuova agricoltura europea -

La crescita demografica del XVIII secolo fu non solo l'effetto, ma anche la causa della rivoluzione agricola, verificatasi soprattutto in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Francia.Agricoltori
Infatti la crescente richiesta di cibo da parte della popolazione faceva salire i prezzi dei prodotti alimentari e spingeva i contadini ad aumentare la produzione agricola attraverso l'espansione dei terreni coltivati e l'introduzione di nuove tecniche. L'ampliamento delle zone coltivate fu realizzato bonificando pianure paludose e abbattendo boschi di collina e di montagna per far posto alle coltivazioni e ai pascoli artificiali.
Ancora più importante per la crescita della produzione agricola fu il passaggio dalla rotazione triennale alla rotazione permanente, cioè l'eliminazione del maggese improduttivo e la sua sostituzione con piante foraggere (trifoglio, erba medica), adatte all'alimentazione degli animali allevati. Queste piante, oltre ad arricchire il terreno di sostanze utili alla coltivazione dei cereali, permisero di sviluppare l'allevamento e di dare vita a una moderna agricoltura, nella quale le coltivazioni e l'allevamento erano tra loro strettamente integrati. All'interno di queste moderne aziende furono introdotte nuove piante alimentari, come il mais, la patata, la rapa e la barbabietola da zucchero.
La produzione agricola aumentò anche per l'impiego di nuovi e più perfezionati attrezzi da lavoro, quali l'aratro di ferro adatto per arature profonde, la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.

La formazione di grandi aziende agricole - L'incremento della produzione agricola nelle regioni atlantiche del continente fu realizzato anche grazie alla formazione di aziende di grandi dimensioni e all'eliminazione delle terre comuni (boschi, pascoli). In Inghilterra alcuni proprietari più ricchi attraverso le cosiddette recinzioni (enclosures) raggrupparono diversi campi e parti delle terre comuni in modo da formare aziende agricole abbastanza vaste e produttive. Ma in questo modo molti contadini rimasti senza terra furono costretti a emigrare nelle città, dove spesso diventarono operai delle nascenti fabbriche.
 

Lo sviluppo del commercio internazionale -

Nel Settecento si verificò un forte sviluppo dei commerci tra gli stati europei, ma soprattutto si intensificarono gli scambi commerciali tra i diversi continenti del mondo, in particolare con quelle regioni dell'America, dell'Africa e dell'Asia colonizzate dalle potenze europee. Nel 1780 le potenze europee controllavano circa i tre quarti di tutto il commercio internazionale. Il centro di questa rete di scambi mondiali era costituito dall'Inghilterra, che allora disponeva della flotta più potente del mondo, seguita dalla Francia.


La ripresa economica dell'Italia -

Durante il Settecento anche in Italia si verificò una ripresa economica, favorita dalla crisi dell'egemonia spagnola sulla penisola e dall'influenza positiva dell'Austria, che controllava l'Italia settentrionale. Dopo più di un secolo di crisi dei commerci mediterranei, l'Italia era diventata un paese prevalentemente agricolo.
Nel Settecento si ebbe un aumento della produzione agricola in seguito alla crescita della popolazione, ma anche per l'incremento delle esportazioni verso i paesi più ricchi d'Europa, di alcuni prodotti italiani, come vino, olio e soprattutto seta greggia lavorata in Piemonte, Lombardia e Calabria.
L'aumento della produzione agricola fu favorito dalla bonifica di territori paludosi in alcune regioni italiane, come la Toscana, ma anche dalla distruzione di boschi collinari e montani e dalla riduzione di terre comuni e pascoli collettivi, che aggravarono l'instabilità idrogeologica del nostro territorio e le condizioni di vita delle masse contadine.


Porti franchi e nuove strade -

L'intensificazione degli scambi commerciali tra l'Italia e l'Europa fu favorita dalla costituzione nel corso del Settecento di numerosi porti franchi, cioè luoghi nei quali le merci non erano soggette al pagamento di tasse doganali, a Livorno, Trieste, Ancona, Civitavecchia, Messina.
Altrettanto importante per i commerci fu la costruzione, nel 1771 da parte delle autorità austriache, di una carrozzabile che attraverso il passo del Brennero collegava l'Austria alla pianura padana e attraverso il valico dell'Abetone giungeva a Firenze.

La scienza si collega alla tecnica -

Nel XVIII° secolo la nuova scienza sperimentale, nata nel Seicento con la cosiddetta "rivoluzione scientifica" compì importanti progressi e divenne sempre più collegata alla tecnica.
Infatti le scoperte scientifimacchina a vaporeche non rimanevano nel chiuso dei laboratori e degli studi, ma diventavano il punto di partenza di nuove invenzioni, nuove applicazioni pratiche nei campi dell'economia (agricoltura e industria), dei trasporti, della produzione energetica.
Un ruolo fondamentale nello sviluppo della scienza e della tecnica nel Settecento fu svolto dalle numerose accademie e società scientifiche, fondate soprattutto in quei paesi come l'Inghilterra dove era più forte la richiesta di nuove tecniche da applicare nella produzione.
Ricordiamo, per esempio, che nel corso del Settecento furono effettuate importanti ricerche e sperimentazioni sull'elettricità a opera di scienziati come l'americano Benjamin Franklin, inventore del parafulmine, e l'italiano Alessandro Volta, che nel 1800 costruì la prima pila.
Inoltre nel XVIII° secolo furono inventate le prime macchine a vapore che svolgeranno un ruolo decisivo nella nascita delle industrie moderne e della ferrovia. Il vapore venne a sostituire le fonti energetiche usate fino ad allora dagli uomini, cioè la forza umana e animale e la forza motrice dell'acqua e del vento.

I progressi della chimica - Il settecento fu anche il secolo di nascita della chimica moderna, grazie agli studi degli scienziati, prima fra tutti il francese Lavoisier. Costui, utilizzando le scoperte di scienziati inglesi su alcuni gas come l'anidride carbonica, giunse alla scoperta che nell'aria era presente un gas che egli chiamò ossigeno.
Dimostrò poi che l'acqua era composta da ossigeno e idrogeno e giunse alla comprensione di alcuni fenomeni chimici come la combustione.
Le ricerche chimiche sulla composizione dell'aria spinsero due francesi, i fratelli Montgolfier a costruire un pallone aerostatico, la mongolfiera, il primo oggetto volante costruito dall'uomo che si sollevò in aria nel 1783.


La rivoluzione industriale: un nuovo modo di produrre -

Negli ultimi decenni del Settecento si verificò in Inghilterra la prima rivoluzione industriale, cioè un radicale cambiamento nel modo di produrre, che si differenziava totalmente dal modo di produzione delle botteghe artigiane e delle manifatture, eindustrializzazione che diventerà tipico dell'età contemporanea. L'aspetto distintivo della rivoluzione industriale è costituito dal notevole aumento della produzione di merci, inizialmente soprattutto prodotti tessili, grazie all'impiego di nuove macchine e di una nuova forza motrice, il vapore, che sostituì le fonti energetiche usate fino ad allora dagli uomini, cioè la forza umana e animale e la forza motrice dell'acqua e del vento.

