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LA CHIESA NEL MEDIOEVO home
 1122-1190  

I movimenti religiosi riformatori e gli ordini mendicanti

Le eresie del XII secolo furono i più vasti movimenti religiosi antiecclesiastici che l'Europa conobbe prima della riforma luterana. Il loro successo si spiega tenendo conto anche delle particolari condizioni di disagio in cui si trovava allora la Chiesa anzitutto nei suoi rapporti con i Comuni. Impegnati a difendere il loro recente potere politico, i Comuni cercavano di resistere alle ingerenze politiche ecclesiastiche e talvolta erano anche tolleranti nei confronti di tendenze religiose condannate dalla Chiesa.

 

Il risveglio della vita religiosa nei secoli XII e XIII

Il Concordato di Worms (1122), che chiude la lunga lotta per le investiture, segna l'inizio di un periodo di grande splendore per il Papato e per la Chiesa. Dopo aver annientato l'ingerenza imperiale nell'elezione del papa, dopo aver diminuito l'influenza dei laici sulla nomina dei vescovi, il papato aveva riconquistato autonomia e libertà d'azione.
Gregorio VII aveva aperto la strada ai pontefici che lo seguirono e accrebbero la forza della chiesa nei confronti dell'impero.

La recente lotta contro Federico I di Svevia si era conclusa con la piena vittoria del papato: nel convegno di Venezia la figura di papa Alessandro III aveva giganteggiato di fronte al re di Sicilia, al doge di Venezia, all'imperatore e ai rappresentanti dei comuni. La Chiesa romana si era assicurata immense ricchezze, la corte romana era la più fastosa del mondo, offerte e tributi confluivano a Roma da ogni parte del mondo cristiano alimentando lusso e magnificenza.
Gli arcivescovi e i prelati maggiori spesso tenevano corti principesche; d'altra parte erano quasi tutti cadetti di famiglie nobili e replicavano i costumi delle corti dei genitori. Anche i monasteri, proprietari di latifondi sterminati, erano ricchissimi. Gli abati erano uomini potenti, preti e monaci spesso amavano poco la povertà. La lotta per le investiture aveva ridato prestigio alla chiesa, ne aveva anche elevato il livello morale e culturale, ma non aveva diminuito l'amore dell'alto clero per il lusso.
S. Benedetto

Il risveglio della scienza ecclesiastica

Fin dai tempi della rinascita monastica del secolo XI nelle maggiori abbazie benedettine si erano ridestati gli studi teologici e filosofici. Parigi divenne il centro di studi più fiorente, a Parigi sorse più tardi la prima università teologica del mondo. Grazie alle Crociate giunsero in occidente le opere di Aristotele, che influenzarono profondamente i pensatori medievali. La teologia fino ad allora si era basata solo sulle sacre scritture e sui padri della chiesa, in seguito, assumendo il metodo dialettico aristotelico, la teologia rinforzò il dogma con la razionalità. Nella prima metà del secolo XII nasceva la Scolastica, una nuova elaborazione filosofico-teologica dei dogmi, che ebbe il suo centro più attivo nell'università di Parigi e giunse al massimo splendore nel secolo XIII. Fra i più profondi pensatori di questo periodo ricorderemo:

 

Anselmo d'Aosta (1033-1109), vescovo di Canterbury;

 

Pietro Abelardo (1079-1142), professore a Parigi, carattere ardente (è noto il suo infelice amore con Eloisa), ingegno profondo, incline al razionalismo: egli cadde, colpito dalle scomuniche della Chiesa.
 

Pietro Lombardo, un dotto monaco di Novara, morto arcivescovo di Parigi (1164), ricondusse gli studi alla più perfetta ortodossia, i suoi libri divennero manuali di teologia delle scuole medievali. Su quei manuali si formarono i massimi maestri della scolastica:

l'inglese Alessandro Alense (morto nel 1245),

il tedesco Alberto Magno (1193-1280)

e due italiani, il francescano San Bonaventura da Bagnorea (1221-1274) e il domenicano San Tommaso d'Aquino (1225-1274), la cui Summa Theologica é il più grandioso monumento del pensiero cattolico medioevale.
Accanto alla teologia, la Chiesa promosse lo studio del diritto canonico.

