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Francesco I di Valois-Angouleme
era salito al trono di Francia
nel 1515 mentre Carlo V viene eletto Imperatore d'Asburgo nel 1519.
Dal 1530 al 1559 il conflitto franco-asburgico cambiava natura.
Dalla guerra
decisa in poche grandi battaglie campali, si passava ad una guerra di
logoramento, connessa ad un vasto lavoro diplomatico. Francesco I non cavalcava
più alla testa dei suoi eserciti, né poteva più contare, sulla superiorità dei
mercenari svizzeri, ormai eguagliati dalle fanterie spagnole e germaniche. Più
che sulle clamorose battaglie in campo aperto, la Francia confidava ormai nelle
potenti fortificazioni di tipo moderno, che guarnivano le sue piazzeforti di
frontiera, e sull'estenuazione delle forze avversarie.
D'altra parte nemmeno gli
Asburgo potevano più contare sulla propria superiorità diplomatica, sulla quale il
governo francese operava in misura sempre più larga, intrecciando una rete di
alleanze con i nemici di Carlo V.
Proprio in forza di questo giuoco di alleanze, il conflitto, da italiano tendeva
a farsi europeo.
Il teatro delle operazioni italiano perdeva importanza.
Pur continuando a perseguitare i protestanti nel suo territorio, la monarchia
francese allacciava rapporti di amicizia con i principi luterani dell'impero,
così come cercava di sfruttare ai propri fini tutti gli avversari di Carlo V e
dei suoi alleati: dai fuorusciti toscani, avversi ai Medici, al re di Scozia,
nemico di Enrico VIII d'Inghilterra, per finire ai re di Danimarca e di Svezia, ostili
al predominio dei Paesi Bassi nei mari dell'Europa settentrionale. Né le
alleanze si limitavano alla cristianità: la Francia faceva sempre più
assegnamento sull'alleanza con l'Impero Ottomano, che in quegli anni iniziava il
suo ingresso nella lotta per il predominio sull'Europa.
L' Impero degli Ottomani nella politica europea.
Dal 1520, un sovrano dalle ampie concezioni strategiche e politiche è sul trono
di Costantinopoli: Solimano II il Magnifico (1520-1566). Pur continuando
l'espansione verso l'Oriente dei suoi predecessori, e la lotta contro gli scià
di Persia, che ricorrono all'alleanza di Carlo V, il sultano turco si interessa
fin dai primi anni del suo regno dei balcani e prepara una poderosa offensiva
contro la cristianità, per terra e per mare.
Nel 1522 viene investita la piazzaforte di Rodi, invano difesa eroicamente dai
cavalieri dell'Ordine Gerosolimitano. Francia, Spagna e Venezia, tutte assorbite
dalle vicende del duello per l'Italia, non possono intervenire ed i cavalieri
sono costretti a capitolare, evacuando l'isola. Subito dopo è la volta dell'UNGHERIA.
Nel 1526, sul campo di battaglia di Mohàcs, il re LUIGI II IAGELLONE è sconfitto
ed ucciso dai Turchi.
Delle due corone di Boemia ed Ungheria, prima detenute dallo Iagellone, dovrebbe
essere erede, grazie ad un'altra delle tante combinazioni matrimoniali degli
Asburgo, Ferdinando I d'Austria, fratello di Carlo V, ma la nobiltà ungherese,
tradizionalmente avversa ai tedeschi, si rifiuta di accettare quest'ultimo come
sovrano e tenta di creare uno stato magiaro autonomo sotto la protezione di
Solimano il Magnifico.
Tra il 1529 ed il 1532 arde la guerra sul Danubio tra le forze dei turchi e
degli ungheresi e quelle degli Asburgo, che rischiano per un momento di vedere
invasa l'Austria e conquistata Vienna stessa. Il disastro è evitato e la
situazione ristabilita ricacciando l'invasione turca al di là dei confini
austriaci. Da allora in poi, tuttavia, la diplomazia francese potrà contare
ininterrottamente sull'alleanza degli ungheresi, avversi al dominio asburgico, e
su quella di Solimano, assurto ormai ad una parte di primo piano nella grande
politica europea.
Alla sua azione in direzione del Danubio per via di terra, Solimano affianca una
vasta offensiva marittima nel Mediterraneo. Egli crea una grande flotta da
guerra ed affida il comando delle sue forze marittime ad un vecchio corsaro
dell'Africa Settentrionale, CHAIR-ED-DIN, detto Barbarossa, signore di Algeri,
inserendo così l'intera costa settentrionale africana entro l'orbita politica
dell'Impero turco. Le navi turche ed algerine infestano il Mediterraneo con la
loro pirateria e gettano il terrore su tutte le coste dell'Italia e della
Spagna, con sbarchi improvvisi, portando via schiavi cristiani a migliaia. Ed
invano contro di loro si prodigano i cavalieri gerosolimitani, che da Rodi sono
stati trasferiti nell'isola di MALTA, sotto l'alto protettorato della corona di
Spagna.
Richiamato dalle insistenti richieste dei suoi sudditi spagnoli ed italiani,
vessati dalle scorrerie del Barbarossa, Carlo V tenta di infliggere a quest'ultimo
un duro colpo, guidando di persona una spedizione contro Tunisi (1535). Il
successo arride agli imperiali, che riescono a strappare quest'ultima città e
qualche altra posizione litoranea al Barbarossa. Ma neppure questo riesce a
porre fine alla pirateria musulmana, che dal covo di Algeri dilaga, incubo
pauroso, per tutto il Mediterraneo.
La guerra franco-asburgica del 1536-44 ed i nuovi sviluppi della situazione
italiana.
Alle spalle del vincitore di Tunisi, viceversa, tutto il sistema politico
italiano, costruito con tanta abilità nel congresso di Bologna del 1530,
minaccia di sfasciarsi, consentendo alla Francia di riaffacciarsi nella
penisola. Carlo V aveva legato a sé tutte le maggiori dinastie italiane, ed
attraverso di loro i vari centri della penisola. Ma gli uni dopo gli altri, i
caposaldi dell'imperialismo asburgico in Italia — Medici, Sforza, Savoia —
entrano in crisi, creando a Roma, Milano, Firenze e nel Piemonte una serie di
problemi o di focolai di ostilità.