Questo nuovo sistema di produzione è stato chiamato rivoluzione industriale, perché ha modificato profondamente il lavoro e la vita degli uomini e più in generale il volto della Terra.
Le conseguenze prodotte dalla rivoluzione industriale possono essere così sintetizzate:
- un aumento considerevole della produzione di beni e di conseguenza l'allargamento dei consumi ai ceti meno abbienti della popolazione;
- la crisi del lavoro artigianale e la nascita di un nuovo modo di produrre basato sulla divisione del lavoro;
- la formazione di nuove classi sociali, gli operai di fabbrica e la borghesia industriale;
- la formazione delle nuove città e la trasformazione degli agricoltori in operai;
- la diffusione dei prodotti industriali in mercati sempre più vasti, anche grazie allo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto come la ferrovia.
Perché la rivoluzione industriale inizia in Inghilterra?
L'Inghilterra nel XVIII° secolo era diventata padrona di un vasto impero commerciale e ciò aveva favorito, da parte della borghesia mercantile, l'accumulo di capitali, cioè di grosse somme di denaro, che potevano essere impiegati nelle nuove attività industriali. Inoltre le colonie permettevano all'Inghilterra di importare alcune materie prime, come il cotone, necessarie alla nascente industria tessile e di esportare i suoi manufatti industriali.
Anche i grandi progressi dell'agricoltura favorirono l'accumulo di capitali da parte della borghesia inglese, e stimolarono lo sviluppo di fabbriche che lavoravano le materie prime agricole (lanifici, distillerie, mulini e di quelle che producevano nuovi attrezzi da lavoro (cioè le industrie meccaniche). Inoltre, in seguito alla recinzione delle terre comuni e alla formazione di grandi aziende agricole, si era formata una massa di disoccupati pronti a migrare nelle città e a lavorare nelltelaioe nuove fabbriche.

a - accumulo di capitali

b - disponibilità di materie prime

c - vasti mercati di vendita

d - disponibilità della manodopera

L'Inghilterra inoltre, nel corso del Settecento, aveva registrato un forte aumento demografico; ma più popolazione significava non solo maggiore disponibilità di manodopera, ma anche maggiore richiesta di beni di consumo alle nuove industrie, che basavano il loro sviluppo proprio sull'aumento delle vendite.
Infine va ricordato che l'Inghilterra era uno dei paesi europei più ricchi di carbon fossile, cioè della materia prima utilizzata per far funzionare le macchine a vapore nell'industria tessile e metallurgica
Produzione secondo il sistema domestico - In Inghilterra, sin dal XVI secolo, la produzione dei tessuti avveniva in maniera sempre più diffusa secondo il sistema domestico: nelle campagne e nei villaggi rurali, molti contadini erano anche artigiani che filavano e tessevano la lana nei mesi morti dell'anno agricolo, cioè soprattutto nel periodo invernale: il contadino tesseva con il telaio domestico, mentre sua moglie filava e i figli cardavano la lana. I prodotti finiti erano poi acquistati da mercanti, che si recavano regolarmente nei villaggi rurali, e che li rivendevano nelle città.
Con l'aumento della produzione e con l'ampliamento dei mercati di vendita si verificò una prima importante trasformazione del sistema domestico: alcuni mercanti che avevano capitali adeguati compravano una grande quantità di materia prima (lana o cotone) che poi affidavano per la filatura e la tessitura a molti artigiani-contadini. Costoro poi riconsegnavano il prodotto finito al proprietario che li pagava per il. lavoro svolto. In questo sistema l'artigiano lavorava ancora a domicilio con i suoi attrezzi, ma non era più un artigiano indipendente perché lavorava alle dipendenze di un mercante manifatturiero.
Produzione in fabbrica - La definitiva trasformazione del sistema domestico si verificò con l'introduzione delle prime macchine per filare e tessere azionate dal vapore.telaio
Infatti queste erano molto più costose dei tradizionali arcolai e telai, perciò potevano essere acquistate solo da ricchi mercanti.
Costoro iniziarono a costruire degli edifici appositi, le fabbriche, nelle quali venivano installate alcune macchine per filare e tessere la lana e il cotone e nelle quali lavoravano a tempo pieno operai salariati.
Dall'artigiano all'operaio - Nelle nuove fabbriche inglesi lavoravano ex contadini costretti a migrare in città a causa delle recinzioni che li avevano privati della terra, oppure ex artigiani mandati in rovina dalle nuove macchine che riuscivano a produrre tessuti di lana in gran quantità e a prezzi ridotti.
Questi operai delle fabbriche si distinguevano dagli artigiani dei secoli passati per diversi aspetti. In primo luogo gli operai si differenziavano dagli artigiani perché erano privi dei mezzi di produzione, cioè degli strumenti di lavoro (telai, filatoi). L'unica "ricchezza" che era loro rimasta era la capacita produttiva, il lavoro, che essi vendevano agli industriali in cambio di un salario. In secondo luogo, l'artigiano era un lavoratore indipendente, anche perché poteva decidere come organizzare il suo lavoro, quanta merce produrre e quante ore lavorare, quando interrompere e riposarsi. Invece, nelle fabbriche il lavoro era ritmato dalle macchine e dagli orari, ed era sottoposto a severi regolamenti che prevedevano multe in caso di interruzioni ingiustificate: non era più l'uomo a usare l'attrezzo secondo le sue esigenze, ma era la macchina a imporre i suoi ritmi agli operai.
L'artigiano inoltre, possedeva un'abilità, una qualificazione professionale che spesso gli permetteva di produrre un oggetto finito, partendo dalla materia prima. Invece l'operaio all'interno della fabbrica doveva solo controllare la macchina e compiva dei lavori molto semplici e ripetitivi, che non richiedevano una particolare abilità.
Per questo motivo nelle fabbriche inglesi durante la prima rivoluzione industriale spesso erano assunti bambini e donne, che erano in grado di compiere questi lavori e che permettevano all'industriale di risparmiare sui costi perché donne e bambini erano pagati meno degli uomini.

La nascita delle città industriali - Con la rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra lo sviluppo di nuove città caratterizzate, rispetto ai vecchi centri urbani dell'Europa, innanzitutto da una rapidissima crescita della popolazione. Spesso si trattava di piccoli villaggi rurali o cittadine di poche centinaia o poche migliaia di abitanti che nel giro di alcuni decenni crebbero fino a 100 mila abitanti: infatti le città sedi di fabbriche richiamavano dalle campagne circostanti moltissimi contadini e artigiani privati del lavoro dalla meccanizzazione sia agricola sia industriale.
Con la crescita della popolazione e delle fabbriche, nelle città industriali nacquero quartieri operai formati da abitazioni anguste e malsane, prive di luce e di servizi elementari, dove spesso le condizioni di vita erano peggiori di quelle delle pur misere abitazioni di campagna. Ma ciò che caratterizzava maggiormente le nuove città industriali era la fitta selva di ciminiere che emanavano giorno e notte grandi quantità di fumo che rendevano l'aria malsana, cui si aggiungevano i fiumi e i canali diventati fogne di scarico delle industrie.

Il secolo dei lumi - Il Settecento non fu solo il secolo della rivoluzione agricola e industriale; esso viene ricordato anche come il secolo dell'Illuminismo: questo fu un importante movimento culturale nato in Francia e poi diffusosi in Europa, che produsse un profondo rinnovamento nella vita culturale, politica e sociale dell'epoca.
La parola "illuminismo" deriva dal francese lumiere (luce) e indica la caratteristica fondamentale di questo movimento: la volontà di rischiarare con la luce della ragione le tenebre dell'ignoranza, dei dogmi e delle superstizioni; questo significa anche che bisogna sottoporre ogni aspetto della vita umana all'esame critico della ragione e dell'esperienza sensibile, cioè l'esperienza diretta, che si acquisisce attraverso i sensi.illuminismoPer gli illuministi ogni conoscenza doveva essere utile, cioè doveva contribuire a quelle che essi ritenevano le finalità fondamentali della vita umana, cioè il benessere e la felicità degli individui ma anche il progresso della società umana.