Erano i giorni in cui a Bologna risorgeva, con lo studio del Corpus Juris, l'antico diritto romano; occorreva che la Chiesa affermasse essa pure il suo diritto, formatosi nei secoli attraverso le concessioni imperiali e le decisioni dei papi e dei concili, diritto che era tanto più opportuno mettere in luce, quanto più frequenti erano i tentativi fatti dall'autorità laica per limitare la libertà della Chiesa. Già al tempo della lotta delle investiture, sulla scorta dello Pseudo Isidoro, si erano composte le prime raccolte di decreti e di canoni, destinate a dimostrare la continuità della tradizione giuridica della Chiesa.
Nella prima metà del secolo XII, un monaco benedettino del monastero di S. Felice in Bologna, Graziano, imbevuto degli studi giuridici fiorenti in quella città, pose le basi del diritto canonico, pubblicando (forse intorno al 1140) la Concordantia discordantium canonum, raccolta di tutte le fonti del diritto canonico, la quale col nome di Decretum Gratiani, si diffuse nelle alte scuole ecclesiastiche e fu il vero "Corpus Juris" della Chiesa. Come la grande opera giustinianea, anche il Decreto di Graziano ricevette aggiunte, appendici, rielaborazioni contenenti i decreti, emessi via via dai papi nei secoli posteriori, finché nel secolo XV la raccolta si considerò chiusa. Allora il complesso delle leggi della Chiesa, a somiglianza dell'opera giustinianea, prese il nome definitivo di Corpus Juris Canonici.

 

Il rinnovamento dell'arte religiosa

Simbolo del risveglio religioso dei secoli XII e XIII sono le grandiose cattedrali, edificate nelle maggiori città d'Europa. Già nel secolo XI una nuova e più solenne architettura, detta romanica, perché fondata sui ricordi dell'arte romana, era sbocciata in Italia, in Francia, in Germania, e aveva costruito chiese grandiose, nelle quali il ritmo degli archi a pieno sesto, l'ampiezza delle volte, la ricchezza dei portali, il lusso delle decorazioni scultorie, davano l'impressione di un potente risveglio artistico e spirituale e di una nuova ricchezza materiale.
Duomo di ParmaL'architettura romanica, giunta alla piena maturità sul finire del secolo XI, produsse i suoi più splendidi capolavori nel secolo XII, specialmente in Italia, dove sorsero le cattedrali di Parma, di Modena, di Cremona, le basiliche di S. Ambrogio a Milano, di San Nicola di Bari e le numerose chiese di Puglia. Sulle tradizioni dell'architettura romanica si innestò la nuova architettura gotica, che coi pilastri altissimi e snelli, l'arco acuto, le volte a crociera, i grandi finestroni, le torri, le guglie, i contrafforti, prese un suo aspetto così originale, da divenire l'unica architettura veramente nuova che sia stata ideata dopo il periodo dell'architettura greco-romana. Nato nel cuore della Francia, il gotico si diffuse per tutta l'Europa, specialmente dai monaci cistercensi, e raggiunse tra il XIII e il XIV secolo una perfezione meravigliosa.

In Inghilterra l'abbazia di Westminster, in Germania il duomo di Colonia, in Francia le cattedrali di Parigi, di Reims, di Chartres, di Strasburgo, nella Spagna il duomo di Toledo, in Italia le cattedrali di Siena, di Orvieto, di Firenze, e specialmente il duomo di Milano, sono tutti edifici che sbalordiscono per l'audacia della tecnica costruttiva, per la imponenza delle masse, per la ricchezza dei marmi. La rude scultura romanica, accostandosi al gotico, si raffina, finché in Italia trova il suo grande innovatore in Nicolò Pisano. E la pittura, sciogliendosi dagl'impacci dell'imitazione bizantina, inizia con Cimabue, con Duccio, con Giotto, un rinnovamento totale.
 