A Roma, la morte di Clemente VII ha portato al trono Papale il romano Alessandro
Farnese, col nome di Paolo III (1534-49). Al contrario del suo predecessore, che
con la sua disgraziata politica aveva finito per trovarsi al rimorchio ora degli
interessi della Francia ed ora di quelli della Spagna, il nuovo papa inaugura
un'intelligente e coraggiosa linea di condotta, mantenendosi indipendente così
dall'una come dall'altra potenza e cercando di sfruttare ambedue ai fini della
lotta contro i Turchi ed i protestanti.
Figura di un'energia ed una grandezza di propositi che richiamano alla memoria
la impetuosa vigoria di Giulio II, Paolo III è al tempo stesso il primo dei
grandi papi della Controriforma e l'ultimo di quelli del Rinascimento. Da un
lato infatti egli è il primo a promuovere l'opera di riforma interna della
Chiesa e il consolidamento della sede papale, nei confronti del pericolo
protestante. Per un altro, invece, egli è l'ultimo continuatore della politica
nepotistica dei papi del Rinascimento, mirando a costituire uno stato per i
propri discendenti, come il figlio PIER LUIGI FARNESE ed il nipote OTTAVIO. Ed
ovviamente, le ambizioni dei Farnese sono in contrasto con la politica di Carlo,
che tende viceversa ad immobilizzare la situazione politica italiana, per avere
mano libera nel Nord Africa.
Proprio nel momento in cui Carlo V è occupato a Tunisi, muore Francesco II
Sforza e l'imperatore è costretto ad ordinare l'occupazione di Milano, da parte
delle proprie truppe, in base agli accordi di Bologna del 1530.
Contemporaneamente, il cognato di Carlo V, cioè l'inetto duca di Savoia CARLO
III, viene alle prese con gli svizzeri, che gli strappano buona parte dei suoi
domini al di là delle Alpi, impadronendosi del Vaud e di Losanna, ove
introducono la Riforma, favorendo lo svincolarsi di Ginevra dal controllo
sabaudo.
Cogliendo il momento favorevole, allora, Francesco I invade nel 1536 la Savoia
ed occupa il Piemonte, accordandosi con Solimano il Magnifico e riaccendendo la
guerra contro gli Asburgo in Italia, in Fiandra, sui Pirenei.
Abbandonando precipitosamente il Nord-Africa, per fare fronte alla nuova
minaccia, Carlo V, con un'abile manovra diplomatica, riesce a parare il colpo
dell'alleanza della Francia con Solimano, concludendo una lega difensiva contro
i Turchi con il pontefice PAOLO III e con Venezia, sulla quale scarica
astutamente il peso maggiore della lotta nel Mediterraneo. Ma scoppia allora la
crisi anche a Firenze, ove il duca ALESSANDRO DEI MEDICI, genero di Carlo V, si
è fatto odiare per la sua brutalità da tutti i fiorentini, compresi i « Grandi
», cioè i rappresentanti dei maggiori interessi bancari e mercantili della
città, che pure erano stati ostili alla repubblica piagnona del 1530 e
favorevoli alla restaurazione della signoria medicea.
Il più ricco banchiere di
Firenze, FILIPPO STROZZI, va ad ingrossare le file dei fuorusciti fiorentini e
si volge a sorreggere finanziariamente la politica francese contro Carlo V. Il
cugino stesso di Alessandro, LORENZINO DEI MEDICI, esaltato dai ricordi classici
del pugnale di Bruto, uccide il duca e si rifugia presso lo Strozzi, il quale si
dà a preparare un'invasione di fuorusciti entro lo stato fiorentino, sotto
bandiera francese. Solo l'appoggio militare spagnolo e la ferrea energia del
successore di Alessandro, il giovanissimo Cosimo I DEI MEDICI (1537-1574),
figlio di Giovanni delle Bande Nere, riescono ad evitare il ritorno di Firenze
entro l'orbita politica della Francia. I fuorusciti sono sconfitti a Montemurlo,
nell'agosto del 1537; i loro capi sono catturati, e lo stesso Filippo Strozzi si
uccide in carcere per sottrarsi alla esecuzione capitale; Firenze rimane sotto
il protettorato imperiale. La Francia, tuttavia, continua a fruire dell'appoggio
finanziario dei « Grandi » fuorusciti.
Per liberarsi della guerra con la Francia, Carlo V appagava le ambizioni
nepotistiche di Paolo III, concedendo ad Ottavio Farnese la mano della vedova di
Alessandro dei Medici, MARGHERITA d'Austria, con un matrimonio dal quale nascerà
in seguito ALESSANDRO FARNESE, il più grande dei capitani italiani del sec. XVI.
Grazie alla mediazione papale, allora, si giungeva alla conclusione nella
Tregua di Nizza stipulata nel 1538 tra le due grandi potenze stanche della
interminabile lotta. Purtroppo ad essa seguiva ben presto la conclusione della
pace tra Solimano il Magnifico e Venezia, battuta nella battaglia navale della Prevesa (1538) e colpita nei suoi rifornimenti alimentari dalla interruzione
della importazione del grano del Levante. Né d'altra parte quegli anni di
respiro guadagnati da Carlo V per mezzo della tregua di Nizza permisero
all'imperatore di raggiungere risultati conclusivi nei due settori che
maggiormente gli stavano a cuore: la lotta contro i mussulmani e la
pacificazione della Germania. Un tentativo di raggiungere un accordo fra
protestanti e cattolici falli nel 1541 nella Dieta di Ratisbona. Subito dopo,
una spedizione tentata da Carlo V nel 1542 contro Algeri, cioè il nido dei
corsari del Barbarossa, finì in un disastro completo, dal quale l'imperatore
stesso poté scampare a stento.
Francesco I tentò allora di sfruttare l'occasione, con la ripresa delle ostilità
contro Carlo V (1543). Ancora una volta la Francia ricorse all'alleanza con
Solimano, il Barbarossa, gli Ungheresi, i re della Danimarca e della Svezia.
Alla coalizione antiasburgica Carlo V poté a sua volta contrapporre la
dichiarazione di guerra alla Francia di Enrico VIII d'Inghilterra, cui rispose
ovviamente l'alleanza tra la Francia e la Scozia contro il comune nemico. Ed
ancora una volta, la guerra si ridusse al consueto logoramento reciproco,
terminato con una pace non meno inconcludente delle precedenti. Col trattato di
Crépy (1544) la situazione rimaneva sostanzialmente invariata, lasciando gli
imperiali a Milano ed i francesi nel Piemonte.