La diffusione della cultura - Ma per far trionfare la ragione sulle tenebre dell'ignoranza e per contribuire al progresso umano era necessaria la diffusione della cultura tra tutte le persone; all'intellettuale illuminista spettava quindi il compito di educatore nei confronti di tutta l'umanità.
Non a caso la più famosa opera degli illuministi francesi fu l'Encyclopedie, un grande diziona
enciclopediario enciclopedico in 28 volumi, destinato a diffondere la cultura e i progressi raggiunti fino ad allora, soprattutto nel campo delle scienze e delle tecniche. Alla stesura delle 60 mila voci dell'Encyclopedie, pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772 sotto la direzione di Diderot e D'Alembert, contribuirono i principali esponenti dell'Illuminismo francese, quali Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Buffon.
Le idee religiose e politiche degli illuministi - L'illuminismo fu un movimento culturale vario e complesso, caratterizzato da alcune idee comuni, ma anche da differenze sostanziali tra i suoi esponenti. In campo religioso gli illuministi erano uniti nella strenua difesa della tolleranza e nella critica di ogni fanatismo religioso. Preso di mira fu soprattutto il cristianesimo, in particolare nella sua variante cattolica: la Rivelazione, la morale ascetica, la Sacra Scrittura, i dogmi. Gli ecclesiastici furono maltrattati senza riguardi. E un violentissimo attacco fu sferrato contro la pretesa di ogni religione di essere l'unica vera: pretesa il cui frutto avvelenato era l'intolleranza, con il suo sanguinoso corteo di guerre e persecuzioni.
All'intolleranza delle religioni storiche alcuni illuministi contrapponevano il deismo, una concezione religiosa nella quale Dio è l'essere supremo che garantisce l'ordine e le leggi della natura, un "orologiaio" artefice della meravigliosa macchina della natura. Altri illuministi invece giungevano all'ateismo e al materialismo, cioè alla spiegazione fisica di tutti gli aspetti della vita, anche quelli spirituali.


Il secolo dei lumi - Gli illuministi erano impegnati nella costruzione di un governo che sapesse armonizzare il benessere e la felicità degli individui. In generale gli illuministi erano favorevoli a una monarchia costituzionale, simile a quella inglese, nella quale il potere era affidato al sovrano e ai rappresentanti della classe aristocratica; tale governo doveva garantire a tutti i cittadini anche alcuni diritti fondamentali, come la libertà religiosa e di pensiero, e il diritto alla proprietà privata. Inoltre, per evitare i soprusi propri dei regimi dispotici, era necessaria secondo alcuni illuministi come Montesquieu, la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario).
Invece il ginevrino Rousseau nella sua opera il Contratto sociale proponeva una democrazia nella quale tutto il popolo governasse tramite i propri rappresentanti, revocabili in qualsiasi momento. Rousseau si differenziava dagli altri illuministi anche per la critica della società del tempo, basata sull'egoismo, sul lusso sfrenato, sulle diseguaglianze sociali. Solo nel primitivo "stato di natura" secondo Rousseau gli uomini erano stati veramente liberi e uguali.
Che cos'è l'illuminismo - Nel 1784 una rivista culturale tedesca pose questa domanda a molti intellettuali: riportiamo la risposta del filosofo Immanuel Kant (1724-1804).
Nelle sue opere egli si dedicò all'indagine interne al potere e ai limiti della ragione umana.
"L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Questa minorità è imputabile a se stesso, se la causa non dipende dalla mancanza di intelligenza ma da mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. E' questo il motto dell'illuminismo."

L'Illuminismo italiano - Uno dei principali centri dell'Illuminismo italiano fu Milano; qui alcuni giovani esponenti della nobiltà lombarda, in rottura con le idee e la società dei loro padri, diedero vita a un'accademia, la "Società dei Pugni" e a un giornale, "Il Caffé", che divennero vivaci mezzi di diffusione delle idee illuministiche provenienti dalla vicina Francia.

I maggiori contributi al gruppo milanese furono dati dai fratelli Pietro e Alessandro Verri e da Cesare Beccaria, autore del libro "Dei delitti e delle pene", che ebbe una notevole diffusione in tutta l'Europa. In questo scritto Beccaria sosteneva che le pene dovevano avere una funzione di prevenzione dei delitti e non di repressione. Sulla base di questo principio egli giungeva alla condanna della tortura allora usata nei processi, perché "un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice" e quindi non può essere sottoposto a una punizione come la tortura. Cesare Beccaria inoltre argomentava il ripudio della pena di morte. Napoli fu il secondo importante centro di diffusione delle idee illuministiche in Italia.
Nella città campana si forma un gruppo di giovani illuministi, soprattutto attorno alla figura dell'economista Antonio Genovesi, deciso sostenitore di una società libera da ogni vincolo feudale e corporativo, aperta allo sviluppo dei commerci e dell'agricoltura, sul modello di quella inglese.

La rivoluzione industriale - Sin dalla preistoria l'uomo ha avuto bisogno di trasformare le materie prime in manufatti o prodotti adatti a soddisfare le sue esigenze e a migliorare il suo tenore di vita: già dall'antichità ha imparato a usare macchine sempre più complesse.
Il rapporto tra l'essere umano, la macchina e l'oggetto prodotto cambia gradualmente, ma in maniera sempre più radicale: l'uomo non lavora più nella bottega o nell'industria famigliare, diviso dagli altri; non esegue più il lavoro nella sua completezza; non produce più separato dalla macchina. L'uomo va a lavorare in fabbrica.

La fabbrica, luogo adeguatamente predisposto e attrezzato, è lo stabilimento in cui si svolge l'attività industriale, cioè la produzione basata sull'uso della macchina, sulla divisione del lavoro, sulla concentrazione di manodopera e sulla retribuzione salariale.
 

Le guerre di Successione - La prima metà del Settecento europeo fu dominata da tre guerre di Successione, scoppiate con il pretesto di contese dinastiche, cioè di successione al trono. In realtà erano guerre di potenza, in cui ciascuno Stato intendeva affermare la propria superiorità. Prima la Spagna, poi la Polonia, infine l'Austria furono al centro di conflitti che sconvolsero i precedenti equilibri.

La guerra di Successione spagnola fu originata dalla pretesa di Luigi XIV di ottenere la corona spagnola per il proprio nipote Filippo di Borbone: morto il re di Spagna Carlo II, il Re Sole, che ne aveva sposato la figlia, sosteneva il proprio diritto al trono. Ma le altre potenze europee (prima Inghilterra, Olanda e Austria, poi anche Portogallo e Savoia) videro in questo disegno una grave minaccia per la propria indipendenza e scatenarono una guerra (1701) che si concluse con la sconfitta della Francia.
La pace (Trattato di Utrecht, 1713) stabilì che Filippo di Borbone sarebbe divenuto re di Spagna, ma gli impose di cedere all'Austria i Paesi Bassi del Sud e i possedimenti italiani (la Lombardia, il Regno di Napoli e la Sardegna). La Sicilia fu assegnata al duca di Savoia Vittorio Amedeo II (nel 1713 ottenne il titolo di re di Sicilia). Nel 1718 Amedo II scambiò la Sicilia con la Sardegna, divenendo re di Sardegna.