Il pontificato d'lnnocenzo III (1198-1216)

Il papa Innocenzo III rappresenta meglio di ogni altro lo splendore del Papato e della Chiesa tra il secolo XII e il XIII. Discendente dalla nobile famiglia dei conti di Segni, intelligente, esperto di teologia e diritto egli saliva al pontificato a soli 37 anni, nel pieno vigore della mente e della volontà, ricco poi di esperienza, acquistata attraverso molti affari ecclesiastici. Il suo pensiero politico-religioso discendeva in linea diretta da quello di Gregorio VII e di Alessandro III, ed era pronto a proclamare la superiorità del potere spirituale su tutte le potenze della terra. Con Innocenzo III si ha l'ultimo e più grandioso tentativo di trasformare l'Europa cattolica in una specie di monarchia teocratica. Questi, come rappresentante di Dio sulla terra, avrebbe potuto eleggere o deporre imperatori e principi, disporre dei troni e delle corone, comandare ai popoli. Tali idee, che si riannodano a quelle dello Pseudo Isidoro, trovano in questi tempi un ulteriore chiarimento nella famosa teoria del sole e della luna, che diviene il punto centrale delle future controversie politico-religiose del medioevo. I trattatisti papali descrivono il pontefice come il sole raggiante, che tutto illumina e riscalda. Di fronte ad esso, l'imperatore viene rappresentato come una modesta luna, che dal sole, cioé dal papa, riceve luce e calore, cioé autorità e forza.

La supremazia politica del Papato ha così la sua formula definitiva.
Innocenzo IIIInnocenzo III nella sua opera politica non trovò dapprima gravi ostacoli, perché nel 1197, proprio l'anno precedente la sua elevazione al trono pontificio, era morto in Sicilia l'imperatore Enrico VI, lasciando il figlioletto Federico sotto la tutela della madre Costanza, donna mite, che nessuna influenza poté esercitare in Germania in favore del bambino. L'Impero era dunque vacante. Ma il papa si vide ancor più favorito dalla sorte quando, un anno dopo (1198), l'imperatrice Costanza moriva, affidando alla tutela del pontefice il piccolo Federico: il più diretto rampollo della dinastia del Barbarossa, crebbe così sotto la vigilanza della Chiesa romana. Il Papato divenne il pedagogo dell'Impero.
Era il momento di decidere la faccenda dell'unione delle due corone di Sicilia e Germania, che presentava un grande pericolo per l'indipendenza del Papato, e sventare così il piano di assoggettamento della Chiesa e dell'Italia, tentato dal Barbarossa con il matrimonio di Enrico VI e di Costanza. Federico era ancora un fanciullo; perciò non sarebbe stato difficile allontanare dal suo capo la corona imperiale, mentre il papa gli avrebbe conservato quella di Sicilia e di Puglia.
Proprio allora in Germania il partito ghibellino aveva abbandonato l'idea di riconoscere imperatore il pupillo del papa, e aveva eletto Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI; contro di esso il partito guelfo nominò invece Ottone IV di Brunswick, figlio di Enrico il Leone, riaccendendo la lotta tradizionale. Innocenzo III, dopo aver atteso per qualche tempo l'esito della guerra civile, appoggiò Ottone IV, e nella solenne Capitolazione di Neuss (8 giugno 1201) si fece da lui giurare il riconoscimento della sovranità papale sullo Stato Pontificio, compresi l'Esarcato, la Pentapoli, la Marca d'Ancona, Spoleto e i beni già appartenuti alla contessa Matilde.
Il papa ottenne inoltre da Ottone la rinuncia a tutti i diritti, che per il Concordato di Worms l'imperatore aveva sulla nomina dei vescovi, e il riconoscimento dei diritti di sovranità feudale, esercitati dal papa sul Regno di Sicilia. L'enormità delle concessioni inasprì la resistenza del partito ghibellino; ma quando Filippo di Svevia venne assassinato (1208), la candidatura di Ottone IV, per l'energica insistenza di Innocenzo III, non trovò più opposizioni. Egli fu incoronato imperatore in Roma nel 1209.
Innocenzo III ebbe un costante controllo delle cose d'Italia. Egli assoggettò definitivamente all'autorità pontificia il Comune di Roma, sottraendo al popolo l'elezione dei più importanti magistrati; dai feudatari dello Stato Pontificio pretese espliciti giuramenti di vassallaggio e di fedeltà; profittando poi della debolezza dell'Impero, sottrasse ai grandi feudatari tedeschi, posti da Enrico VI in Toscana e nell'Esarcato, i feudatari minori, che rese in buona parte vassalli della Chiesa, mentre i liberi Comuni si dichiaravano solidali col papa.

