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  Il risorgimento Italiano 1815-1861 home
 

 

Congresso di Vienna
Gli stati europei che avevano sconfitto Napoleone e lo avevano esiliato sull’isola d’Elba nel 1814 si riunirono a Vienna per ridefinire i confini politici dell’Europa. Quando Napoleone scappò i lavori non furono interrotti: ormai nessuno dei vecchi nemici credeva più in un suo ritorno definitivo.
Al Congresso di Vienna parteciparono i rappresentanti di tutti gli stati europei Francia compresa. L’ammissione della Francia costituiva un segnale preciso: la Rivoluzione era stata illegittima, bisognava ripristinare il vecchio ordine e le vecchie dinastie monarchiche come se nulla fosse successo.
Le decisioni importanti furono
Europa nel 1815 prese da Austria, Russia, Prussia e Inghilterra. Tali decisioni furono guidate da due principi:
 - Il principio di legittimità, secondo il quale i sovrani scacciati dalla Rivoluzione e da Napoleone dovevano essere rimessi sul trono;

 per questo le conclusioni del Congresso di Vienna vennero definite con una parola: restaurazione.

- Il principio dell’equilibrio, in base al quale si doveva impedire che in futuro uno stato acquisisse la possibilità di dominare l’intero continente.

A tale scopo furono creati in prossimità dei confini orientali della Francia degli stati cuscinetto con lo scopo di contenerne eventuali intenzioni espansionistiche.
Comunque il Congresso di Vienna ebbe il merito di emanare una dichiarazione di condanna della schiavitù.


Il nuovo aspetto dell’Europa

Il principio di legittimità fu rispettato solo nell’interesse delle grandi potenze, a discapito degli stati minori. Infatti il Belgio fu unito all’Olanda formando un regno unico, i piccoli principati tedeschi furono uniti alla Prussia e il Sacro Romano Impero fu sostituito da una Confederazione di 39 stati. Anche il principio dell’equilibrio fu sfruttato a favore degli stati più potenti. Gli stati vincitori uscirono rafforzati:
La Russia ottenne il possesso della Polonia;

La Prussia assorbì diversi principati nella Germania;
L’Inghilterra si fece assegnare diverse colonie francesi;
L’Austria ottenne la Lombardia e il Veneto. Alla Francia furono lasciati i confini che aveva prima della Rivoluzione, ma essa fu costretta a pagare forti danni di guerra e a subire un periodo di occupazione militare. Alla Svizzera fu riconosciuta la neutralità perpetua.

L’Italia fu oggetto di spartizioni tra le diverse potenze dato che nessun regno italiano era

abbastanza potente da far valere le sue pretese.
Il Regno di Sardegna (Piemonte, Valle d’Aosta Sardegna) a cui viene aggiunta la Liguria, vede il ritorno dei Savoia;
Il Regno delle due Sicilie è il risultato dell’unificazione del regno di Napoli e del Regno di Sicilia. È dato alla dinastia dei Borbone. Italia nel 1815
Il Papa ritornò nello Stato della Chiesa;
Il Granducato di Toscana fu restituito agli Asburgo-Lorena;
L’Austria si impadronì della Lombardia e del Triveneto formando il Regno Lombardo-Veneto.
Come si vede l’Austria avrebbe potuto esercitare in Italia un indiscusso dominio.


Il diritto d’intervento
Lo zar di Russia Alessandro I ebbe l’idea di un patto tra le potenze che avevano sconfitto Napoleone le quali si sarebbero accordate per un reciproco aiuto contro ogni tentativo di rivoluzione. L’Austria e la Prussia aderiscono a tale patto e nasce la Santa Alleanza. Questa in effetti diventava uno strumento per difendere con la forza le decisioni del Congresso di Vienna. Viene chiamata Santa Alleanza perché si prefigge la difesa della religione cristiana contro gli attacchi laicisti e la monarchia, considerata sacra, contro gli attacchi di liberali, radicali e democratici. La Santa Alleanza diventa il feroce cane da guardia della Restaurazione: quando una minaccia rivoluzionaria si fosse verificata, gli eserciti delle tre potenze sarebbero intervenuti per rimettere le cose a posto. In definitiva gli stati firmatari si arrogavano il diritto di intervento negli affari di un altro stato.


In Europa tante realtà molto diverse -

Dopo il Congresso di Vienna l’Europa presenta molte diversità. Ai grandi stati nazionali come Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra si contrappone una fascia centrale di piccoli stati, (Boemia, Slovenia, Croazia, Ungheria, Polonia, Grecia, stati italiani, stati tedeschi) e tre imperi multinazionali a est: Russia, Prussia, Austria.
Le diversità riguardano anche il campo politico: alle monarchie più liberali si contrappongono monarchie assolute e conservatrici. Gli stati minori vivono sotto la tutela o il controllo degli stati maggiori. Anche nel campo economico le differenze sono notevoli. Gli stati dell’Europa Occidentale sono evoluti, moderni e con un’economia in forte sviluppo.
A oriente esiste la servitù della gleba, grandi proprietà terriere sono in mano a nobili poco interessati allo sviluppo dell’agricoltura, l’industria è praticamente assente: l’economia è molto arretrata. Inoltre nell’Europa occidentale si era formata una borghesia forte che dominava l’economia e influenzava anche la politica, mentre nell’Europa orientale il predominio apparteneva alla nobiltà terriera fedele alla monarchia.
Il congresso di Vienna tentò di far ritornare l'Europa ai tempi precedenti la Rivoluzione Francese. Naturalmente la storia non torna indietro: i cambiamenti avvenuti in campo sociale, economico e culturale faranno apparire del tutto inadeguata la Restaurazione dell'Antico Regime. Con la restaurazione delle monarchie, nobiltà e clero tornarono a occupare le antiche posizioni di privilegio ai vertici dello Stato.
Fu contrastata ogni forma di modernità in campo economico e politico: furono abolite la libertà di pensiero, di religione, di spostamento da un paese all'altro, di scelta di un lavoro o di una professione. Proprio quelle libertà abolite avevano permesso, dopo la rivoluzione e nell'epoca napoleonica, a molti borghesi di diventare ufficiali dell'esercito, funzionari, amministratori, deputati dello Stato, di avviare industrie, di ammodernare l'agricoltura, di sviluppare il commercio. Si diffuse la concezione, propria del medioevo, che l'alleanza fra lo Stato e la Chiesa poteva garantire la pace e la prosperità dei popoli.
I giornali furon
soldato 1815o sottoposti a una rigida censura, privando i cittadini della libertà di esprimere e discutere le proprie opinioni. Le forze di polizia furono notevolmente potenziate.
Malgrado la condanna della Rivoluzione francese furono accolte dai sovrani alcune delle sue conquiste come la coscrizione obbligatoria e la creazione di una burocrazia efficiente. Si trattava di "concessioni" che servivano a rafforzare il potere dei sovrani.