Gli anni delle congiure: 1546-47 -
La pace di Crépy si estendeva ben presto anche a Solimano il Magnifico ed agli
altri alleati della Francia, mentre lasciava aperto il conflitto tra
l'Inghilterra, la Francia e la Scozia. Pacificatosi, almeno momentaneamente,
con Solimano e Francesco I, e quindi al sicuro da attacchi da questa parte,
Carlo V credette giunto il momento di sbarazzarsi dell'opposizione germanica.
Nel 1546 infatti egli assaliva in forze la Lega di Smalcalda e l'anno seguente
la sconfiggeva nella battaglia di MUHLBERG, catturando lo stesso elettore di
Sassonia.
La vittoria sugli Smalcaldici però si rivelò non meno inconcludente delle tante
già riportate da Carlo V. L'impossibilità di concentrare tutte le sue forze in
Germania, per non sguarnire completamente le altre frontiere, portava con sé
l'impossibilità per l'imperatore di sfruttare il proprio successo per
schiacciare il protestantesimo ed imporre un governo assoluto sul territorio
dell'Impero. Costretto a bilanciarsi tra le troppe esigenze che da ogni parte ne
distraevano le forze, fronteggiato dalla risoluta opposizione delle città
tedesche, decise a non abbandonare il protestantesimo, l'imperatore dovette
lasciare che in Germania le cose continuassero a trascinarsi nel caos ormai
consueto e rassegnarsi a perdere i frutti della sua vittoria.
La Francia, impegnata contro l'Inghilterra, non aveva potuto intervenire contro
l'imperatore durante la campagna contro gli Smalcaldici. Il fatto però che Carlo
V si trovasse per qualche tempo occupato contro un obbiettivo abbastanza lontano
dalla penisola, fu sufficiente perché l'Italia ribollisse di congiure e di
tentativi di rivolta per tutto il tempo che durò la guerra con gli Smarlcaldici.
La prima a muoversi è l'eternamente irrequieta Toscana. Nella repubblica di
Lucca il gonfaloniere Francesco Burlamacchi, educato nell'austero clima della
tradizione piagnona e forse in segreto contatto con le correnti protestanti
della sua città, concepisce l'ardito disegno di un moto religioso e politico al
tempo stesso. Lucca dovrebbe farsi perno di un accordo segreto tra le varie
città toscane, oppresse dal dominio di Cosimo I dei Medici, vassallo dell'Impero
e strumento della repressione religiosa della Controriforma: la ribellione
dovrebbe divampare in tutta la regione e trasformarsi ben presto in moto
antipapale oltre che antimediceo, portando allo stabilirsi di una sorta di
federazione repubblicana delle città dell'Italia centrale. Prima però che il Burlamacchi traduca in pratica il progetto, la vigilanza di Cosimo dei Medici
conduce nell'agosto del 1546
alla scoperta della congiura ed all'arresto del gonfaloniere lucchese, che viene
tradotto a Milano e condannato a morte.
Subito dopo, il 2 gennaio 1547, scoppia a Genova la Congiura dei Fieschi, cioè
un moto rivoluzionario, capeggiato dal conte Gian Luigi dei Fieschi, in segreto
accordo con i francesi contro i Doria ed il predominio spagnolo. In un primo
momento i congiurati riescono ad avere il sopravvento e ad uccidere Giannettino
Doria, nipote ed erede del grande ammiraglio. Un incidente però tronca la vita
del Fieschi, sgomentando i suoi seguaci, che fuggono, perseguitati dalle
rappresaglie implacabili di Andrea Doria. Nello stesso giro di tempo infine,
Napoli insorge violentemente contro un tentativo del viceré Don Pedro di Toledo,
suocero di Cosimo I dei Medici, di introdurre in città l'inquisizione di tipo
spagnolo.
Più gravi ancora sono gli avvenimenti che si verificano nel settembre di quello
stesso 1547 in Emilia. Pure di assicurare uno stato al proprio figlio, Paolo III,
nel 1545, aveva preso la decisione di distaccare le due città di Parma e
Piacenza, un tempo facenti parte dello stato di Milano e successivamente
ritornate allo Stato della Chiesa, e di costituirle in ducato per Pier Luigi Farnese. Dissoluto e rotto ad ogni vizio, ma non privo di qualche dote nel campo
politico, il Farnese aveva cercato di imitare la politica indipendente del
padre, facendo sorgere i sospetti del governatore imperiale di Milano, Ferrante
Gonzaga, un cadetto della famiglia dei duchi di Mantova, avversissimi alla
formazione dello stato farnesiano. Il 19 settembre 1547, una congiura, istigata
dal Gonzaga, sopprime Pier Luigi ed offre il destro al governatore di Milano di
insignorirsi della cittadella di Piacenza, profittando della confusione seguita
all'assassinio. Al colpo di forza del Gonzaga risponde l'ostilità sempre più
aperta della Francia, che appoggia il successore di Pier Luigi, Ottavio Farnese,
il quale, benché genero dell'imperatore, scende in campagna per riottenere il
suo stato. La guerra tra le due maggiori potenze non è ancora dichiarata
ufficialmente, ma la rottura è già praticamente avvenuta e l'Italia sta tornando
ad essere uno dei campi di battaglia.
La politica di Enrico II -
Fra tanti avvenimenti, il 1547 assisté inoltre alla scomparsa, pressoché
contemporanea, di Enrico VIII d'Inghilterra e di Francesco I di Francia,
sostituiti rispettivamente dai figli Edoardo VI (1547-1553) e Enrico II
(1547-1559). La minore età del sovrano inglese consigliava al regno una politica
di prudenza e quindi un ritiro dalla partecipazione alla lotta tra gli Asburgo e
la Francia, mentre viceversa permetteva ai suoi consiglieri, guidati
dall'arcivescovo CRANMER, una ulteriore evoluzione religiosa, che conduceva la
Chiesa d'Inghilterra assai vicina alle posizioni del protestantesimo svizzero e
strasburghese. Sbarazzato così dalla guerra contro l'Inghilterra. Enrico II
poteva tornare a concentrare i suoi sforzi contro l'Impero di Carlo V.