Così Innocenzo III riuscì a restaurare lo Stato della Chiesa nella sua integrità. Non minore era l'influenza del pontefice nel Regno di Sicilia e di Puglia, riconosciuto dallo stesso imperatore Ottone IV come uno Stato vassallo della Chiesa: in quegli anni il giovane re di Sicilia, Federico, era sotto la tutela di Innocenzo III.
In Francia il pontefice tenne testa al potente sovrano, Filippo Augusto, geloso delle prerogative sovrane e della libertà del regno; con la minaccia dell'interdetto a tutta la Francia, lo costrinse a non ripudiare la moglie Ingeburga.
In Inghilterra Innocenzo III impegnò col re Giovanni Senza Terra una lotta lunga e aspra, e lo costrinse a sottomettersi e a dichiararsi vassallo di Santa Chiesa. Lo stesso obbligo di vassallaggio verso il pontefice riconobbero i sovrani di Aragona, di Bulgaria, di Ungheria.
Nella lotta contro gl'infedeli il papa si prodigò largamente, inviando aiuti ai re di Castiglia e di Aragona, che proprio in quei giorni (1212) ottenevano sugli Arabi di Spagna vittorie brillanti.

La quarta Crociata (1202-1204) fu anch'essa opera della instancabile predicazione di Innocenzo III. Intorno a sé il papa non vedeva dunque ormai che sudditi e vassalli, recalcitranti spesso, ma dominati tutti dalla potenza spirituale e temporale del Pontificato romano. Di fronte alla grande potenza di Innocenzo III, lo stesso imperatore Ottone IV, che pure aveva ottenuto da lui la corona (1209), si levò per difendere l'autonomia e la dignità dell'Impero. Egli si adoperò per ristabilire i diritti imperiali sui Comuni toscani, che, con l'appoggio del papa, avevano cacciato i legati tedeschi; poi ritrattò in parte la Capitolazione di Neuss, e occupò parecchie terre e città dello Stato Pontificio. Allora Innocenzo III lo scomunicò, e appoggiandosi al partito ghibellino, che in Germania osteggiava Ottone, decise di favorire la candidatura del giovane Federico di Svevia, il quale aveva raggiunto l'età di diciotto anni. Il principe dovette però giurare di scindere la corona di Sicilia da quella dell'Impero, di riconoscere il patto firmato da Ottone IV sui territori della Chiesa, e di allestire quanto prima una Crociata contro i Turchi.
Federico II promise tutto, giurò tutto, forse con l'animo di non mantenere nulla. In Germania, dove già infieriva la guerra civile, la fortuna gli arrise, e nel 1212 egli ottenne da tutti i signori tedeschi il riconoscimento ufficiale: Ottone IV, spodestato, andò a rinchiudersi nei suoi feudi, dove morì nel 1218.
Innocenzo III credette di aver risolto definitivamente le difficoltà politiche, in cui aveva trovata la Chiesa, poiché, morendo nel luglio del 1216, non arrivò a vedere quale docile imperatore avessero allevato in Federico II i pedagoghi papali.


Dottrine e moti ereticali -  Origine e significato delle eresie medioevali -

Lo splendore e la ricchezza della Chiesa nei secoli XII e XIII, contribuivano certamente ad aumentare il prestigio politico e materiale del Papato e a consolidare la potenza dei grandi signori ecclesiastici; poco però giovavano alla missione religiosa della Chiesa.
Questa contraddizione fra la missione della Chiesa Dissenso religiosodi Cristo e la mondanità del clero, colpisce il popolo, che nella parola dei suoi vescovi e dei suoi preti cerca la parola di Gesù, amico dei poveri, consolatore degl'infelici. Davanti al fasto dei papi, all'alterigia dei prelati, all'incuranza del clero, nel cuore del popolo nasce un'indignazione che si assomma a quella contro gli ultimi rappresentanti del feudalesimo dissanguatore e contro i nuovi ricchi della borghesia cittadina. Alla tendenza verso l'insurrezione ha dato inconsciamente il primo impulso il Papato stesso, quando al tempo della lotta per le investiture, ha eccitato il popolo contro i vescovi simoniaci e immorali, favorendo il movimento plebeo della Pataria.
Nascono, a cominciare dal secolo XI, quei movimenti religiosi, che si dicono eresie. Essi sono considerati dal papato e combattuti come un empio assalto al dogma e alla disciplina della Chiesa cattolica. Ma esaminati più profondamente, questi moti ereticali si rivelano come un vasto tentativo rivoluzionario delle più umili classi contro le caste ricche e privilegiate, e quindi anche contro il clero, che nel medioevo è tra le caste più favorite.
Sotto l'apparenza della lotta religiosa, l'eresia medievale spesso nasconde la rivolta sociale: principi e papi con mezzi diversi, ma con finalità uguale, si affaticheranno a schiacciarla. Eppure per tre secoli continui (XII-XIV secolo) l'eresia resisterà di fronte alla violenza e alla persecuzione.