Le guerre di Successione polacca (1733-1738) e di Successione austriaca (1740-1748) rimisero in discussione la stabilità dell'Europa alterando gli equilibri che si erano precedentemente affermati. La pace di Aquisgrana (1748) ridisegnò la carta geopolitica dell'Europa. L'Italia ne uscì così suddivisa:


Regno di Sardegna (che comprendeva il Piemonte con la capitale Torino, la Valle d'Aosta, la Savoia, Nizza) a Carlo Emanuele III di Savoia;
Ducato di Milano all'Austria;
Venezia repubblica indipendente;
Genova repubblica indipendente;
Toscana ai granduchi di Lorena (parenti degli Asburgo d'Austria);
Ducato di Parma e Piacenza ai Borbone (parenti del re di Spagna);
Stato pontificio al papa;
Regno delle Due Sicilie (Napoli e la Sicilia) a Carlo III di Borbone.
 

Le nuove potenze europee - In quegli stessi anni alla ribalta dell'Europa si affacciavano nuove nazioni, sino ad allora rimaste confinate nei loro territori ai margini del continente; ma alcune di esse divennero col tempo tanto potenti, sul piano militare ed economico, da assumere un peso crescente nella politica europea. La Svezia, già protagonista della guerra dei Trent'Anni, era uno Stato prospero grazie alle miniere di ferro e al commercio baltico, mentre la debole Polonia fu vittima di una brutale spartizione tra la Prussia, la Russia e l'Austria.

La Prussia, una regione baltica incuneata nel regno di Polonia, durante la Riforma luterana era stata riconosciuta come ducato protestante e assegnata ai duchi di Hohenzollern (1515): costoro, partecipando a una serie di guerre vittoriose, l'avevano considerevolmente ampliata.
Nel 1701 l'imperatore d'Austria, in cambio della neutralità della Prussia nella guerra di Successione spagnola, concesse a Federico I Hohenzollern il titolo di re. Da allora la Prussia praticò una politica di potenza che aveva come obiettivo un sempre maggiore allargamento del territorio, e come strumento un esercito numeroso, disciplinato e forte.
Altra nazione con cui gli Stati europei dovettero imparare a misurarsi era la Russia. Sino all'inizio del 1700 essa non aveva quasi avuto rapporti con il resto dell'Europa, prima perché travolta dalle invasioni dei Mongoli, poi perché occupata a reprimere le continue rivolte delle popolazioni asiatiche sottomesse nel corso del XVI e del XVII secolo.
L'immenso Paese faceva capo ai principi di Mosca, che lo mantennero in condizioni di grave arretratezza sociale ed economica sino a quando prese il potere Pietro il Grande (1689): attraverso una serie di riforme che si ispiravano al modello occidentale, imposte con inesorabile fermezza, egli impresse alla Russia un volto più moderno. Particolarmente efficaci furono la semplificazione dell'apparato amministrativo e di quello fiscale, il finanziamento di manifatture, la fondazione di Società di navigazione.

L'OPERA DI PIETRO IL GRANDE - Quando, in seguito alla morte precoce di tutti gli eredi al trono, Pietro Alekseevic fu proclamato zar, era tanto impreparato a quel compito da saper a malapena leggere e scrivere. Ma la prodigiosa intelligenza, l'energia inarrestabile e la sicurezza di sé gli permisero di ottenere, nel corso del suo regno (dal 1689 al 1725), una lunga serie di successi. Il prezzo fu pagato dal popolo, sottoposto ad un regime spietatamente repressivo, ma le trasformazioni attuate dal sovrano riuscirono in gran parte a sollevare la Russia dalle condizioni medievali in cui sino allora era vissuta.
Innanzitutto Pietro consolidò il proprio potere personale: eliminò la pericolosa opposizione dei Boiari (l'aristocrazia più antica, abituata a far prevalere la propria volontà su quella imperiale); represse sanguinosamente un seguito di congiure famigliari (oltre a quella della sua guardia personale); istituì un Sinodo sotto la sua personale vigilanza, per stroncare l'invadenza della Chiesa ortodossa. Quindi si dedicò al rinnovamento radicale delle strutture del suo Paese, sul modello degli Stati occidentali che aveva visitato durante la giovinezza.
Dapprima rafforzò l'esercito e allestì una flotta, di cui in precedenza la Russia non disponeva, quindi utilizzò l'uno e l'altra per combattere con successo contro la Svezia e la Turchia.
In seguito fece costruire una nuova capitale sul Golfo di Finlandia: San Pietroburgo, aperta verso l'Occidente. Infine introdusse una serie di importanti riforme:
istituì il Consiglio della corona;
snellì la burocrazia;
semplificò il sistema fiscale (anche se le imposte gravavano soltanto sui ceti deboli);
semplificò i caratteri dell'alfabeto cirillico (in uso dal IX secolo) rendendoli più accessibili, e quindi favorì la diffusione dei libri;
impose per gli uomini l'uso occidentale del volto rasato e dei pantaloni in luogo della tradizionale veste russa, l'ampio e largo caftano;
introdusse il calendario gregoriano in sostituzione di quello russo (che contava gli anni da quello che si credeva fosse l'anno 1 dopo la creazione del mondo, e calcolava i mesi a partire da settembre);
istituì Compagnie commerciali sul modello di quelle olandesi;
finanziò l'impianto di numerose manifatture.
Rimanevano però non risolti molti gravi problemi del Paese: il territorio così vasto da non poter essere controllato; l'isolamento delle regioni più orientali; la mancanza di istruzione.

La campagna inglese nel 700 -

Alla fine del XVIII secolo in Inghilterra si verificò un notevole incremento demografico (circa del 40%), dovuto a diversi elementi: l'opera di bonifica e prosciugamento delle paludi; i progressi della scienza medica; una più consapevole attenzione all'igiene domestica e urbana.
Ma determinante fu la trasformazione del settore agricolo, che permise un'alimentazione migliore e a minor costo.
Nei secoli precedenti la legge obbligava i proprietari inglesi a lasciare una parte delle loro terre «aperte» ai contadini, ì quali avevano il diritto di farvi pascolare gli animali e raccogliere la legna e la vegetazione spontanea. Quando questo vincolo cadde (all'inizio del Settecento), la superficie delle terre coltivate crebbe notevolmente, in quanto i «campi aperti» vennero in gran parte bonificati e dissodati. Forti del loro aumentato potere, i proprietari terrieri finirono con l'impadronirsi anche delle terre comunali e le recintarono (si chiamarono enclosures).
EnclosuresCon l'ampliamento delle aree utilizzate per l'agricoltura, furono sperimentate nuove tecniche: venne abbandonata la rotazione triennale a favore della quadruplice rotazione (foraggio-orzo-trifoglio-grano), fu intensificata la coltivazione dei cereali, venne selezionato l'allevamento del bestiame (in particolare dei cavalli). Le zone destinate a pascolo vennero ridotte, ma la quantità di animali allevati non diminuì: tutto ciò naturalmente accrebbe la quantità di cibo disponibile e migliorò la qualità e la durata della vita.
I piccoli proprietari terrieri, già in difficoltà per la pesante tassazione, spesso non riuscivano ad adeguarsi ai cambiamenti in atto: perciò furono costretti ad abbandonare le loro terre e a trasferirsi in città, così come molti contadini e braccianti, che le enclosures avevano privato delle possibilità di lavoro e di sostentamento.
Inoltre chi investiva il denaro nelle manifatture guadagnava di più e di conseguenza le imprese agricole che rendevano poco furono abbandonate: solo le più redditizie continuarono a sussistere e, grazie alle novità introdotte, a produrre una quantità maggiore di alimenti utilizzando una manodopera ridotta.