All'alleanza, ormai tradizionale, con i turchi ed i barbareschi dell'Africa
settentrionale, che, tra l'altro, aveva aperto al commercio francese vantaggiose
possibilità di espansione nel Levante, si aggiungeva adesso l'alleanza offensiva
e difensiva con i principi tedeschi. Mentre prima di allora i principi
protestanti germanici, pur mantenendo un atteggiamento diffidente ed ostile
verso l'imperatore avevano
sempre rifiutato di prendere le armi contro di lui a fianco del re francese
alleato dei mussulmani, dopo il colpo di Mulberg questi scrupoli erano venuti
completamente a cadere. Forte appunto di questa preziosa alleanza, Enrico II
poté procedere, nella primavera del 1552, all'occupazione dei tre vescovati di
Metz, Toul e Verdun, fino ad allora soggetti al dominio imperiale, benché
francesi di lingua. Tornava così ad affacciarsi, dopo tanti vani sforzi compiuti
nella penisola italiana, l'antica politica di Luigi XI di avanzata in direzione
del Reno, che lo stato francese avrebbe continuato fino al secolo XX.
Alla corte di Enrico II, tuttavia, gli obiettivi italiani continuavano ad
avere un peso fondamentale nel delineare la politica francese. Particolare
influenza avevano anzi i fuorusciti fiorentini, sia per il controllo da loro
esercitato sul traffico bancario di Lione, sia per l'ascendente della moglie
stessa di Enrico II, CATERINA DEI MEDICI, nipote di Clemente VII ed avversaria
implacabile di Cosimo I, duca di Firenze.
Nel 1552 già tutta l'Europa era in fiamme e l'Impero era nuovamente costretto a
difendersi su tutti i fronti dai colpi vibratigli contemporaneamente dalla
Francia, dai principi tedeschi ribelli, dalla Turchia, dai corsari algerini. In
Italia, all'intervento francese a favore di Ottavio Farnese, nel ducato di
Parma, si aggiungeva l'appoggio dato da una flotta turco-francese alla
ribellione scoppiata in Corsica contro i Genovesi e capeggiata da SAMPIERO
ORNANO da Bastelica e finalmente la guerra in Toscana contro Cosimo I.
La guerra di Siena: Cosimo I dei Medici -
Già nel 1552, difatti, il presidio lasciato da Carlo V a guardia di Siena era
stato cacciato dalla popolazione insorta, che aveva invocato la protezione della
Francia. Ne era seguito così l'invio a Siena di forze francesi, al comando di
PIERO STROZZI, un figlio di Filippo, divenuto uno dei più valorosi generali del
re di Francia. Un tentativo di rioccupare la città, compiuto da forze spagnole,
era fallito davanti all'energica resistenza degli abitanti e dei francesi. Dal
1554 però, la guerra di Siena, abbandonata dagli imperiali, veniva ripresa e
condotta fino in fondo con ferrea energia dal duca di Firenze, Cosimo I dei
Medici, che a ragione doveva ritenersi il più minacciato dalla presenza di Piero
Strozzi e delle sue truppe al confine del ducato fiorentino.
I quindici anni intercorsi tra l'ascesa al trono di Cosimo I dei Medici e lo
scoppio della guerra di Siena erano stati sufficienti per rivelare in Cosimo una
delle figure più notevoli di uomo di stato dell'Italia di quel tempo. Signore di
un piccolo ducato, straziato da mezzo secolo di incessanti lotte intestine,
caduto per forza di cose sotto il vassallaggio imperiale, il Medici era riuscito
a pacificarlo, ristabilendo con pugno di ferro l'ordine e la giustizia; ne aveva
ristorato le finanze e la vita economica, promuovendo la ripresa dei traffici e
delle industrie e la attuazione di imponenti lavori di bonifica nelle zone
paludose. Mentre in politica estera tentava di riguadagnare il massimo possibile
di autonomia nei riguardi della soverchiante potenza imperiale, in politica
interna giungeva a risolvere quel problema che nessuno dei regimi, che fino ad
allora si erano successi in Firenze, aveva mai osato affrontare: cioè la
parificazione in diritti e doveri dei fiorentini con gli altri popoli del
dominio, togliendo via l'odiosa oppressione praticata dai primi nei confronti
dei secondi e giungendo in tale modo a dare una compattezza interna allo stato mai
prima immaginata. Mentre artisti, come il VASARI, il CELLINI, od il BRONZINO,
tornavano ad adornare delle loro opere le città toscane, incoraggiati dal
mecenatismo del duca, l'aspirazione del Machiavelli sembrava trasformarsi in
realtà con la creazione di una milizia nazionale toscana, destinata a togliere
il ducato dalla necessità di ricorrere esclusivamente all'arruolamento di
mercenari per le esigenze della guerra.
Forte, bene ordinato, finanziariamente prospero, retto con pugno di ferro dal
suo duca, lo stato fiorentino ricostruito mirava adesso all'assorbimento della
morente repubblica di Siena. Ma la disperata resistenza dei senesi, emuli del
popolo fiorentino nella difesa delle libertà repubblicane, rese l'impresa assai
più lunga e difficile di quanto non si potesse pensare all'inizio. Stretta di
assedio per oltre un anno, tormentata dalla fame, la città non si piegava. Le donne
stesse davano il cambio agli uomini nel fare la guardia sulle mura. Piero
Strozzi, uscito fuori con un audace sortita, si gettava contro il territorio
fiorentino cercando di attirare il nemico lontano da Siena, per guadagnare tempo
e permettere di arrivare agli sperati aiuti del re di Francia. Purtroppo gli
aiuti venivano
a mancare. Piero Strozzi nell'agosto del 1554 veniva disfatto dai medicei nella
battaglia di Marciano nella Val di Chiana. La fame, nell'aprile del 1555,
costringeva gl'intrepidi difensori ad accettare la resa con l'onore delle armi.
Neppure allora però tutti piegarono. Un pugno di irreducibili, condotto da Piero
Strozzi, rifiutò di sottomettersi, andò a rifugiarsi nella rocca di Montalcino e
là per altri quattro anni continuò a combattere, mantenendo vivo il nome ed i
simboli della gloriosa repubblica di Siena.
L'abdicazione di Carlo V.-
Le ostilità contro l'imperatore Carlo V avevano termine finalmente con la tregua
di Vaucelles, stipulata con il re di Francia Enrico II, e con la pacificazione
di Augusta (1555), concordata con i principi protestanti.