Le principali eresie

Idee ereticali circolavano da parecchi secoli in mezzo al popolo cristiano, alimentate da alcune sette di origine manichea, le quali sostenevano che il mondo era opera di due principi, buono l'uno, da cui tutte le cose buone provengono, cattivo l'altro, autore d'ogni male; il primo era lo spirito, l'altro la materia.
Al tempo della lotta per le investiture il moto religioso dei Catari (Puri) si fonde con le correnti di idee della Pataria e dilaga per le Fiandre, per la Germania, per la Francia meridionale, per l'Italia.
Alla fine del secolo XII le sette, cresciute di numero e di audacia, hanno raggiunto la loro maggiore prosperità e si distinguono un po' meglio: a sud della Francia ecco gli Albigesi, così detti dalla città di Albi che ne è il centro; in Italia e in Francia si chiamano Arnaldisti i seguaci del programma antipapale di Arnaldo da Brescia; a Lione per opera di un ricco mercante convertito, Pietro Valdo, sorgono dopo il 1170 i Poveri di Lione, che col nome di Valdesi si diffondono anche in Germania e nell'Italia settentrionale, dove si rifugiano più tardi nelle valli piemontesi, in cui si trovano tuttora.

Non differiscono molto da essi i Poveri Lombardi, che pullulano nei principali centri della valle padana e specialmente a Milano, il grande centro delle eresie italiane di questo tempo.
 

Dottrine comuni a tutti i moti ereticali del medioevo

Sotto l'apparente diversità di nomi vi é generalmente uniformità di aspirazioni e di idee.

Quasi tutti costoro si oppongono alla Chiesa costituita, al papa, al clero, contro l'autorità dei quali invocano l'insegnamento del Vangelo; di questo respingono l'interpretazione ufficiale della Chiesa, appellandosi alla lettura del testo, di cui diffondono tra il popolo le traduzioni in volgare. Abolita così la missione del sacerdozio, essi rivendicano a sé il diritto della predicazione, e perciò si mettono a percorrere intere regioni, risvegliando le plebi, strappandole dalle chiese, eccitandole contro il clero e contro i ricchi, rinfacciando ai preti, ai vescovi, ai monaci, ai papi la loro opulenza, la loro avidità, la loro scostumatezza, e dando spettacolo di povertà, di continenza, di dispregio d'ogni cosa terrena.
I più ardenti fra questi apostoli, che hanno avuto una speciale iniziazione (consolamentum) e si dicono perfetti, vivono tra il popolo di elemosine, laceri, coi capelli lunghi e le barbe arruffate, girovagando continuamente, instancabili nel predicare, seguiti spesso dall'ammirazione delle folle, che decantano i loro miracoli, stupiscono alle loro virtù, tremano davanti alle loro predizioni.
Alcuni annunciano imminente la fine del mondo che distruggerà la nuova Babilonia, cioè Roma papale; altri, come l'abate calabrese Gioacchino da Fiore (secolo XII), fantastica su strane interpretazioni bibliche, e diffonde vaticini apocalittici; qualcuno, come Fra Dolcino (tra il XIII e il XIV secolo) scivola a poco a poco dalla povertà evangelica verso il comunismo, si pone alla testa di contadini, di servi, crea nuove comunità che vivono insieme senza proprietà privata, incendia chiese e castelli. E una parte importante nelle agitazioni hanno le donne, animate da un fervido zelo.
Di fronte all'eresia la Chiesa venne spiegando un'energia tanto più grande, quanto più chiara nel corso degli anni si fece la fisionomia anticattolica del movimento ereticale. I mezzi con cui papi e vescovi tentarono di schiacciare l'eresia furono sempre gli stessi: prediche e ammonimenti dapprima; poi condanne e scomuniche; quindi energica azione materiale, che andava dall'arresto alla tortura, ai tormenti, al rogo.
Nel secolo XIII, cresciuto enormemente il numero degli eretici, si ricorse alle Crociate contro di essi, agli arresti collettivi, ai massacri. Di tutta la parte materiale s'incaricava generalmente il braccio secolare, cioè l'autorità civile, a cui la Chiesa affidava i rei dopo la condanna. La procedura giudiziaria del medioevo si svolgeva allora in tutta la sua crudeltà, e trovava zelanti esecutori nei grandi signori feudali, nei re, nello stesso imperatore. Dopo quanto si è detto sopra, ciò non deve fare meraviglia: erano gli eretici i più audaci sovvertitori di ogni autorità e di ogni ordine sociale, e perciò la loro colpa cadeva sotto sanzioni religiose e civili ugualmente inesorabili.
 