L'Inghilterra e la rivoluzione industriale -

Nella seconda metà del Settecento ebbe inizio in Inghilterra. e si diffuse gradualmente in Europa e nell'America settentrionale, un processo di industrializzazione che provocò cambiamenti tanto profondi in tutti gli aspetti della vita umana da essere definito «rivoluzione industriale».

Si trattò di una rivoluzione tecnologica che comportò trasformazioni sociali ed economiche sempre più rapide e in continua evoluzione. Da quel momento la vita dell'uomo non fu più la stessa: vennero gradatamente modificati o cancellati usi e costumi radicati nel tempo; si aprirono tra i ceti sociali nuove tensioni che avrebbero condizionato il successivo sviluppo della Storia. Le conoscenze tecniche erano cresciute, ma non basterebbero a giustificare una rivoluzione sociale ed economica di tale portata se non vi avessero concorso in uguale misura una serie di fattori:
la grande disponibilità di materie prime (in particolare ferro e carbone);
l'aumento del capitale e del risparmio;
la trasformazione tecnico-scientifica dell'agricoltura;
l'intraprendenza della borghesia agricola e commerciale;
l'aumento della popolazione e quindi la maggior disponibilità di manodopera.

Nel 1700 la Gran Bretagna era una grande potenza marittima, mercantile e coloniale: ciò le aveva permesso di procurarsi fonti di materie prime sempre più ampie e di aumentare le occasioni di guadagno sia con il commercio di materiali preziosi, sia con la tratta dei Neri. Molto sviluppato era anche il commercio interno, soprattutto per opera di una borghesia operosa e risparmiatrice. Tutto il Paese traeva vantaggio anche dal fatto che, isolato geograficamente dal resto dell'Europa, non era mai stato percorso da eserciti invasori e non aveva subito sul suo territorio i danni di una guerra. Fu merito dell'Inghilterra l'aver saputo sommare le ricchezze con l'intraprendenza per trasformare in modo radicale i sistemi produttivi.
Nel passato erano stati gli artigiani a produrre i manufatti, o nelle botteghe, oppure nelle loro abitazioni (in Inghilterra, per esempio, quando le enclosures causarono la disoccupazione di molti contadini, l'artigianato domestico aumentò considerevolmente). Tra il XVII e il XVIII secolo si erano diffuse le manifatture, dove il sistema di produzione rimaneva lo stesso (manuale), ma essendo molto alto il numero degli artigiani impiegati, la quantità di manufatti prodotti era elevata.
In Inghilterra il settore industriale che per primo ebbe grande sviluppo fu quello tessile, in particolare la produzione di cotone. Tra i materiali che i vascelli inglesi trasportavano attraverso l'Atlantico primeggiava sicuramente il cotone, che veniva comprato grezzo nelle colonie americane: le cotonine (tessuti) che uscivano poi dai numerosi opifici, soprattutto quelli del Lancashire, riprendevano il largo verso il Nordamerica e le Indie Occidentali. L'industria cotoniera tra il 1783 e il 1798 incrementò la produzione del 600% e la raddoppiò poi ogni 10 anni.

Le innovazioni tecnologiche - Nel passato l'uomo aveva sempre costruito strumenti e macchine in grado di aiutarlo nel suo lavoro, ma incapaci di sostituirlo. Le varietà di energia in uso erano quelle prodotte dall'uomo, dagli animali o dalla natura, quindi forze incostanti e disponibili solo in determinate circostanze e in determinati luoghi (per esempio i mulini a forza eolica possono funzionare solo se c'è il vento, quelli ad acqua solo in prossimità dei fiumi).
taglio
Invece nel XVIII secolo gli uomini furono in grado di costruire macchine più complesse e di produrre energia costante. Le innovazioni furono graduali: alcune faticarono a imporsi e trovarono applicazione soltanto nelle industrie tessili e metallurgiche.
Esemplare è il caso del congegno inventato da Lohn Kay nel 1733, la «spoletta volante», che permetteva a un solo operaio di fabbricare più rapidamente pezze di stoffa di notevoli dimensioni: inizialmente non fu né compresa né utilizzata.

Nel 1746 James Hargreaves inventò la «jenny», un filatoio meccanico azionato dall'uomo, in grado di far agire contemporaneamente molti fusi: la sua diffusione fu più ampia e più rapida di quella della «spoletta volante». Successivamente Richard Arkwright costruì la «water frame», una macchina filatrice con motore idraulico: la forza dell'uomo era sostituita da quella dell'acqua. Progettata da Samuel Crompton, seguì la «mule», una macchina che univa i vantaggi della «jenny» (tanti fusi contemporaneamente) con quelli della «water frame» (motore idraulico). Il diffondersi della «mule» provocò la fusione di tante piccole industrie in grandi complessi: da allora venne abbandonato il lavoro a domicilio ed ebbero inizio le prime concentrazioni industriali.
telaio Jenny
Tuttavia la «mule» poteva funzionare soltanto là dove c'era l'acqua, e quindi la sua applicazione era limitata ad alcune zone.
Pertanto l'invenzione più importante, quella che rivoluzionò a fondo la vita economica e sociale dell'Inghilterra prima, dell'Europa e del resto del mondo poi, fu quella della macchina a vapore, in quanto produceva energia costante in ogni luogo, indipendentemente dalla presenza di forze naturali.

La macchina a vapore - Prima dell'invenzione della macchina a vapore, numerosi scienziati avevano cercato di sfruttare l'energia derivata dall'ebollizione dell'acqua. Nel 1681 il francese Denis Papin inventò la pentola a pressione, che sfruttava la forza generata dal vapore per ottenere un movimento. Trent'anni dopo un fabbro inglese, Newcomen, sviluppò l'idea di Papin per costruire una pompa idraulica in grado di eliminare l'acqua dalle miniere. Fu l'ingegnere scozzese James Watt, nel tentativo di perfezionare la macchina di Newcomen, a costruire la prima vera macchina a vapore (1775).
Costruita interamente in ferro, la macchina a vapore utilizzava come combustibile il carbone: perciò rese possibile la sostituzione dei materiali di base che da sempre venivano usati (il legno e l'acqua) e diede un forte impulso all'estrazione dei minerali necessari alla sua fabbricazione e al suo funzionamento.
La macchina a vapore venne utilizzata soprattutto nell'industria tessile, ma anche in quella mineraria: applicata agli impianti per il pompaggio dell'acqua e per il sollevamento dei minerali, rese più economica l'estrazione del carbone da giacimenti sempre più profondi e venne poi utilizzata per l'attivazione degli altiforni.
La produzione aumentò in maniera rilevante e ciò comportò necessariamente un ampliamento della rete di distribuzione e di trasporto: i carri trainati da animali non erano più sufficienti, come non lo era più il trasporto fluviale.

Le grandi fabbriche -

L'uso delle macchine, sempre più perfezionate e quindi costose, richiedeva la concentrazione di manodopera nelle fabbriche, dove gli operai dovevano effettuare parti diverse ma complementari del lavoro. La meccanizzazione ebbe per conseguenza la divisione del lavoro: nella fabbrica l'operaio non realizzava l'oggetto in ogni sua parte sino a concluderlo, ma era addetto a una mansione sola e ripetitiva. 