 

Borghesia e sviluppo economico in Europa -

Esisteva in Francia, Inghilterra, Belgio e in tutte le zone europee toccate dalla rivoluzione industriale una borghesia dinamica, istruita, politicamente potente. La Rivoluzione francese aveva abolito i diritti feudali, fortemente indebolito e in alcuni casi cancellata l'aristocrazia, aveva dato maggiore libertà ai contadini prima ridotti in stato di servitù, aveva permesso l'ammodernamento dell'agricoltura. L'allargamento del diritto di voto aveva portato al potere i rappresentanti del popolo.
Grandi estensioni di terreno erano passati dalle mani dei nobili e del clero in quelle di imprenditori abili e preparati. Le attività economiche erano state favorite dalle leggi moderne dell'epoca napoleonica. L'abbattimento delle dogane aveva reso i mercati grandi e ricchi e i traffici intensi. Non avendo voluto tener conto di queste trasformazioni le classi dirigenti uscite vincenti dal Congresso di Vienna costruirono un sistema fragile destinato a crollare ai primi urti nei prossimi decenni.


Modernità e conservazione -

La scena politica e intellettuale è dominata dallo scontro tra vecchio e nuovo, arretratezza e progresso, tra liberali e conservatori.
Le persone più istruite o più ricche, ma anche molti operai non intendono più essere dei sudditi passivi, ma cittadini liberi e consapevoli dei propri diritti e delle proprie possibilità.
Il desiderio di una maggiore libertà e di una effettiva partecipazione alla politica dello Stato non era solo un ideale astratto, ma l'esigenza concreta di una moderna classe imprenditoriale che vuole crescere in modo moderno.
Per questo la borghesia chiedeva una maggiore partecipazione, chiedeva di collaborare all'amministrazione dello Stato per correggere le storture ereditate dal vecchio regime che impedivano o rallentavano il progresso economico. I sostenitori di questa tesi furono chiamati "liberali": essi sostenevano il diritto alle libertà politiche, civili, religiose ed economiche. Queste libertà dovevano essere stabilite e garantite da un parlamento di cittadini eletti dal popolo. Secondo i liberali anche i sovrani dovevano essere sottomessi alla legge. Evidente è il contrasto con i principi del Congresso di Vienna e con il potere assoluto dei sovrani restaurati.


Differenze di pensiero tra i liberali -

Anche tra i liberali, però, non si era tutti d'accordo: una grande maggioranza di essi pensava ad una monarchia costituzionale, in cui anche il re fosse sottomesso alle leggi e al parlamento, mentre una minoranza pensava ad uno stato repubblicano. Anche sul voto popolare i liberali non erano d'accordo: alcuni pensavano ad un suffragio universale mentre altri pensavano al diritto di voto per i cittadini più ricchi ed istruiti. Altro pensiero nuovo dei liberali riguardava il diritto delle nazioni all'auto-determinazione, ossia alla libertà dall'ingerenza degli stati più forti. Anche questo andava contro il diritto che si arrogava la Santa Alleanza di intervenire sottomettendo gli stati più deboli in nome dell'equilibrio e della pace. Ai liberali si contrapponevano i conservatori, favorevoli alla monarchia e contrari al cambiamento. Ma anche costoro non erano tutti uguali. I conservatori erano soprattutto aristocratici nostalgici del vecchio regime, contrari a cambiamenti e riforme sia in campo politico e religioso, sia in campo economico. Naturalmente alcuni erano conservatori radicali mentre altri si limitavano alla conservazione dei privilegi delle classi aristocratiche senza bloccare il processo di trasformazione della società.
Politicamente il Risorgimento Italiano viene generalmente compreso fra il proclama di Rimini (1815) e la breccia di Porta Pia da parte dell'esercito italiano (20 settembre 1870) per altri storici  il risorgimento comprende il periodo fra i primi moti costituzionali del 1820-1821 e la proclamazione del Regno d'Italia (1861) o il termine della terza guerra d'indipendenza (1866).
Il sorgere della coscienza nazionale non fu un processo unitario, lineare o coerentemente definito; diversi programmi, aspettative ed ideali, a volte anche incompatibili tra loro, confluirono in un vero e proprio crogiuolo: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, protosocialisti, anticlericali, liberali, monarchici filo-Savoia o papalini, laici e clericali, vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia verso la Pianura Padana, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano Stati, in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno Stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo;

Mazzini

Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America;

Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna;

Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.
Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Nicolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi furono cattolici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che auspicavano una confederazione di stati italiani sotto la presidenza del Papa (neoguelfismo) o della stessa dinastia sabauda; vi furono docenti ed economisti come Giacinto Albini e Pietro Lacava, divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel Meridione.
Trascorsa la fase delle società segrete, sviluppatasi soprattutto tra il 1820 ed il 1831, durante i due decenni successivi presero corpo le due correnti principali che promossero con piena consapevolezza ed incisività politica il processo risorgimentale, quella democratica e quella moderata.
La principale associazione politica segreta in Italia fu quella della Carboneria, originariamente nata a Napoli nel 1814 per opporsi alla politica filonapoleonica di Gioacchino Murat; dopo la caduta di quest'ultimo e l'insediamento o il ritorno sui troni in alcuni stati della penisola italiana di sovrani illiberali tramite l'intervento delle truppe austriache, la Carboneria si diffuse nella penisola assumendo un carattere cospiratorio con lo scopo di trasformare le monarchie assolutiste in stati costituzionali provocandovi moti rivoluzionari.
Il primo moto carbonaro venne tentato a Macerata, nello Stato pontificio, nella notte tra il 24 e il 25 giugno 1817, ma la polizia papalina, informata dei preparativi, soffocò l'azione sul nascere. Tredici congiurati furono condannati a morte e poi graziati da papa Pio VII.
Nel luglio del medesimo anno le rimanenti truppe austriache, ancora presenti a Napoli dopo aver riportato i Borboni sul trono, completarono il loro ritiro dal Regno delle Due Sicilie e il generale austriaco Laval Nugent von Westmeath divenne comandante supremo dell'esercito delle Due Sicilie e Ministro della Guerra.
Nel porto spagnolo di Cadice il 1 gennaio 1820 gli ufficiali delle forze militari che avrebbero dovuto reprimere la rivolta di Simón Bolívar nell'America del sud rifiutarono di imbarcarsi. Il loro "pronunciamiento" si estese a tutta la Spagna, obbligando il re Ferdinando VII a concedere nuovamente il 10 marzo dello stesso anno la Costituzione di Cadice del 1812.
Le notizie di questi avvenimenti accesero gli animi dei carbonari italiani provocando i moti costituenti degli anni 1820-1821 che, pur avendo tutti cMorelli e Salvatiome finalità la progressiva liberalizzazione dei regimi assolutistici, assunsero tuttavia connotazioni diverse da Stato a Stato e da città a città.
A Napoli i moti iniziati il 1 luglio del 1820 ad opera di due giovani ufficiali, Michele Morelli (1790-1822) e Giuseppe Salvati (1791-1822), culminarono con la presa della città: il generale Guglielmo Pepe, comandante degli insorti, riuscì ad imporre al re Ferdinando I la concessione della costituzione.
Per riportare l'ordine negli stati che si erano sollevati le potenze europee della Quadruplice alleanza si riunirono nel dicembre del 1820 al Congresso di Troppau. Ferdinando I convocato nel successivo Congresso di Lubiana nel gennaio 1821 ebbe il permesso di recarvisi dal governo rivoluzionario. Di fronte ai rappresentanti delle potenze il re, sconfessando gli impegni presi alla partenza da Napoli col parlamento napoletano di difendere la costituzione, richiese l'intervento militare degli Austriaci, che sconfissero l'esercito napoletano, guidato da Pepe, nella battaglia di Antrodoco il 7 marzo 1821 e conquistarono Napoli il 23 marzo. La costituzione venne annullata e trenta rivoluzionari furono condannati a morte (tra cui Pepe, Morelli e Salvati).
A Palermo, nell'agosto 1821, vennero costituite venti "vendite" carbonare, con la finalità di abbattere il governo e avere la costituzione spagnola; il moto era guidato dal sacerdote Bonaventura Calabrò, che organizzò una rivolta prevista il 12 gennaio 1822, creando un nuovo vespro. Tuttavia il susseguirsi delle riunioni insospettì la polizia borbonica, che convinse un congiurato al doppio gioco. Nella notte dell'11 gennaio iniziarono i primi arresti e confessioni, un timido tentativo di rivolta che avvenne l'indomani fu represso e i congiurati imprigionati. Il 31 gennaio, nove dei congiurati, tra cui due sacerdoti, furono condannati a morte e le loro teste, rinchiuse in gabbie di ferro, rimasero appese a Porta San Giorgio fino al 1846..
Mentre a Napoli i rivoltosi ebbero come unica finalità la promulgazione della costituzione, a Torino l'insurrezione scoppiata nel gennaio 1821 accolse tensioni e inquietudini anti-austriache, già manifestatesi in quella città con i moti studenteschi soffocati nel sangue dalla polizia sabauda. Questi ultimi moti videro come protagonista alcuni degli uomini simbolo del Risorgimento, tra i quali Santorre di Santarosa.
Anche a Milano partecipò ai moti una componente patriottica e anti-austriaca, guidata dal conte Federico Confalonieri, rinchiuso, subito dopo il fallimento dell'insurrezione, nella Fortezza dello Spielberg, dove era già custodito da alcuni mesi l'amico Silvio Pellico.

Le repressioni, conseguenti al fallimento dei moti, spinsero all'esilio molti patrioti italiani, come Antonio Panizzi, che proseguirono all'estero la loro azione, impegnandosi propagandisticamente e stabilendo contatti con personalità delle potenze straniere interessate a risolvere il problema italiano. Il periodo dei moti liberali si chiuse a fine settembre 1823, con la resa di Cadice, dopo la battaglia del Trocadero, a cui partecipò anche Carlo Alberto di Savoia, vinta dalle forze francesi di Luigi XVIII, incaricato dalle potenze della Santa Alleanza di ripristinare con la forza la monarchia assoluta in Spagna.
In Romagna nel 1824, dopo l'uccisione del direttore di polizia di Ravenna Domenico Matteucci, ad opera di una cospirazione carbonara, il cardinale Agostino Rivarola venne inviato per reprimerla. Rivarola, nominato "cardinal legato a latere", fece condurre un'indagine che portò ad un processo e alla sentenza del 31 agosto 1825, con la quale vennero condannate, a varie pene, 514 persone appartenenti a tutti gli strati sociali. Successivamente fu concessa la commutazione della pena ai sette condannati alla pena capitale e la grazia per molti altri.
Nuove insurrezioni si ebbero nel Cilento nel 1828 per ottenere il ripristino della Costituzione che nel 1820 era stata concessa nel Regno delle Due Sicilie. Il tentativo dei rivoltosi si concluse tragicamente con trentatré condanne a morte e il paesino di Bosco raso al suolo a cannonate dal maresciallo Del Carretto, e in Emilia-Romagna, tra il 1830 e il 1831, con la nascita di un effimero Stato delle Province Unite Italiane, represso con l'intervento delle truppe austriache.
Nel Lombardo-Veneto si affermò la scuola riformista di Giandomenico Romagnosi, da cui sarebbe uscito il maggiore esponente dei pensiero liberale federativo, Carlo Cattaneo.
Nel 1830 l'ondata di insurrezioni partita da quella parigina del 30, di Carlo X che si oppose al re Luigi XVIII, ebbe forti ripercussioni anche in Italia.
L'epicentro questaCiro Menotti volta fu il ducato di Modena, il capo della rivolta lo sfortunato Ciro Menotti, che aveva confidato nell'appoggio dei duca Francesco IV, e delle armate francesi, appoggio che venne a mancare e, con l'intervento delle truppe austriache, l'insurrezione fu stroncata e Menotti condannato a morte.
Dopo il fallimento dei moti dei 1830-31, incominciò a diffondersi in Italia negli ambienti patriottici la convinzione che con i metodi della carboneria non si sarebbe mai riusciti a sbarazzarsi dei regimi assoluti e della cappa di piombo della Santa alleanza.
Nel 1832, fu pubblicata a Torino l'autobiografia di Silvio Pellico, Le mie prigioni, con la descrizione delle dure condizioni di vita dei prigionieri politici in regime di carcere duro nella fortezza austriaca dello Spielberg. Il libro ebbe una vasta risonanza, sia in Italia che nei salotti europei, accentuando nei patrioti italiani i sentimenti antiaustriaci. Nel 1849 Metternich commenterà che quel libro aveva danneggiato l'Austria più di una battaglia persa.
A partire dai primi anni trenta dell'Ottocento si impose come figura di primo piano Giuseppe Mazzini (1805-1872) che divenne membro della Carboneria nel 1830. La sua attività di ideologo e organizzatore lo costrinse a lasciare l'Italia nel 1831 per fuggire a Marsiglia, dove fondò la Giovine Italia, un movimento che raccoglieva le spinte patriottiche per la costituzione di uno Stato unitario e repubblicano, da inserire in una più ampia prospettiva federale europea.