Mentre la tregua di Vaucelles si limitava a lasciar le cose sulla base dello
status quo, la pacificazione di Augusta produceva effetti di notevole importanza
nel conflitto religioso germanico. Carlo V accettava ormai di riconoscere i
progressi fatti dal luteranesimo entro l'Impero e le secolarizzazioni di beni
ecclesiastici già compiute entro l'anno 1552 (Ius reformandi). Riusciva però
abilmente ad introdurre nel trattato di pace due clausole destinate a
paralizzare la diffusione ulteriore del moto luterano: il principio del cuius
regio eius religio e l'altro del così detto Reservatum ecclesiasticum. In base
al primo, i sudditi di ciascuno degli stati dell'Impero erano obbligati a
seguire la religione del loro principe, luterana, se questi era luterano, e cattolica, se questi era cattolico. In base al secondo
principio poi, se un principe ecclesiastico intendeva abbandonare il
cattolicesimo per abbracciare il luteranesimo, non poteva farlo se non a patto
di deporre tutti i beni e le dignità di cui fosse investito.
Nel seguente anno 1556, Carlo V, ancora relativamente giovane di età, ma logoro
ormai dalle malattie e dalla tensione nervosa impostagli dal suo compito
sovrumano per oltre trenta anni, abdicava al trono ritirandosi in un convento di
Spagna, dove la morte doveva raggiungerlo pochi anni più tardi. Con un ultimo
atto di volontà, al momento della abdicazione, egli divideva i suoi immensi
domini in due parti, affidandone l'una al figlio FILIPPO II e l'altra al
fratello FERDINANDO I.
Andavano a Ferdinando I i domini ereditari di Casa d'Austria, unitamente alle
corone di Boemia e d'Ungheria, già da lui assunte fino dal 1526, e la
successione al titolo di imperatore del Sacro Romano Impero.
Toccavano viceversa a FILIPPO II il titolo di re di Spagna, le terre delle
corone di Castiglia e di Aragona, i domini italiani di Milano, Napoli, Sicilia e
Sardegna, le colonie d'America, i territori dei Paesi Bassi provenienti dalla
eredità borgognona di Carlo il Temerario.
Divise in tal modo, le due corone potevano rappresentare un pericolo minore per
la Francia di quanto non lo rappresentassero prima, unite insieme nella persona
di Carlo V. Una possibilità di pacificazione, prima ignota, si presentava così
all'Europa lacerata da tante guerre.
La pace di Cateau Cambrésis -
Un anno appena dopo la tregua di Vaucelles, la Francia era tuttavia coinvolta in
una nuova guerra contro la Spagna di Filippo II. La causa occasionale era stata
ancora una volta fornita dall'Italia, dove era salito al trono papale uno dei
nemici più accaniti della Spagna e degli spagnoli, il pontefice PAOLO IV
(1555-1559), appartenente alla famiglia napoletana dei Carafa, che subito era
entrato in aperto conflitto con Filippo II.
La decisione della guerra, però, questa volta avvenne in gran parte al di fuori
dell'Italia. Mentre l'imperatore Ferdinando I, a causa dell'atteggiamento
minaccioso dei principi protestanti, rimaneva estraneo alla guerra, Filippo II,
che già prima aveva sposato MARIA TUDOR, figlia di Enrico VIII, successa nel
1553 al fratello Edoardo VI sul trono d'Inghilterra, riusciva a trascinare
quest'ultimo paese nella lotta contro la Francia. Un esercito spagnolo, al
comando del DUCA DI ALBA, invadeva lo stato pontificio, nel tempo stesso in cui
forze spagnole, fiamminghe ed inglesi, al comando di EMANUELE FILIBERTO DI
SAVOIA, figlio dello spodestato sovrano del Piemonte, sbaragliava i francesi a
S. Quintino.
Piuttosto che il fulmineo successo di S. Quintino, tuttavia, fu
ancora una volta la stanchezza a consigliare la pace ai sovrani di Francia e di
Spagna, mentre la mediazione di Cosimo I riconduceva la pace fra quest'ultimo ed
il papa. Né furono estranee a questa decisione comune le preoccupazioni che
Filippo II ed Enrico II cominciavano a nutrire per la sempre crescente
diffusione del protestantesimo, così in Francia come nei Paesi Bassi e perfino
in Italia e nella stessa Spagna, in quella forma calvinista, che si presentava
come la maggiormente pericolosa per l'autorità dei re.
Col trattato di Cateau Cambrésis (1559), Enrico II manteneva il possesso di
Metz, Toul e Verdun e acquistava la piazzaforte di Calais, ceduta dagli inglesi,
che in tal modo abbandonavano l'ultimo caposaldo da loro tenuto sul continente.
Viceversa, in Italia, abbandonava al loro destino gl'insorti della Corsica ed i
difensori di Montalcino e restituiva il suo stato ad Emanuele Filiberto di
Savoia. L'onere della restituzione era tuttavia mitigato alquanto dal possesso
del marchesato di Saluzzo, che rimaneva in mano della Francia, come una porta
sempre aperta sulla pianura padana, nonché dal diritto di tenere guarnigioni a
Torino ed in varie altre fortezze del Piemonte per altri tre anni.
Filippo II, al contrario, manteneva intatti i propri possessi in Italia e vi
aggiungeva alcune piazzeforti nella Maremma toscana, tolte allo stato di Siena,
con le quali fu costituito il così detto Stato dei Presidi, alle dirette
dipendenze della corona di Spagna, con l'evidente scopo di tenere sotto
controllo il ducato mediceo, la cui intraprendenza cominciava a destare qualche
preoccupazione alla corte spagnola. Come equivalente poi della concessione fatta
a Enrico II di mantenere guarnigioni francesi nel Piemonte, anche Filippo II si
garantiva il diritto di presidiare con truppe spagnole per un ugual numero di
anni le città di Vercelli e di Asti.
L'Italia vedeva ribadita la preponderanza spagnola su di lei, sia attraverso i
diretti domini della corona di Spagna, sia attraverso la creazione di una corona
di stati vassalli mantenuti a freno dalla presenza di guarnigioni spagnole in
alcuni punti strategici.
Il ducato di Savoia infatti ritornava sotto EMANUELE FILIBERTO, malgrado la
mutilazione dei territori di Ginevra e del Vaud, ormai resisi indipendenti entro
l'ambito della Confederazione Svizzera, ma subiva il pesante obbligo delle
guarnigioni spagnole e francesi nelle piazzeforti del Piemonte. Lo stato
mediceo, grazie all'abilità di Cosimo I, che aveva potuto sfruttare le
difficoltà politico-finanziarie di Filippo II per impadronirsi definitivamente
del territorio dell'antica repubblica senese, si trasformava in ducato di
Firenze e Siena, raddoppiando di territorio e d'importanza politica, ma subiva
anch'esso il freno delle guarnigioni spagnole dello Stato dei Presidi. Ottavio
Farnese, che fino dal 1556 era tornato a riconciliarsi col cognato Filippo Il,
poteva rimanere nel possesso del ducato di Parma e Piacenza, ma garantiva
anch'egli il diritto per la Spagna di tenere un presidio nella fortezza di
quest'ultima città. Genova poteva riavere il possesso della Corsica, a patto di
rimanere definitivamente legata al carro della politica spagnola. I Gonzaga di
Mantova infine già avevano avuto il premio della propria fedeltà alla Spagna,
raccogliendo nel 1536 l'eredità del marchesato del Monferrato.