Così anche gli operai diventavano uno strumento di lavoro e dovevano accontentarsi del salario che veniva loro imposto. Il vecchio laboratorio artigiano e il lavoro realizzato all'interno delle mura domestiche a poco a poco vennero sostituiti dalle grandi fabbriche. Il filatore isolato, non più in grado di sostenere la concorrenza delle macchine, non possedeva il capitale necessario per adeguarsi al progresso tecnologico: solo chi disponeva di ingenti capitali poteva permettersi di aprire uno stabilimento e di acquistare nuovi macchinari. Sempre più evidente diventò il divario tra capitalisti e proletari.
Altra conseguenza della rivoluzione industriale fu la nascita di nuove città in vicinanza delle miniere di carbone. Sia nei vecchi centri urbani sia in quelli di recente fondazione, una nuvola di fumo aleggiava senza sosta sulle fabbriche e sulle abitazioni. Il carbone assumeva un'importanza sempre maggiore in quanto già da tempo si stava verificando una grave crisi del legno, molto richiesto per le costruzioni di navi e di case, ma anche per fondere il ferro. Ora che le nuove tecnologie esigevano enormi quantità di ferro fuso, il legno si rivelava un combustibile insufficiente, e veniva gradualmente sostituito con il carbon "coke", prodotto dalla distillazione del carbon fossile (materia prima molto abbondante nel sottosuolo inglese).


LA DIVISIONE DEL LAVORO - Considerato il fondatore dell'economia classica, l'inglese Adam Smith sviluppò i concetti di divisione del lavoro e di libertà economica scaturiti dalla rivoluzione industriale. «Prendiamo dunque come esempio della divisione dei lavoro una manifattura di poca importanza, cioè una fabbrica di spilli. Un operaio non addestrato a questa attività, non abituato all'uso delle macchine che vi si impiegano e all'invenzione delle quali la stessa suddivisione del lavoro ha probabilmente dato occasione, con tutta la sua fatica e attività potrà appena produrre uno spillo al giorno, e certo non ne farà venti.

Ma come oggi si esegue tale manifattura, non solo essa è un mestiere speciale, ma si divide in molti rami, dei quali i più sono altrettanti mestieri particolari. Un uomo tira il filo di metallo, un altro lo raddrizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto lo arrotola all'estremità dove deve farsi la testa. Farne la testa richiede due o tre distinte operazioni: collocarla è una speciale occupazione, pulire gli spilli è un'altra, e un'altra ancora è il disporli entro la carta; e così l'importante mestiere di fare uno spillo si divide in circa diciotto distinte operazioni. Ho veduto una piccola fabbrica di questa manifattura ove dieci uomini soli erano impiegati e ciascuno eseguiva due o tre di queste operazioni. Benché fossero poveri e non avessero macchine moderne, pure riuscivano a fare 48.000 spilli in un giorno. Se avessero lavorato separatamente e indipendentemente l' uno dall'altro, ciascuno di loro non avrebbe potuto compiere altro che 20 spilli». Smith
Il nuovo volto delle città -

Le fabbriche sorsero in tutta l'Inghilterra, in particolare nelle regioni settentrionali e occidentali, più ricche di carbone e di ferro. Intorno alla fabbrica prosperavano tutte le attività utili per il sostentamento e per le necessità quotidiane di un numero sempre crescente di operai, impiegati, addetti ai servizi (cioè persone che, si dedicano non alla produzione, ma all'organizzazione). Nei pressi si stabilì una folta schiera di artigiani (sarti, calzolai, panettieri), piccoli e grandi commercianti. Il settore impiegatizio, in forte espansione, richiedeva personale sempre più qualificato e preparato a rispondere alle esigenze di una città che si ingrandiva. Lo stile di vita cambiò completamente, ma le città non erano strutturate in modo da ricevere un numero sempre crescente di abitanti. All'incremento demografico urbano non corrispose un adeguato sviluppo urbanistico: vennero occupati tutti gli spazi liberi (piazze e giardini compresi) e costruiti nuovi quartieri formati da una massa disordinata di edifici con strade strette, contorte e sporche, quasi sempre prive dei più elementari servizi igienici. Le case erano abitate dalle cantine sino alle soffitte, e spesso in una sola stanza si affollavano tre generazioni. Tuttavia, nonostante le pessime condizioni degli alloggi, gli affitti erano altissimi a causa dell'enorme richiesta, conseguente al continuo afflusso di lavoratori che abbandonavano la campagna per la città.
Nella relazione di un'inchiesta parlamentare sul lavoro degli operai in fabbrica si legge: «In certi casi il lavoro notturno è continuato con ricambi per tutta la settimana, dalla notte della domenica fino alla mezzanotte del sabato seguente. Il gruppo di operai della serie diurna lavora cinque giorni 12 ore e un giorno 18 ore; il gruppo della serie notturna lavora cinque notti 12 ore e una 6 ore ogni settimana. In altri casi ciascuna delle serie lavora 24 ore alternativamente. Una serie lavora 6 ore il lunedi e 18 il sabato per completare le 24 ore. In altri casi si usa un sistema intermedio, con il quale quelli che sono addetti alla macchina che fa la carta lavorano ogni giorno della settimana 15 o 16 ore.
Questo sistema pare riunisca in sé tutti i mali che portano seco i ricambi di 12 e 24 ore: dei ragazzi minori di 13 anni, degli adolescenti minori di 18 e delle donne vengono impiegati in questo sistema al lavoro di notte. Spesso nel sistema delle 12 ore sono costretti a lavorare, a causa della mancanza di personale per il ricambio, a una serie doppia di 24 ore.
A Tyldesley gli uomini lavorano a una temperatura da 29 a 30 gradi, 14 ore al giorno, compresa l'ora del pranzo. Durante le ore di lavoro la porta è chiusa, salvo una mezz'ora per il tè; gli operai non possono mandare a prendere dell'acqua per rinfrescarsi nell'atmosfera soffocante della filatura; anche l'acqua piovana è sottochiave, per ordine del padrone; altrimenti i filatori sarebbero ben felici di accontentarsene».
Non mancarono i pensatori, i riformatori sociali e gli scrittori che presero posizione contro i mali e le miserie delle fabbriche, lo sfruttamento di adulti e bambini. Di fronte alle indagini parlamentari che accertavano lo sfruttamento, i capitalisti si difendevano sostenendo che un miglioramento delle condizioni dei lavoratori avrebbe rappresentato un aumento dei costi tale che l'industria e l'intera economia del Paese ne avrebbero subito grave danno.
 

IL LAVORO MINORILE - Una delle conseguenze più disumane dell'industrializzazione fu il lavoro minorile. Bertrand Russell, pensatore inglese dei XX secolo, così descrive le sofferenze patite dai bambini in una filanda, stabilimento per la lavorazione delle fibre tessili:
«I fanciulli entravano dai cancelli della filanda alle cinque o alle sei di mattina, e ne uscivano alle sette o alle otto di sera.

Unica sosta durante questa reclusione di 14 o 15 ore era costituita dai pasti, al massimo mezz'ora per la colazione e un'ora per la cena. Ma questi intervalli significavano unicamente un mutamento di lavoro: anziché badare a una macchina in azione, pulivano una macchina ferma, sbocconcellando il loro pasto come meglio potevano in mezzo alla polvere e alla lanugine che soffocava i loro polmoni.