Mazzini riteneva che solo una fede nutrita di spirito religioso, capace di coinvolgere la gioventù urbana, avrebbe potuto trasformare l'obiettivo dell'unità nazionale in qualcosa di più forte delle baionette austriache e della paura dei principi. La storia, secondo Mazzini, aveva camminato attraverso un processo dialettico che la divideva in due fasi:
- una fase di antitesi nella quale vi fu un a forte opposizione al sistema feudale su cui aveva trionfato l'individualismo borghese della rivoluzione francese.
- ora, invece, veniva la fase di sintesi ovvero alla proclamazione dell'Umanità, che avrebbe superato l'individualismo e aperto un'altra epoca storica.
La condivisione del programma mazziniano portò Giuseppe Garibaldi (1807–1882) a partecipare ai sommovimenti rivoluzionari in Piemonte del 1834, per il fallimento dei quali fu condannato a morte dal governo sabaudo e costretto a fuggire in Sud America, dove partecipò ai moti rivoluzionari in Brasile ed Italia nel 1848Uruguay.
Per la mancanza di coordinamento tra i congiurati, per l'assenza e l'indifferenza delle masse, tutte le rivolte mazziniane fallirono.

 

I congressi scientifici prima del '48
Il regime "liberale" del Granducato di Toscana permise nel 1839 la nascita della Società Italiana per il Progresso delle Scienze a Pisa, dove verrà organizzato il "Primo congresso degli scienziati italiani" (1839), a cui parteciparono studiosi dai vari stati della penisola: fu la prima riunione pubblica di uomini di scienza riuniti sotto il comune attributo di "italiani".

I congressi proseguirono a cadenza annuale, nei diversi stati: Torino, Firenze, Padova, Lucca, Milano, Napoli (che fu il più numeroso, con circa 1600 partecipanti), Genova ed infine, nel 1847, Venezia.

I moti insurrezionali dell'anno successivo ed i conseguenti irrigidimenti dei regimi impedirono successivi congressi fino al congresso di Firenze del 1861. Oltre al loro contenuto scientifico, questi congressi permisero scambi di idee e confronti nella nuova classe intellettuale italiana che andava formandosi, ed erano anche visti come una possibilità di discutere delle vicende italiane come la liberalizzazione commerciale, la necessità di una lega doganale, la costruzione di ferrovie, mascherando sotto questi progetti di modernità economica e strutturale la fondamentale esigenza di un'unificazione politica.


Il biennio delle riforme -

Nel cosiddetto biennio delle riforme (1846-1848), a seguito del fallimento dei moti rivoluzionari mazziniani, prendono vigore progetti politici di liberali moderati, tra cui spiccano Massimo d'Azeglio, Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo con "Le speranze d'Italia" i quali, sentendo soprattutto la necessità di un mercato unitario come premessa essenziale per un competitivo sviluppo economico italiano, avanzano programmi riformisti per una futura unità italiana nella forma accentrata o federativa. Nasce così il movimento neoguelfo che riscuote un grande successo presso l'opinione pubblica in coincidenza con l'elezione nel 1846 di papa Pio IX, ritenuto un "liberale".
Sotto la spinta di questi movimenti molti stati italiani attuarono diverse riforme modernizzatrici: nel Granducato di Toscana fu ampliata la libertà di stampa e si ebbe la formazione di una guardia civica, nel Regno di Sardegna si ebbero riforme in senso liberale dell'ordinamento giudiziario, altre riforme vennero concesse nello Stato della Chiesa, dove il nuovo pontefice concesse una amnistia ai prigionieri.

Nel 1847 Pio IX prese la decisione di proporre al regno piemontese e al granducato di Toscana l'unione in una "Lega doganale" per favorire la circolazione delle merci; l'iniziativa si fermò dopo la firma di un accordo di intenti il 3 novembre 1847, nel tentativo di coinvolgere il ducato di Modena; l'inizio delle agitazioni del 1848 fece definitivamente tramontare il progetto.


Il Regno delle Due Sicilie, fino a quel momento non aveva seguito questi sviluppi, ma si era caratterizzato per la forte repressione politica.

Ancora nel 1844 i gioFratelli bandieravani fratelli Attilio (1810–1844) ed Emilio Bandiera (1819–1844), disertori della marina austriaca, furono fatti fucilare dal re Ferdinando II per aver tentato un improvvisata spedizione di tipo mazziniano in Calabria.

Nel 1848 scoppiò una rivolta indipendentista in Sicilia che, propagatasi a Napoli, costrinse il sovrano a promulgare l'11 febbraio del 1848 una costituzione simile a quella francese del 1830. Gli altri sovrani italiani dovettero seguire rapidamente l'esempio di Ferdinando II: Leopoldo II di Toscana concesse uno Statuto dopo pochi giorni, il 4 marzo Carlo Alberto promulgò lo Statuto "albertino" e il 14 marzo fu la volta dello Stato Pontificio.