La crisi finanziaria del XVI secolo -
Accanto alla stanchezza per le lunghe guerre tra gli Asburgo ed i Valois ed alle
apprensioni destate in ambedue le dinastie per la situazione politico-religiosa
all'interno dei propri domini creata dalla diffusione delle idee della Riforma,
uno dei maggiori fattori della pace di Cateau Cambrésis è indubbiamente
l'esaurimento finanziario, nel quale giacciono ormai così i Valois, come gli
Asburgo.
Dato il primitivo apparato fiscale del tempo, tanto gli Asburgo come i Valois
non conoscono altro sistema per finanziare le proprie imprese militari che
quello di ricorrere a prestiti sempre più onerosi con i banchieri. In cambio del
denaro liquido essi sono costretti ad impegnare annate intere del reddito delle
loro imposte, delle dogane, dei beni della corona. Carlo V prima della sua
abdicazione ha già impegnato con titoli di credito o juros per lunghi
anni di anticipo tutte le rendite delle colonie americane e degli ordini
religioso-cavallereschi dipendenti dalla corona di Spagna. Dietro alle brillanti
campagne militari di Francesco l e di Carlo V, di Enrico II e di Filippo II, sta
tutta la silenziosa epopea dell'avanzata del grande capitale finanziario; i
banchieri italiani e tedeschi di Lione che riforniscono di prestiti i re di
Francia; i banchieri di Augusta (come i Fugger ed i Welser già tante volte prima
ricordati), di Genova (come i Grimaldi), di Anversa che sostengono
finanziariamente Carlo V.
In questa caccia affannosa al denaro liquido, le banche, e talora gli stessi
sovrani, comprendono l'utilità di rivolgersi anche al risparmio più minuto. Le
banche cercano di attrarre i risparmiatori a depositare presso di loro i propri
fondi contro la corresponsione di un utile. I sovrani le imitano, creando un
debito pubblico di ammontare sempre crescente. Ma quest'ultimo, intorno alla
metà del sec. XVI, si comincia a fare talmente pauroso che la solidità
finanziaria degli stati e la loro solvibilità vacillano. La Spagna si deve
dichiarare impotente a fare fronte ai propri impegni e chiede di giungere ad un
concordato con i propri creditori. I più colpiti da questo crollo finanziario
sono i creatori stessi della grandezza di Carlo V, i Fugger, i cui capitali sono
stati impegnati con ritmo sempre più celere nei prestiti agli Asburgo, mentre
ancora non sono stati liquidati i debiti contratti da Carlo V nel lontano 1519
all'atto della sua assunzione al trono imperiale. La insolvibilità infatti
dello stato spagnolo avvia la potente dinastia finanziaria germanica alla
decadenza ed infine alla rovina.
Parallelamente a questa crisi del credito, l'Europa della metà del sec. XVI ha
assistito allo scatenarsi di una paurosa ondata inflazionistica. Dal
1545 infatti miniere d'argento di favolosa ricchezza sono state scoperte nel Potosì (Perù). Quantità prima inconcepibili di metalli preziosi affluiscono in
tal modo in Europa, provocando un generale rincaro dei prezzi, del quale proprio
la Spagna è la prima a risentire pesantemente, trovandosi in condizione di non
potere più lottare ulteriormente contro la concorrenza straniera ed aggravando
così la sua decadenza economica. Viceversa l'enorme quantità di metalli preziosi
affluenti dall'America e i grandi affari suscitati dalle guerre tra gli Asburgo
ed i Valois permettono la formazione di grandi patrimoni e l'accumulo di
capitali con ritmo incomparabilmente più rapido che nei secoli precedenti ed in
misure immensamente superiori. L'economia europea viene pertanto ad assumere
sempre più accentuatamente quella fisionomia capitalista, che sarà una delle
caratteristiche dell'età moderna.
Filippo Il, re di Spagna, dedicò la potenza e le immense ricchezze del suo paese
alla difesa del cattolicesimo e all’affermazione della superiorità della Spagna
su tutta l’Europa.
Egli intraprese, senza successo, una lunga guerra contro i Paesi Bassi
protestanti. Cercò di sottomettere l’Inghilterra protestante di Elisabetta I, ma
la sua flotta (l’Invincibile Armata) subì una pesantissima sconfitta.
Spinto dal suo fanatismo religioso, cacciò dal paese tutti gli ebrei e i
moriscos, che rappresentavano i gruppi sociali più intraprendenti. Questa
politica danneggiò pesantemente l’economia spagnola.
Aumentato il peso delle tasse, le ricchezze delle colonie furono dilapidate per
le spese militari, la maggior parte delle risorse umane furono impiegate
nell’esercito, invece che nell’agricoltura e nelle attività manifatturiere.
Alla morte di Enrico VIII d’Inghilterra, dopo il breve regno dell’impopolare
regina cattolica Maria I Tudor, salì al trono la protestante Elisabetta I.
Durante il suo governo (1558-1603), l’Inghilterra conobbe un periodo di
splendore: la Chiesa anglicana si affermò definitivamente; si sviluppò la
manifattura tessile; si estese il commercio marittimo, difeso e sostenuto dalla Royal Navy (la marina da guerra); la cultura trovò il suo massimo rappresentante
nello scrittore di teatro William Shakespeare.
La Francia della fine del Cinquecento fu travagliata dalle guerre tra i
cattolici e i protestanti (ugonotti).
Il re Enrico IV di Borbone pose fine alle
guerre di religione. Convertitosi lui stesso al cattolicesimo, con l’editto di
Nantes del 1598 concesse ai protestanti la libertà di culto.
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento le province protestanti dei
Paesi Bassi, che comprendevano ricche ed evolute città mercantili, si
ribellarono al pesante dominio della Spagna di Filippo II. Sotto la guida del
nobile Guglielmo d’Orange, le province ribelli ottennero l’indipendenza,
costituendo nel 1609 il nuovo Stato dell’Olanda.