Le 40 o 50 ore di reclusione per sei giorni la settimana erano ore regolari, ma nei momenti di gran lavoro l'orario diventava elastico e talvolta si allungava a un punto quasi incredibile. il lavoro dalle tre del mattino alle dieci di sera non era sconosciuto.

Era materialmente impossibile mantenere intatto questo sistema se non con la forza del terrore. I sorveglianti non negavano che i loro metodi fossero brutali, ma dovevano o esigere la quantità completa di lavoro, o essere licenziati, e in queste condizioni la pietà era un lusso che padri di famiglia non potevano permettersi.
Le punizioni per il ritardo la mattina dovevano essere così crudeli da vincere la tentazione, nei fanciulli stanchi, di restare a letto più di tre o quattro ore.
In alcune filande a malapena un'ora in tutta la giornata passava senza rumore di battiture e grida di dolore. I padri picchiavano í figli per salvarli da battiture peggiori da parte dei sorveglianti. Nel pomeriggio lo sforzo diventava così pesante che il bastone di ferro usato dai sorveglianti per picchiare era continuamente in attività, e anche allora non era raro il caso che un fanciullo più piccolo, nell'addormentarsi, rotolasse dentro la macchina accanto alla quale lavorava, in modo da rimanere storpio tutta la vita o, se era più fortunato, da trovare la morte».

Il processo di industrializzazione -

Nel resto dell'Europa e nell'America settentrionale il processo di industrializzazione si avviò lentamente, in quanto mancavano alcuni dei fattori la cui presenza aveva determinato lo sviluppo tecnologico e industriale in Inghilterra. Alla fine del Settecento la Francia era ancora un Paese prevalentemente agricolo. In Germania l'industrializzazione era frenata dal permanere di strutture feudali, dall'opposizione dei grandi proprietari terrieri, dalle corporazioni dei mestieri: ma se la meccanizzazione del lavoro sarebbe stata tardiva, sarebbe stata però talmente rapida da superare quella di tutti gli altri Paesi europei. L'Italia era una delle nazioni più arretrate. Oltre alla mancanza di materie prime ne ostacolavano lo sviluppo economico la divisione politica e l'arretratezza economica.
Quanto agli Stati Uniti, l'industria più sviluppata era quella del cotone, ma le macchine a vapore erano poco utilizzate, anche se non mancavano né il carbone né l'energia, offerta dai numerosi corsi d'acqua presenti sul territorio. Gli operai erano pochi e i salari elevati: perciò gli opifici ricorrevano al lavoro a buon mercato dei giovani che provenivano dalle campagne e che erano disposti ad accettare paghe più basse.

Nell’Europa del Seicento la rivoluzione scientifica consentì un grande sviluppo delle conoscenze umane.

Nel Settecento si sviluppò un movimento di idee, l’Illuminismo, fondato sul ragionamento, la tolleranza, la libertà di giudizio.

Rivoluzione scientifica e Illuminismo furono poi la base del successivo progresso civile, economico e sociale.
Nel Seicento si verificò un grande progresso nelle conoscenze scientifiche, definito nell’insieme dagli storici come “rivoluzione scientifica".
Il primo degli scienziati seicenteschi fu Galileo Galilei (1564-1642), che elaborò il metodo sperimentale. Con l’uso del cannocchiale riuscì a verificare la validità della teoria eliocentrica di Copernico, secondo la quale la Terra ruota intorno al Sole. Per questo fu costretto dalla Chiesa a rinnegare le sue teorie, che allora sembrarono in contrasto con la Bibbia.
Enorme rilievo ebbero gli studi di Isaac Newton (1642-1727) che formulò la legge di gravitazione universale. Ma alla rivoluzione scientifica contribuirono anche numerosi altri grandissimi studiosi, come i francesi Cartesio e Pascal, i tedeschi Keplero e Leibniz, l’italiano Torricelli, l’inglese Boyle. Anche la medicina fece grandi progressi, specialmente nel Settecento, quando l’inglese Edward Jenner scoperse il vaccino contro il vaiolo.
La mentalità razionale nata con la rivoluzione scientifica ebbe riflessi importantissimi anche sugli studi relativi al comportamento dell’uomo e alle sue idee. Il movimento culturale che ne segui fu detto Illuminismo perché ispirato dai “lumi della ragione”. Scienziati e filosofi dell’epoca contrapposero la ragione, la libertà e la tolleranza all’autoritarismo dei secoli precedenti.
Le idee illuministiche influirono anche sul pensiero politico. Montesquieu sostenne che all’interno di uno Stato esistono tre diversi poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Per evitare arbitri e soprusi essi devono restare divisi (principio della separazione dei poteri). Voltaire insistette sulla tolleranza. Rousseau affermò che ogni Stato deve fondarsi su un patto (o contratto) volontario fra i cittadini. Gli stessi devono avere uguali diritti e doveri di fronte alla legge.
Lo spirito illuminista si sviluppò in tutti gli ambiti del sapere e diffuse idee di grandissimo rilievo per la nostra cultura. In campo economico fu sottolineata la necessità di lasciare liberi gli scambi delle merci e, in generale, le attività economiche e produttive.

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA -

Si usa la parola “rivoluzione” per indicare un avvenimento o un insieme di avvenimenti che segnano un cambiamento totale e duraturo e una decisa rottura col passato. Il più delle volte, questo termine si riferisce a eventi storici che sono la causa di radicali mutamenti di ordine politico-sociale (ad esempio: la Rivoluzione Francese). Si può tuttavia usare anche per fenomeni di altro tipo e in particolare per nuove idee o conoscenze, di particolare rilievo per la storia del sapere umano.
In questo senso, col nome di rivoluzione scientifica si indicano una serie di scoperte, ma anche una diversa mentalità verso gli studi e le ricerche. Esse si sviluppavano nell’Europa del Seicento grazie all’opera di numerosi studiosi tra i quali l’italiano Galileo Galilei e l’inglese Isaac Newton.

IL PROGRESSO DELLA SCIENZA -

Alla parola “rivoluzione” se ne è poi affiancata un’altra: “progresso”. Progredire significa “camminare avanti”, cioè passare da una situazione a un’altra che giudichiamo migliore. In genere si parla di progresso per indicare non tanto un singolo evento quanto una serie di sviluppi graduali che, sommati insieme, vanno verso una stessa direzione: quella, appunto, del miglioramento. In questo caso, del miglioramento e dello sviluppo delle conoscenze scientifiche.
Rivoluzione e progresso sono concetti moderni, affermatisi soprattutto nel Settecento. Nel mondo antico, e soprattutto in quello medioevale, la storia non era vista come un cammino dell’uomo verso forme di società o di cultura più avanzate, ma come un continuo ritorno di fatti e di esperienze già vissuti nel passato. Da questo derivava il grande rispetto che il Medioevo nutriva per i grandi testi dell’antichità e la sua continua ricerca di una spiegazione dei fenomeni naturali nella lettura della Bibbia o di un grande filosofo antico come Aristotele, piuttosto che nell’osservazione della realtà. L’idea che l’uomo, nel corso della storia, possa continuamente sviluppare e migliorare le sue conoscenze trovò la sua base in un atteggiamento dell’Umanesimo e del Rinascimento: l’apertura dell’uomo verso la natura e le sue leggi e la fiducia in se stesso e nella propria capacità di scoprirle.
Newton
Newton e la legge della gravitazione universale - Isaac Newton (1642-1727) fu matematico e professore all'università di Cambridge.
Osservando la rotazione della Luna attorno alla Terra egli scoprì che la Terra attrae la Luna nella sua orbita. Inoltre intuì che questo fenomeno e quello apparentemente tanto diverso della caduta di un corpo sulla terra, sono regolati da una stessa legge fisica. Si tratta della legge di gravitazione universale per cui tutti i corpi hanno la proprietà di attrarsi a vicenda; la forza di attrazione o forza di gravità cresce quanto più crescono le masse dei corpi, mentre diminuisce con l'aumentare della loro distanza. Quindi gli oggetti cadono perché attratti verso la terra dalla forza di gravità, la stessa che tiene la luna nella sua orbita attorno alla terra e i pianeti attorno al sole.
La nuova scienza secondo Newton - Newton così sintetizza i fondamentali principi della ricerca scientifica:

egli rifiuta le teorie di quegli scienziati che non usano il metodo sperimentale e si limitano a elaborare ragionamenti come i ragni fabbricano la tela. Allo stesso tempo, però, afferma che la sola osservazione non basta: è invece indispensabile riflettere razionalmente sui fenomeni osservati.