 

La "primavera dei popoli" e la I guerra d'indipendenza -

Gli anni 1847-1848, la cosiddetta "Primavera dei popoli", videro lo sviluppo di vari movimenti rivoluzionari in tutta Europa; rivolte scoppiarono il 23 febbraio in Francia, il 28 febbraio nello Stato di Baden iniziò la rivolta che velocemente si estese a tutti gli stati tedeschi e il 13 marzo raggiunse l'Austria, il 15 marzo insorse l'Ungheria, il 28 marzo la Polonia.
Tutti questi moti furono repressi secondo gli schemi della Restaurazione, tranne che in Francia, dove il 22 febbraio 1848 ebbe luogo una grande sollevazione popolare: Luigi Filippo fu costretto ad abdicare. Fu proclamata la Seconda Repubblica francese che sostituì alla monarchia di re Luigi Filippo Borbone d'Orléans un governo provvisorio. Con esso collaborò anche il socialista Louis Blanc.

Il socialismo era un movimento che si proponeva di difendere i lavoratori, assicurando loro un maggior peso politico e migliori condizioni di lavoro e di vita.
Grazie a Louis Blanc, il governo riconobbe la libertà di stampa e di associazione, concesse il suffragio universale maschile (ovvero il diritto di voto esteso a tutti i cittadini maschi) e determinò la durata massima della giornata lavorativa, fissandola in dieci ore.


Il ritorno di un Bonaparte -

Tuttavia, Parigi non era tutta la Francia: nella rinnovata Assemblea legislativa confluirono i deputati delle altre regioni, in massima parte ancora legate all'agricoltura, alla proprietà della terra e a una borghesia moderata. I deputati di indirizzo democratico o socialista eletti a Parigi non furNapoleone IIIono in numero sufficiente a controbilanciarli.
Nel frattempo, già prima del '48, aveva ripreso importanza in Francia il partito bonapartista, così chiamato perché legato al ricordo dei trionfi di Napoleone Bonaparte. Esso sosteneva il ritorno di un Bonaparte alla testa dei Francesi.
Contando sull'appoggio dell'esercito e della borghesia, i bonapartisti riuscirono a far eleggere presidente della repubblica francese Luigi Napoleone, nipote del grande imperatore che, dopo quattro anni, diventerà Napoleone III imperatore dei francesi.

Egli formò un governo moderato che favorì soprattutto la borghesia e ben poco fece per le classi popolari.  Questi eventi francesi provocarono la fine degli equilibri politici esistenti in Europa dal Congresso di Vienna.

La modifica delle alleanze fra gli stati influirà sulle vicende italiane, spingendo persino alcuni esuli napoletani a progettare l'insediamento sul trono di Napoli di Luciano Murat secondogenito di Gioacchino Murat.

 

Rivolte in Europa -

Alle notizie degli avvenimenti parigini le ribellioni si diffusero in Europa. Insorsero Berlino, Vienna, Praga. Si ribellarono regioni e città tedesche, italiane, ungheresi, croate. A Berlino, il 10 marzo, la popolazione scese nelle piazze, chiedendo una costituzione, che il re di Prussia Federico Guglielmo IV fu costretto a concedere. Le città e gli Stati tedeschi minori, dopo varie sommosse, elessero un'Assemblea che si riunì a Francoforte per preparare l'unità della Germania.
Vienna iniziò invece la sua rivolta il 13 marzo, ottenendo la cacciata di Metternich, il ministro che da oltre trent'anni governava l'impero. L'imperatore Ferdinando I permise la formazione di  un'Assemblea Costituente. Nell'impero austriaco, tuttavia, i problemi erano assai più complessi che non a Berlino o a Parigi. I Viennesi si erano sollevati solo per ottenere una costituzione e un governo più tollerante. A Praga, a Budapest, a Milano, a Venezia e in Croazia si chiedeva invece l'indipendenza dall'Austria, che il governo imperiale non era affatto disposto a concedere. Così, le rivolte vennero represse con durezza. Il nuovo imperatore Francesco Giuseppe inviò in Italia l'esercito.

Gli stessi anni 1847-1848, in Italia furono segnati dalla decisione da parte del Regno di Sardegna di farsi promotore dell'unità italiana.

Primo passo in tal senso fu la Prima Guerra d'Indipendenza, anti-austriaca, scoppiata in occasione della rivolta delle Cinque giornate di Milano (1848).

 

Prima guerra d'indipendenza -

L'insurrezione di Milano aveva colto il Piemonte impreparato: l'esercito piemontese non era pronto alla guerra. Ma, sulla spinta degli avvenimenti, Carlo Alberto dichiarò ugualmente la guerra contro l'Austria, confermando ai popoli lombardo e veneto "quell'aiuto che il fratello aspetta dal fratello, l'amico dall'amico".
L'esercito piemontese varcò il confine posto sul Ticino, adottando il tricolore come bandiera nazionale, al posto della bandiera del regno di Sardegna.
Spinti dall'entusiasmo popolare, anche gli altri sovrani si videro costretti a inviare proprie truppe in sostegno a quelle piemontesi.
La campagna militare di Carlo Alberto iniziò felicemente: gli Austriaci vennero battuti a Goito, dopo che i battaglioni di volontari toscani, in gran parte studenti universitari di Pisa e Siena, avevano valorosamente resistito a Curtatone e Montanara.Curtatone e Montanara
I Governi provvisori di Milano, Venezia, Modena e Parma proclamarono allora l'unione col Piemonte, ma tale gesto provocò i sospetti degli altri sovrani italiani. Temendo un eccessivo rafforzamento del regno di Carlo Alberto, la Toscana e il Regno delle Due Sicilie ritirarono le loro truppe; il papa fece lo stesso, temendo che la cattolica Austria si volgesse contro la Chiesa di Roma. Questo impedì all'esercito piemontese di sfruttare la vittoria ottenuta. L'offensiva si fermò davanti alle fortezze del quadrilatero, mentre altre truppe austriache giungevano da Vienna. Riorganizzato l'esercito, il maresciallo Radetzky sferrò la controffensiva. Carlo Alberto, sconfitto a Custoza, fu costretto a firmare un armistizio e a ritirarsi in Piemonte.