La Crociata contro gli Albigesi

Gravissima fu la lotta contro gli Albigesi nella Francia meridionale. Il loro rappresentante più importante era il conte di Provenza ed essi, che erano soprattutto mercanti e artigiani, possedevano in questa regione grandi ricchezze che condividevano con i poveri. Si scatenò una guerra feroce, in cui i feudatari del nord, guidati da Simone di Montfort, invasero coi loro Crociati le ridenti terre della Provenza e della Linguadoca, commettendo devastazioni ed eccidi spaventosi, che sollevarono le proteste dello stesso Innocenzo III. L'eresia fu soffocata nel sangue (1209); i feudatari favorevoli agli Albigesi furono in buona parte spodestati, e i loro feudi passarono a Simone di Montfort e più tardi al re di Francia.
 

L'Inquisizione

Il XII Concilio ecumenico, tenuto da Innocenzo III nel 1215, rinnovò le scomuniche contro gli eretici, e regolò tutta la procedura. Di qui ebbe origine il Tribunale dell'Inquisizione. Questo dapprima fu sottoposto ai vescovi delle singole diocesi, poi divenne un vero organismo disciplinare per tutta la Chiesa e fu affidato da papa Gregorio IX ai frati domenicani (1233). Aveva l'incarico di ricercare (inquirere) gli eretici, esaminarli, e, passarli al "braccio secolare" perché fossero giustiziati, quasi sempre sul rogo. Il tribunale entrava in funzione sulla base di denunce anonime e si comportava in modi diversi secondo dei luoghi e degli inquisitori. In alcuni casi si prendeva cura dell'inquisito e cercava di persuaderlo a rientrare in seno alla chiesa, in altri lo sottoponeva alla tortura e decideva la pena. Le mancanze meno gravi, (per esempio aver parlato con un eretico), erano puniti con multe o con pellegrinaggi in luoghi lontani; quelle più gravi con mutilazioni o, più spesso, con la morte sul rogo.
Il ricordo di questo tribunale si è fissato nella immaginazione popolare a colori di sangue. Certo cose atroci furono allora commesse, tuttavia non si deve dimenticare che la procedura dell'Inquisizione si ispira purtroppo fedelmente alla normale procedura penale del medioevo.
 

Le Università e il controllo del pensiero

Le esigenze della lotta contro le eresie indussero il Papato a vigilare più attentamente sulle Università, che traversavano allora il periodo della loro più rigogliosa giovinezza.
Università nel medioevoNell'alto medioevo le più antiche scuole erano state nei conventi o presso le cattedrali, sotto il controllo del vescovo.