FILIPPO II -
Il nuovo sovrano spagnolo, Filippo II (1556-98), mise la sua potenza militare e
le immense ricchezze delle colonie americane al servizio di due traguardi:
- sostenere il cattolicesimo, scosso dalla Riforma protestante,
- affermare la
superiorità della Spagna su tutta l’Europa.
Al suo modo di vedere, il trionfo
della "cattolicissima" Spagna e il trionfo della religione cattolica dovevano
andare di pari passo. Profondamente religioso, solitario e diffidente, Filippo
visse con una dedizione vicina al fanatismo quella che considerava la sua
missione. Isolato nel grande palazzo dèll’Escoriale che aveva voluto simile a un
monastero, assunse tutte le responsabilità di governo senza giovarsi dell’aiuto
di alcuno.
ERRORI E DECADENZA DELLA SPAGNA - L’isolamento e il fanatismo portarono Filippo
a commettere gravi errori. Per affermare il cattolicesimo e la potenza spagnola
egli dilapidò enormi ricchezze. Le tasse vennero drasticamente aumentate e gli
enormi quantitativi di oro e di argento che la flotta spagnola portava
dall’America vennero spesi per finanziare le guerre. In tal modo mancarono i
mezzi per le attività produttive (agricoltura, manifatture) e si determinò una
grave crisi dell’economia spagnola. Grazie alle sue disponibilità finanziarie,
la Spagna poté ottenere alcune importanti vittorie (come a Lepanto, insieme a
Venezia, contro i Turchi), ma queste non furono mai veramente risolutive. Quando
la politica religiosa di Filippo II lo mise in contrasto con i domini nei
Paesi Bassi, la Spagna si trovò coinvolta in una guerra che costò moltissimo e
non riuscì a evitare l’indipendenza delle province di religione protestante.
Filippo II tentò anche
di sottomettere l’Inghilterra protestante di Elisabetta I. Egli pensava, così,
di liberarsi di una nazione che gli era nemica sia per motivi religiosi, sia per
motivi commerciali: gli Inglesi finanziavano le rivolte dei protestanti
olandesi, trafficavano con le colonie americane in contrasto col monopolio
spagnolo, assalivano i galeoni spagnoli con le loro navi corsare e li
depredavano. Nell’estate del 1588 una grande spedizione navale, l’Invincibile
Armata, venne inviata contro l’Inghilterra. La flotta inglese, tuttavia, riuscì
a tener lontane dalla Manica le navi spagnole. Queste non trovarono riparo
neppure nei porti olandesi bloccati dai ribelli. Furono allora costrette a
navigare intorno alle isole britanniche, senza potersi rifornire e subendo gli
attacchi nemici. Molte naufragarono e la spedizione finì in un disastro. Infine,
per motivi di intolleranza religiosa, Filippo cacciò dalla Spagna tutti gli
ebrei e i "moriscos" (gli arabi convertiti), che costituivano i gruppi sociali
più attivi e intraprendenti. Artigiani abilissimi e operai specializzati,
agricoltori e mercanti furono costretti a lasciare il paese. L’economia della
Spagna subì un duro colpo. Al termine del lunghissimo regno di Filippo II
(15561598) la Spagna era ormai un paese in decadenza.
Essa continuò a esercitare un importante ruolo politico e militare per tutta la
prima metà del ‘600, ma solo a costo di sacrifici sempre più grandi, che ormai
non poteva più permettersi.
L'oro americano fa aumentare i prezzi -
L'arrivo in Spagna dei metalli preziosi provenienti dalle colonie americane non
fu solo un vantaggio. AI contrario, creò difficoltà, squilibri e problemi
nell’economia della Spagna e, di rimbalzo, in tutta Europa. Infatti l’oro e
l’argento venivano usati soprattutto come denaro. La Spagna li riceveva, li
trasformava in moneta e li spendeva. La quantità di moneta disponibile aumentò
enormemente. Ma la quantità di merci da comprare: bestiame, terre, vestiti, armi
aumentò anch’essa?
La quantità di merci non aumentò, semmai
diminuì; la Spagna, che improvvisamente si trovò a disporre di tanto oro e
argento, pensò più ad acquistare merci all’estero che non a produrre. Vediamo
allora che cosa avviene se, da un lato, aumenta la massa di denaro che circola
in un paese e, dall’altro, le merci disponibili non aumentano affatto.
Accadrà
semplicemente che in cambio di quelle merci si darà molto denaro, molto più di
prima: in altre parole, i prezzi aumenteranno. Inoltre, si cercherà di comprare
in altri paesi le merci che mancano: aumenteranno perciò le importazioni. Questo
è quanto avvenne nella Spagna del Cinquecento con l’arrivo dell’oro americano: i
prezzi aumentarono e l’economia spagnola peggiorò, diventò meno capace e meno
produttiva. Altri paesi, come l’Italia o la Francia, produssero le merci per la
Spagna. Delle difficoltà e della scarsa produzione dell’economia spagnola
approfittarono quindi altre nazioni, che poterono sviluppare le loro economie.
Leggiamo le parole di uno scrittore del tempo: «il male è venuto dall’abbondanza
di oro, argento e monete [...1. Sì pensa che il denaro è quello che assicura il
mantenimento, ma non è così. Le terre lavorate di generazione in generazione, le
greggi, la pesca, ecco quello che garantisce la sopravvivenza delle città e
delle repubbliche. Invece l’agricoltore ha trascurato l’aratro, il mercante ha
scambiato il banco con la sella del cavaliere, gli artigiani hanno sdegnato i
loro strumenti». Il caso della Spagna del Cinquecento può oggi essere confrontato
con quello di alcuni paesi produttori di petrolio. Essi realizzano enormi
guadagni quando i paesi industrializzati lo richiedono in grandi quantitativi.
Ma, se non utilizzano tali ricchezze per rafforzare le proprie economie, quando
le vendite calano si trovano in difficoltà.
INGHILTERRA ELISABETTIANA -
Alla morte di Enrico VIII l’Inghilterra ebbe per qualche anno una regina
cattolica: Maria I Tudor che, proprio per motivi religiosi, fu molto impopolare.
A lei seguì Elisabetta I, protestante, figlia di Anna Bolena, che regnò dal 1558
al 1603.
Con Elisabetta la Chiesa anglicana si affermò pienamente. Sotto il suo
governo religione protestante e sentimento nazionale vennero a coincidere. La
vittoria del 1588 sull’armata navale spagnola rafforzò questo modo di sentire.