La sconfitta definitiva. Il nuovo re -

L'anno seguente (1849) Carlo Alberto riprese la guerra. Ancora una volta, l'esercito piemontese si dimostrò impreparato. Carlo Alberto venne definitivamente battuto presso Novara.
Il sovrano rinunciò al trono a favore del figlio, Vittorio Emanuele II e andò in esilio nel lontano Portogallo. Morì a Oporto pochi mesi dopo. Vittorio Emanuele II riuscì a firmare un onorevole trattato di pace con gli Austriaci. Mantenne in vita tutte le riforme già concesse e, soprattutto, lo Statuto albertino.
Riflessioni sulla sconfitta - La prima guerra d’indipendenza si chiudeva con una serie di fallimenti.
Tramontava l’ideale di Gioberti e dei moderati neo-guelfi, che avrebbero voluto una confederazione di Stati italiani guidata dal pontefice Pio IX: al momento decisivo il papa aveva ritirato il suo appoggio. D’altra parte il Piemonte da solo si era dimostrato troppo debole per far fronte all’Austria.
Politici e uomini di governo compresero che la causa dell’indipendenza italiana doveva trovare il sostegno di altre potenze europee.
Per ottenere questo risultato presero le distanze dai democratici e dai repubblicani che spaventavano l’opinione pubblica moderata. Proposero invece un programma politico che mirava a raggiungere l’unità italiana e l’indipendenza nazionale sotto la monarchia liberale e costituzionale di Vittorio Emanuele II. Furono comunque importanti alcune esperienze repubblicane temporanee, pur senza un loro esito finale positivo.

Dal febbraio 1849 al luglio 1849 si svolse la vicenda della Repubblica Romana, che vide Pio IX fuggire dalla città e rifugiarsi nella fortezza di Gaeta come ospite di Ferdinando II di Borbone.

 

La repubblica romana aveva un governo di cui faceva parte Giuseppe Mazzini. Per difenderla erano accorsi volontari da ogni parte d’Italia. Fra questi spiccava Giuseppe Garibaldi, che aveva già valorosamente combattuto per la libertà dell’America meridionale. Insieme a lui vi erano il genovese Goffredo Mameli, il lombardo Luciano Manara e molti altri.
Contro di loro si mosse Luigi Napoleone, appena eletto presidente della repubblica francese. Egli inviò un corpo di spedizione a Roma, in aiuto di Pio IX, sia per conquistarsi le simpatie dei cattolici francesi sia per contrastare il predominio austriaco in Italia. In un primo tempo Garibaldi riuscì a contrastare le forze nemiche. Poi la città fu assediata da truppe numerose, dotate di cannoni.
Roma fu presa il 30 giugno 1849; nell’ultimo combattimento persero la vita Manara e Mameli.
Garibaldi fuggì con duemila volontari e la moglie Anita. Anita mori nella pineta di Ravenna per le fatiche e gli stenti. Garibaldi, braccato, riuscì ancora a fuggire. Fu il governo piemontese che lo fece arrestare e lo mandò in esilio, tranquillizzando così l’Austria e le grandi potenze.
La caduta Repubblica Romana, sotto i colpi degli Austriaci da Est e dei francesi da ovest, cancellò definitivamente la prospettiva di una soluzione neoguelfa (cioè sotto la guida del Papa) per l'unità della nazione.

A Venezia, con una insurrezione iniziata il 17 marzo 1848, nasceva la Repubblica di San Marco che ridava temporaneamente la libertà alla città, fino alla capitolazione del 27 agosto 1849. Dopo una dura e lunga lotta Venezia fu costretta alla resa dai bombardamenti, da un’epidemia di colera, dalla fame.

I capi della rivolta, Daniele Manin, Niccolò Tommaseo e il vecchio generale napoletano Guglielmo Pepe vennero condannati all’esilio.
La vittoria dell’Austria in Italia fu quindi totale.

Infine, emblemat10 giornate di Bresciaico per i territori sottoposti al dominio austriaco fu l'episodio delle Dieci giornate di Brescia, che vide la città resistere sino a fine marzo 1849, per dieci giorni, alle truppe austriache, che, dopo la loro vittoria alla battaglia di Novara, rioccuparono le campagne lombarde; al termine dei combattimenti la città fu lasciata al saccheggio della truppa austriaca. Anche  a Livorno un corpo di spedizione austriaco riconquistò la città. In Sicilia Catania, Palermo e Messina vennero bombardate, saccheggiate e quindi occupate militarmente.
 

La vittoria dei reazionari in Europa -

Il 1849 si chiuse ovunque con la vittoria delle forze reazionarie. La Russia soffocò nel sangue la rivolta dell’Ungheria per conto dell’Austria. Questa aveva già precedentemente domato le rivolte dei Boemi e dei Croati. In Germania l’Assemblea di Francoforte si sciolse, mentre in Prussia il re abolì la costituzione appena concessa. Due anni dopo (1851), con l’appoggio della borghesia moderata, dei cattolici e dell’esercito, Luigi Napoleone fu proclamato imperatore dei Francesi. Egli prese il nome di Napoleone III (il secondo era stato il figlio di Napoleone Bonaparte, morto giovanissimo e mai salito sul trono) e il suo fu chiamato secondo impero (il primo era stato quello del grande zio).

Nei dieci anni successivi alla sconfitta (il cosiddetto "decennio di preparazione") riprese inizialmente vigore il movimento repubblicano mazziniano, favorito anche dal fallimento del programma federalista neoguelfo; i mazziniani promossero una serie di insurrezioni, tutte fallite.
Quelle che più impressionarono l'opinione pubblica italiana ed europea furono l'episodio dei martiri di Belfiore (1852), strascico repressivo austrMartiri del Belfioreiaco contro le ribellioni avvenute negli anni precedenti nel Regno Lombardo Veneto, dove alle porte di Mantova all’alba del 7 Dicembre 1852, vennero impiccati dagli austriaci il sacerdote Enrico Tazzoli, il medico mantovano Carlo Poma, il pittore ritrattista Zambelli ed altri due patrioti veneziani Angelo Scarsellini e Bernardo De Canal. Per tutti l’accusa che li aveva portati al patibolo era di cospirazione segreta di stampo mazziniano. Nello stesso processo finirono sul tavolo degli imputati ben 110 cittadini di Mantova e di altre città del Lombardo-Veneto.