Tra l'XI e il XII secolo, ridestatosi l'amore alla cultura, sorsero liberamente maestri, che raccoglievano intorno a sé studenti desiderosi di istruirsi. I due centri più antichi di studio furono Bologna per il diritto, Parigi per la teologia. In essi l'organizzazione ricordava quella delle Arti medioevali: a Parigi infatti maestri e scolari si raccoglievano in un'unica corporazione, detta Universitas magistrorum et scolarium; a Bologna invece l'Università comprendeva solo gli scolari, divisi in due separate associazioni di Cismontani (cioé italiani) e di Ultramontani (cioé stranieri).
Non vi erano allora né palazzi universitari né regolamenti uniformi. In generale il maestro apriva scuola in casa sua, accoglieva i discepoli, prestava ad essi perfino i libri; e non riceveva altro compenso che quello che gli davano gli scolari. La fama di una Università dipendeva quindi unicamente dalla valentia e dal numero dei professori; e gli scolari accorrevano là dove insegnavano dottori di gran fama: in certi tempi Bologna e Parigi hanno contato studenti a migliaia, venuti da ogni parte d'Europa. A corso finito, lo scolaro si presentava per un pubblico esame, riceveva la licentia docendi e diveniva dottore, poteva cioé insegnare alla sua volta.
Lo sviluppo delle Università fu spontaneo, spesso caotico, saltuario: bastava uno sciopero di scolari, un bando a un professore, un incidente politico per spopolare un'Università vecchia o per farne sorgere una nuova altrove. Di qui rivalità, disordini, risse, che avevano la loro ripercussione nelle scuole.
Più gravi conseguenze poteva avere la libertà, di cui godevano i docenti: essa permetteva a loro di esprimere idee, teorie, aspirazioni, che, accolte dai giovani e sparse poi per tutta Europa, potevano portare turbamento agli spiriti, e provocare disordini religiosi. La Chiesa vide tutto ciò, e tra il XIII e il XIV secolo s'intromise risolutamente nella organizzazione delle Università, cercò di avere il controllo di esse; talvolta anche ne fondò di nuove, con lo scopo di diffondere il proprio insegnamento, come avvenne per esempio con l'istituzione dell'Università di Tolosa, proprio nella roccaforte dell'eresia albigese. Naturalmente là dove si insegnava teologia, come a Parigi e ad Oxford, il controllo della Chiesa fu più insistente. A questo scopo il Papato si servì dei nuovi Ordini mendicanti, i quali, a Parigi specialmente, occuparono presto una buona parte delle cattedre, e con Alberto Magno e con S. Tommaso d'Aquino portarono realmente la teologia cattolica al suo apogeo. Nello stesso tempo si provvedeva all'assistenza della scolaresca, la quale era spesso indisciplinata e viziosa, quasi sempre poverissima. Sorsero così collegi, riccamente dotati, come quelli di Bologna, di Oxford, di Cambridge, e l'altro celeberrimo, fondato a Parigi da Roberto di Sorbon, che diede poi il nome all'Università (Sorbona).
Ormai, sul finire del secolo XIII e per tutto il seguente, le Università, non più abbandonate a se stesse, si riordinano e spesso sollecitano dai papi l'approvazione dei loro privilegi e dei nuovi regolamenti. Esse divengono così veri organi della Chiesa docente, e tali rimangono fino al Rinascimento, quando cioé lo spirito laico sarà pienamente formato.


Gli Ordini mendicanti: S. Domenico e S. Francesco

Onorio III (1216-1227) OnorioIIIgiudicava Brescia « sede dell'eresia »,  Milano era guardata come una « fossa piena di eretici »; contro Genova fu scagliato l'interdetto dal vescovo di Tolosa perché la città non volle accogliere nei suoi statuti alcune clausole che la impegnavano a perseguitare gli eretici.

Non mancarono, comunque, casi in cui le autorità del Comune, per rappresaglia, vietarono ai cittadini di avere rapporti con il vescovo. La relativa indipendenza del potere politico comunale dalla Chiesa favoriva dunque maggiore libertà di dibattito e di ricerca anche nel campo teologico. L'organizzazione della Chiesa aveva tradizionalmente i suoi centri più attivi nelle campagne, nei grandi monasteri, e si era adattata alla mentalità ed alle esigenze delle popolazioni rurali, mentre i suoi rappresentanti cittadini, i vescovi, si erano sempre più politicizzati.