GALILEO E IL METODO SPERIMENTALE -Nella Firenze dei Medici, già famosa in Europa per i suoi artisti, ma anche per i suoi studiosi, si affermò l’ingegno di Galileo Galilei (1564-1642). Studioso di fisica e di matematica, Galileo introdusse nella ricerca del suo tempo il metodo sperimentale: ogni legge di natura deve essere studiata partendo dall’osservazione diretta dei fenomeni e verificata con opportuni esperimenti. Egli inoltre affermò che la scienza non può limitarsi a semplici descrizioni dei fenomeni, ma deve anche esprimersi con calcoli matematici: “il grande libro della natura”, sostenne, “è scritto in lingua matematica”.
Galileo non fu l’inventore del cannocchiale, già realizzato in precedenza da artigiani olandesi, ma lo perfezionò e per primo lo usò per osservare i movimenti dei corpi celesti. In questo modo riuscì a dimostrare la validità della teoria eliocentrica di Copernico (1473-1543), secondo la quale è la Terra che ruota intorno al Sole e non viceversa.

SCONTRO CON LA CHIESA - Galileo divulgò le sue scoperte pubblicandole in diverse opere, ma si scontrò con la dottrina della Chiesa cattolica. La Chiesa, infatti, considerava ancora la Bibbia come la principale fonte della conoscenza scientifica

E un brano della Bibbia, dove il condottiero Giosuè esclama “fermati, o Sole”, sembrava contraddire Copernico e Galileo. Oggi tutti sappiamo bene che la Bibbia non è un testo scientifico ma religioso, e la Chiesa stessa lo dichiara. Descrizioni di questo tipo non vanno quindi prese alla lettera, ma interpretate. Invece per la cultura del tempo, nella sua ricerca di sicurezze, di superiori autorità alle quali fare riferimento, arrivare a una conclusione del genere era molto difficile.
Inoltre, la posizione della Chiesa nei confronti di Galileo fu aggravata dall’atmosfera di durezza e di chiusura “difensiva" verso le idee nuove che seguì al Concilio di Trento. Gli studi di Galileo sarebbero stati tollerati purché restassero senza pubblicità e nel massimo riserbo. Galileo, invece, li divulgò.
Il grande scienziato venne allora costretto a sconfessare le sue teorie davanti al Tribunale dell’Inquisizione e condannato a vivere appartato nella sua casa di Arcetri, presso Firenze. Qui il granduca Ferdinando II de’ Medici gli consentì di continuare privatamente i suoi studi, assistito da pochi allievi. Galileo morì nel 1642; nello stesso anno nacque, in Inghilterra, Isaac Newton.

GALILEO RINNEGA LE SUE TEORIE - Galileo era un buon cattolico. Tuttavia lo sua adesione alla teoria eliocentrica lo portò a subire un processo davanti all’inquisizione. al termine del quale lo scienziato rinnegò le sue teorie. Lo stessa Chiesa cattolica ho riconosciuto in seguito che lo condanna dl Galileo fu un errore, anche perché ostacolò lo sviluppo della scienza e creò una frattura tra scienza e religione che si sarebbe potuta evitare.

L’ILLUMINISMO - Fra il Seicento e il Settecento la rivoluzione scientifica si diffuse. Si cominciò a impiegare il metodo scientifico anche nelle cosiddette “scienze dell’uomo”: quelle che vogliono capire e disciplinare il suo comportamento. Si trattava, allora, della filosofia, del diritto, dell’economia. A partire dalla Francia si sviluppò così un nuovo movimento culturale che prese il nome di Illuminismo: esso sosteneva che la luce della ragione doveva illuminare le menti degli uomini e condurli sulla via del progresso e della felicità.
Gli illuministi contrapposero alla tradizione e all’autorità i principi della libertà di critica, della tolleranza per le idee degli altri, dell’uguaglianza e della fratellanza tra gli uomini. Essi sostennero con forza l’idea che la storia dell’uomo è un continuo progresso verso forme di vita e di organizzazione sociale più giuste e più felici.
Libero uso della ragione - Nel seguente celebre scritto il filosofo tedesco Emmanuel Kant (1724-1804) definisce l’Illuminismo come libero uso dello propria ragione da parte dell’uomo:
"L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità. se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza  È questo il motto dell’Illuminismo.
La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini (...) rimangono volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce facile agli altri erigersi a loro tutori. Ed è così comodo essere minorenni:

Se io ho un libro che pensa per me. se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me sul regime che mi conviene ecc., lo non ho più bisogno di darmi pensiero di me.

Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A persuadere la grande maggioranza degli uomini (...) che il passaggio allo stato di maggiorità è difficile e anche pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra i loro simili minorenni. Dopo di averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e di avere con ogni cura impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori della carrozzella da bambini in cui li hanno imprigionati, in un secondo tempo mostrano a essi il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli. Ora questo pericolo non è poi così grande come loro si fa credere, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi imparerebbero finalmente a camminare: ma un esempio di questo genere il rende paurosi e li distoglie per lo più da ogni ulteriore tentativo (...).
A questo illuminismo non occorre altro che la libertà e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: “Non ragionate!”

L’ufficiale dice:“Non ragionate, ma fate esercitazioni militari”

L’impiegato di finanza: “Non ragionate. ma pagate”.

L’uomo di chiesa: “Non ragionate, ma credete".

Io rispondo: il pubblico uso della propria ragione deve esser libero in ogni tempo ed esso solo può attuare l'illuminismo tra gli uomini."

L’ENCICLOPEDIA - Gli illuministi francesi si raccolsero intorno al progetto di pubblicare una grande Enciclopedia delle scienze umane. Curatori dell’opera furono Jean Baptiste D’Alembert e Denis Diderot. L”’Enciclopedia” non era solo un’opera di informazione. Gli autori intendevano infatti persuadere il pubblico della validità delle idee illuministe.
Il governo francese cercò di ostacolarli. Ciononostante l’ “Enciclopedia” venne interamente pubblicata e ottenne un grandissimo successo.
Notevole fu la forza dell’Illuminismo nell’influenzare l’opinione pubblica. Anche attraverso i giornali, le riunioni e gli incontri, le idee illuministiche si diffusero e giunsero a influire sulle decisioni dei governi. L’importanza raggiunta dall’Illuminismo fu così grande che il Settecento è stato chiamato “secolo dei lumi”