La propaganda dipinse i cattolici (definiti con disprezzo "papisti", cioè
sostenitori del papa) come servi del nemico Filippo II. La ribellione della
Scozia, guidata dalla regina cattolica Maria Stuart, venne domata, e la stessa
Maria, cugina di Elisabetta, venne imprigionata e giustiziata. Elisabetta
governò il suo paese con abilità e saggezza e fece in modo di sviluppare
l’economia e il commercio marittimo. Per difenderlo e ampliarlo dette vita a una
potente marina da guerra (la Royal Navy), destinata nei secoli seguenti a un
ruolo davvero straordinario nella storia d’Inghilterra. Uno strumento di cui la
regina si servì per arricchire il suo paese rapidamente e con molta
spregiudicatezza fu la pirateria. Muniti di permessi ufficiali della regina (le
"patenti"), non solo avventurieri, ma anche nobili e gentiluomini divennero
corsari. La loro fu una vera e propria guerra condotta contro le navi spagnole e
le colonie americane della Spagna.
IL PERIODO ELISABETTIANO:
SVILUPPO ECONOMICO
E RICCHEZZA CULTURALE -
Elisabetta I regnò per quasi 45 anni. Il periodo elisabettiano fu per la storia
inglese un lungo e fortunato momento.
Oltre a sviluppare il commercio e l’economia (in quel periodo nacquero le
celebri manifatture tessili inglesi), la regina si occupò di favorire la
cultura. Elisabetta era infatti una grande ammiratrice del Rinascimento italiano
e fece della sua corte un importante centro culturale. L’autore più importante
dell’Inghilterra elisabettiana fu William Shakespeare (1564-1616), forse il più
grande scrittore di teatro di tutti i tempi. Shakespeare fu l’autore di opere
teatrali, spesso ispirate alla storia inglese o a quella italiana, basate su una
straordinaria conoscenza della natura umana, dei sentimenti e delle emozioni.
L’Amleto, Giulietta e Romeo, l’Otello, il Macbeth e Riccardo III, così come La
bisbetica domata o Molto rumore per nulla vengono rappresentate ancora oggi, con
immutato successo.
LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA -
Le idee protestanti penetrarono anche in Francia, soprattutto ad opera di
Calvino. Qui i protestanti presero il nome di ugonotti.
In Francia la religione calvinista si diffuse soprattutto tra la nobiltà feudale
e la borghesia cittadina, due ceti che si ritenevano danneggiati dal crescente
potere del re. Per questo motivo, gli ugonotti francesi non si limitarono a
essere un movimento religioso, ma divennero un vero e proprio partito politico,
ostile alla monarchia.
Per diversi anni ugonotti e cattolici si fronteggiarono senza grandi spargimenti
di sangue. A partire dal 1570, però, si aprì una vera e propria guerra civile.
Resta tristemente famosa la cosiddetta strage di San Bartolomeo (1572), nel
corso della quale i cattolici massacrarono gli ugonotti di Parigi, senza
risparmiare né donne né bambini.
Dopo un lungo periodo di guerre e di congiure, la morte dei vari contendenti
lasciò un solo erede al trono di Francia: Enrico di Borbone, di religione
protestante.
Egli si rese conto di non potersi opporre alla maggior parte della popolazione
francese, rimasta cattolica. Allora si convertì solennemente al cattolicesimo.
In cambio di questa conversione, che fu certamente un fatto politico più che
religioso, venne riconosciuto ufficialmente dal pontefice col nome di Enrico IV
re di Francia. La dinastia dei Borbone conquistò così il trono di Francia e lo
mantenne senza interruzione fino alla Rivoluzione francese.
L’intelligenza politica fece di Enrico un re tollerante in un tempo nel quale
l’intolleranza era la regola. Per unificare definitivamente il paese, con
l’editto di Nantes egli concesse ai protestanti la libertà di professare la loro
fede (1598).
L’EDITTO DI NANTES -
L ‘editto di Nantes (1598) rappresentò una delle prime formulazioni della
tolleranza religiosa. Pur riaffermando che il cattolicesimo era la religione
ufficiale del regno di Francia, esso concedeva la libertà di culto ai
protestanti. Grazie all’editto, la Francia, estenuata da decenni di guerre
civili, poté ritrovare la tranquillità politica e iniziare un periodo di
sviluppo economico: "Ordiniamo che la Religione cattolica, apostolica e romana sia
ristabilita in tutti i luoghi di questo nostro regno e paesi di nostra
obbedienza, dove l’esercizio di essa è stato interrotto, per esservi
pacificamente e liberamente esercitata. E per non lasciare occasione alcuna di
disordini e di divergenze tra i nostri sudditi, abbiamo permesso e permettiamo a
quelli della cosiddetta religione riformata (i protestanti) di vivere ed abitare
in tutte le città ed in tutti i luoghi di questo regno e paesi di nostra
obbedienza, senza che debbano subire inquisizioni, vessazioni, molestie, né
essere obbligati a fare cose in materia di religione contro la loro coscienza."
LA RIVOLTA DEI PAESI BASSI -
Col nome di Paesi Bassi si indicavano 17 province sotto il dominio della Spagna,
corrispondenti circa agli attuali Stati del Belgio e dell’Olanda. Si trattava
di una regione economicamente molto florida, grazie alla pesca, al commercio,
alle fiorenti manifatture di tessuti. Città come Anversa, Bruges o Gand
commerciavano da secoli con tutta l’Europa mentre i porti di Amsterdam e
Rotterdam avevano anch’essi iniziato il loro sviluppo. Nel corso del 1500 le
province del nord aderirono alla religione protestante e chiesero ai dominatori
spagnoli maggiore autonomia. Filippo II inviò contro di loro un esercito
comandato dal durissimo e determinato duca d’Alba, col proposito di ristabilire
il cattolicesimo e di riportarli all’obbedienza. I ribelli trovarono in un
nobile locale, Guglielmo d’Orange, un capo abile e risoluto, e nell’Inghilterra
protestante una potenza disponibile a rifornirli di armi. La guerra durò per
circa mezzo secolo e finì con l’abbandono degli Spagnoli. Nel 1609 nasceva
ufficialmente l’Olanda, che raggruppava le province protestanti. La parte
meridionale della regione, all’incirca il Belgio e il Lussemburgo di oggi,
rimase cattolica, sotto il dominio della Spagna.
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