Disastrosa fu la spedizione di Sapri (1857), nel Regno delle Due Sicilie, condotta all'insegna del credo mazziniano per il quale ciò che contava era più che il successo il "dare l'esempio" e conclusasi con la morte di Carlo Pisacane e dei suoi 23 compagni, massacrati dai contadini assieme ad altri patrioti liberati all'inizio della spedizione dal carcere di Ponza.

Fortemente impressionò la borghesia italiana anche la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 che condotta con spirito mazziniano, ossia confidando in una spontanea partecipazione popolare e addirittura nell'ammutinamento dei soldati ungheresi dell'esercito austriaco, fallì miseramente nel sangue. Oltre che l'impreparazione e la superficiale organizzazione dei rivoltosi, operai d'ispirazione politica socialista, furono proprio i mazziniani, notoriamente in contrasto ideologico col marxismo, a contribuire al fallimento non facendo loro pervenire le armi promesse e mantenendosi passivi al momento dell'insorgere della rivolta. Un pugno di uomini armati di pugnali e coltelli andarono così consapevolmente incontro al disastro in nome dei loro ideali patriottici e socialisti.
A Napoli nel 1856, dopo un fallito attentato al re Ferdinando II, veniva condannato a morte il calabrese Agesilao Milano mentre in Sicilia veniva repressa una sommossa organizzata da Francesco Crispi e Francesco Bentivegna.
La crisi del movimento mazziniano favorisce nel 1857 la creazione in Piemonte della Società nazionale italiana, ad opera degli esuli Daniele Manin e Giuseppe La Farina e in probabile accordo con Cavour, a supporto del movimento unitario che si stava formando attorno al Piemonte, operando alla luce del sole nel regno sabaudo e clandestinamente negli altri stati italiani.
Nel 1850 Camillo Benso conte di Cavour entra nel governo piemontese: inizialmente come ministro per il commercio e l'agricoltura, divenendo poi anche ministro delle finanze Cavoure della Marina; infine è primo ministro il 4 novembre 1852. Fin dall'inizio come ministro del commercio intraprende una azione che punta a molteplici accordi con le nazioni europee, stringendo accordi commerciali con Grecia, le città anseatiche (città tedesche alleate tra loro), l’Unione doganale tedesca, la Svizzera e i Paesi Bassi, ed approfondisce i contatti con le potenze europee viaggiando nell'estate del 1852 ed incontrando a Londra il Ministro degli Esteri inglese Malmesbury, Palmerston, Clarendon, Disraeli, Cobden, Lansdowne e Gladstone e a Parigi il presidente Luigi Napoleone ed il ministro degli esteri francese. L'anno successivo Ludwig von Rochau introducendo il concetto di realpolitik col suo saggio Principles of Realpolitik ne porta come esempio l'azione di Cavour che prepara le basi "per una grande originale operazione nazionale".
Sotto Cavour si accentuano i contrasti con i conservatori clericali e il Regno di Sardegna, arrivando ad un punto di non ritorno con la scomunica papale comminata al Re Vittorio Emanuele II, a Cavour e a tutti membri del governo e del parlamento a seguito della Crisi Calabiana (1855) che si concluse con l'approvazione della legge sui conventi.


La II guerra d'indipendenza. Napoleone III.

Il biennio 1859-1860 costituì una nuova fase decisiva per il processo d'unificazione, caratterizzato dall'alleanza tra la Francia di Napoleone III e il Regno di Sardegna siglata con gli accordi di Plombieres, che peraltro non prevedevano la completa unità italiana estesa a tutta la penisola.
Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II pronunciò un famoso discorso della Corona al Parlamento subalpino, disse: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi»; parole che esprimevano un'accusa di malgoverno austriaco sugli italiani ai quali il re sabaudo si proponeva come loro soccorritore e una velata ricerca del "casus belli": elemento quest'ultimo necessario poiché, secondo gli accordi, Napoleone III sarebbe entrato in guerra solo nel caso di un attacco austriaco al Piemonte.
Nel frattempo Garibaldi veniva autorizzato a condurre apertamente una campagna di arruolamento di volontari nei Cacciatori delle Alpi, una nuova formazione militare regolarmente incorporata nell'esercito sardo. L'Austria colse nelle parole del sovrano piemontese e nel riconoscimento ufficiale dei volontari agli ordini del noto rivoluzionario mazziniano Garibaldi, che veniva stanziato ai confini del Lombardo-Veneto, una provocazione e una sfida. La possibilità però di una guerra all'Austria con l'alleato francese sembrava ancora lontana dal realizzarsi per l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano in una guerra vittoriosa del Piemonte una probabile successiva annessione dello Stato pontificio, con la conseguente perdita del potere temporale del papa. Per allontanare il rischio di una guerra agiva anche la diplomazia inglese e prussiana che si adoperava per una conferenza di pace: si sapeva infatti che gli accordi di Plombieres prevedevano un insediamento della Francia nell'Italia centrale e meridionale che avrebbe alterato i rapporti di forza in Europa.


La battaglia di Varese
Dopo mesi, durante i quali sembrava si potesse giungere a una pacificazione, giunse l'ultimatum austriaco al Piemonte con l'ingiunzione di disarmare l'esercito e il corpo dei volontari. Cavour in risposta all'intimazione austriaca dichiarò di voler resistere all'«aggressione» e a fine aprile giunse la dichiarazione di guerra degli austriaci che attaccarono il Piemonte attraversando il confine sul fiume Ticino (26 aprile).
Il 12 maggio 1859 l'alleato francese Napoleone III, sulle orme del "grande zio", secondo gli accordi convenuti, entrò in guerra al comando dell' Armée d'Italie. Seguirono nel periodo maggio-giugno una serie di vittorie franco-piemontesi, ma con un alto numero di perdite, mentre i Cacciatori delle Alpi al comando di Garibaldi dopo aver preso Varese, Bergamo, Brescia continuavano ad avanzare verso il Veneto.
Cacciatori delle alpiAlle notizie della guerra all'Austria il 27 aprile 1859 i ducati emiliani, le legazioni pontificie, e il Granducato di Toscana, dopo l'abbandono del granduca Leopoldo, chiedevano ed ottenevano l'invio di commissari sabaudi per l'annessione al Regno sardo.
Questi avvenimenti che sconvolgevano gli accordi di Plombieres sulla spartizione degli stati italiani, il malcontento dell'opinione pubblica francese per l'alto numero di morti nella guerra in Italia, l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano realizzarsi i loro timori per la perdita dell'autonomia papale, spinsero Napoleone III ad accettare di firmare un armistizio (luglio 1859) con l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo ("preliminari di pace di Villafranca") che concedeva ai Piemontesi la sola Lombardia (eccetto Mantova e Peschiera del "Quadrilatero") in cambio dell'abbandono delle terre già occupate nel Veneto e della rinuncia a soddisfare le richieste di annessioni.
Vittorio Emanuele accettò le condizioni di pace e ritirò i commissari regi dalle città di Firenze, Parma, Modena, Bologna dove però i governi provvisori si opponevano alla restaurazione ipotizzando anche una forza militare comune di difesa, mentre le truppe papaline riprendevano militarmente il controllo dell'Umbria ribellatasi.
Nel frattempo il quadro internazionale cambiava e l'Inghilterra si mostrava favorevole ad una situazione italiana dove la Francia non avrebbe avuto alcun peso mentre uno Stato unitario italiano poteva costituire un valido punto d'equilibrio in Europa sia nei confronti della Francia che dell'Austria.
Il ritiro unilaterale dei francesi rendeva nulli gli accordi di Plombieres, ma Cavour colse l'occasione delle mutate condizioni offrendo a Napoleone III la Savoia e il Nizzardo in camItalia nel 1860bio del riconoscimento francese delle annessioni dell'Emilia e della Toscana che con il consenso della Francia, tramite i plebisciti dell'11 e 12 marzo 1860, entrarono a far parte del Regno di Sardegna.


La Spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d'Italia
Ulteriore passo verso l'unità fu la spedizione "dei Mille" garibaldini in Sud Italia. Quest'ultima era formata da poco più di un migliaio di volontari provenienti in massima parte dalle regioni settentrionali e centrali della penisola, appartenenti sia ai ceti medi che a quelli artigiani e operai; fu l'unica impresa risorgimentale a godere, almeno nella sua fase iniziale, di un deciso appoggio delle masse contadine siciliane, all'epoca in rivolta contro il governo borbonico e fiduciose nelle promesse di riscatto fatte loro da Garibaldi. «Il profondo malcontento delle masse popolari delle campagne e delle città, sebbene avesse le sue radici nella miseria e quindi nella struttura di classe della società, si rivolgeva contro il governo prima ancora che contro le classi dominanti».
Dopo la battaglia di Calatafimi, dove fu determinante per la vittoria la partecipazione dei contadini siciliani, e la conquista di Palermo mentre le truppe regie si ritirano verso Messina, «con la metà di giugno si spezza definitivamente l'alleanza tra borghesi e contadini per dar luogo all'alleanza tra borghesi isolani e borghesia continentale rappresentata dai garibaldini e dai moderati» Ma nel frattempo continuava anche la guerra separata dei contadini ancora condotta in nome di Garibaldi e della libertà. Invasero i demani comunali, i feudVittorio Emanuele IIi dei baroni latifondisti, bruciarono gli archivi dove erano custoditi i titoli del loro servaggio. «I movimenti di insurrezione dei contadini contro i baroni furono spietatamente schiacciati e fu creata la Guardia Nazionale anticontadina; è nota la spedizione repressiva di Nino Bixio, il braccio destro del Generale, nella regione del catanese dove le insurrezioni furono più violente.».

Mentre Garibaldi avanzava da sud, in agosto insorse la Basilicata arrivando ad avere un governo provvisorio che rimase in carica fino all'ingresso di Garibaldi a Napoli. Le truppe di Vittorio Emanuele II entravano nello Stato della Chiesa scontrandosi il 18 settembre con l'esercito pontificiItalia 1861o nella Legazione delle Marche, a Castelfidardo, dove ottennero la vittoria che portò poi all'annessione di Marche ed Umbria. Solo dopo questa vittoria si poté pensare alla proclamazione del Regno d'Italia in quanto fu possibile unire politicamente le regioni del nord e del centro, confluite nel Regno di Sardegna in seguito alla seconda guerra d'indipendenza (e le conseguenti annessioni), alle regioni meridionali conquistate da Garibaldi e definitivamente sottratte ai Borbone, dinastia che in passato aveva dato a Napoli anche un grande sovrano, ma che «...ormai rappresentava, nella vita dell'Italia Meridionale, la peior pars...», cioè la parte peggiore, come scrisse Benedetto Croce. Anche lo storico e filosofo Ernest Renan, in viaggio nel Mezzogiorno d'Italia attorno al 1850, al pari degli altri viaggiatori e osservatori stranieri constatava l'«...affreuse tyrannie intellectuelle qui règne sur cette partie de l'Italie...».
Dopo alcuni tentennamenti e sotto la pressione di Cavour e dell'imminente annessione di Marche ed Umbria alla monarchia sabauda, Garibaldi, pur di idee repubblicane, non pose ostacoli all'unione dell'ex Regno delle Due Sicilie al futuro Stato unificato italiano, che già si profilava all'epoca sotto l'egida di Casa Savoia. Tale unione fu formalizzata mediante il referendum del 21 ottobre 1860.
Il 18 febbraio 1861 si riuniva a Torino il primo Parlamento dell'Italia unita, che il 17 marzo proclamava il regno d'Italia sotto la monarchia dei Savoia e Vittorio Emanuele II non re degli italiani ma «re d'Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione». Non "primo", come re d'Italia, ma "secondo" come segno distintivo della continuità della dinastia di casa Savoia che aveva realizzato la «conquista regia» della unificazione italiana; tre mesi dopo moriva Cavour che, nel suo primo discorso al Parlamento dopo la proclamazione del Regno d'Italia, aveva suggerito la linea politica di Libera Chiesa in libero Stato come soluzione al problema della persistenza del potere temporale in Italia, che impediva una soluzione pacifica affinché Roma, proclamata capitale del Regno, ma di fatto ancora capitale dello Stato pontificio, potesse effettivamente diventare la capitale del nuovo Stato e che conseguentemente condizionava la partecipazione dei cattolici, sensibili alle indicazioni di Pio IX, alla vita politica nazionale.
Il nuovo regno mantenne lo Statuto albertino, la costituzione concessa da Carlo Alberto nel 1848 e che rimarrà ininterrottamente in vigore sino al 1946.