Il movimento cluniacense aveva messo fortemente in rilievo il travisamento della loro missione e la diffusa corruzione che esisteva tra gli alti rappresentanti del clero cittadino. Del resto, anche nelle campagne la situazione non era soddisfacente. Il basso clero, per la sua ignoranza e per il fatto di essere subordinato ai patroni laici delle chiese parrocchiali, spesso non era in grado di svolgere il suo compito. Gli Ordini religiosi erano impegnati nella gestione di grandi patrimoni fondiari, il cui possesso li faceva apparire non diversi dai signori feudali laici. La Chiesa doveva ora parzialmente modificarsi, adattarsi alla situazione creata dallo sviluppo cittadino e risolvere, nello stesso tempo, i nuovi problemi sorti sul terreno della dottrina, della vita morale, dell'atteggiamento religioso. L'eresia fu schiacciata dalla Chiesa come una formidabile minaccia all'ordine sociale e religioso; essa però conteneva alcuni elementi che, lungi dal nuocere, potevano aiutare la riforma del clero e promuovere un miglioramento nella morale. Questo culto per la povertà, questo disprezzo degli onori, questa aspirazione verso una maggior purezza di vita non erano in fondo che un ritorno ai più sinceri ideali evangelici; bisognava dunque profittarne, impedendo che degenerassero in uno spirito di ribellione ad ogni autorità, e provvedendo a incanalarli entro gli argini di una riforma ufficiale. Furono allora istituiti gli Ordini mendicanti, i quali, fondandosi sull'ideale della povertà e vivendo di elemosine, diedero ai fedeli l'esempio di una vita semplice e nello stesso tempo ossequente verso la Chiesa, alla cui approvazione sottoposero la propria regola. Così nella Lombardia, dal ceppo stesso dei Poveri Lombardi, si svilupparono gli Umiliati, per la maggior parte tessitori di lana ed umili operai, che, dopo un periodo di incertezze e di malintesi con Roma, finirono per accettare una regola dal papa Innocenzo III, costituendo uno stato intermedio fra il laico e il religioso.
Pressappoco con lo stesso spirito sorsero nei Paesi Bassi quelle monache, conosciute popolarmente col nome di Beghine, le quali resero famosi i loro Béguinages, vere organizzazioni industriali per la lavorazione dei lini e dei merletti, che sussistono tuttora nel Belgio.
Ebbero carattere più strettamente monastico gli Ospedalieri e i Lazzaristi, dediti alla cura degl'infermi, i Trinitari, destinati al riscatto dei cristiani, fatti schiavi dai Turchi, i Carmelitani e gli Eremitani, amanti della contemplazione, ecc.. Ma tra gli Ordini mendicanti di quei tempi, i maggiori furono quello dei Domenicani e quello dei Francescani.
 

 I Domenicani

Li istituì lo spagnolo S. Domenico.

Domenico, dopo aver lungamente predicato nella Francia meridionale contro gli Albigesi, raccolse intorno a sé alcuni compagni e con essi fondò l'Ordine dei Frati Predicatori (detti più tardi Domenicani) con lo scopo di addestrarli alla predicazione fra gli eretici e fra il popolo. Il nuovo Ordine religioso, approvatS. Francescoo da papa Innocenzo III, brillò presto per uomini d'ingegno, non solo sul pulpito, ma anche sulla cattedra e nella vita pubblica.

L'ordine dei domenicani diede alla Chiesa S. Tommaso di Aquino (1225-1274).
 

I Francescani

L'Ordine religioso, che più ricorda lo spirito medievale, è quello dei Frati Minori, detti anche Francescani.

Ne fu il fondatore S. Francesco, nato ad Assisi verso il 1182. Figlio di un ricco mercante, dopo una gaia giovinezza, lasciata la vita del mondo, si spogliò d'ogni bene terreno, e divenuto entusiasta della povertà, col suo semplice abito di penitente e la sua bisaccia di mendicante, cominciò a percorrere l'Umbria, apostolo di bontà e di pace, raccogliendo intorno a sé discepoli e poverelli, innamorati della purezza della sua vita, della semplicità della sua parola.
Secondo alcuni storici, dal tempo di Cristo in poi, nessuno aveva esercitato sulle folle un fascino religioso tanto vivo e profondo. Sorse così un Ordine religioso, che, approvato da papa Onorio III (1223) col nome di Frati Minori, si diffuse per tutta l'Italia e ben presto anche per l'Europa: quando S. Francesco moriva ad Assisi nel 1226, i suoi frati erano già parecchie migliaia.
Essi si diedero al ministero più umile fra il popolo, percorrendo le campagne, predicando nelle piazze, pacificando i partiti, dimostrando con la povertà della vita la bellezza del vangelo. Più tardi però, divisi in varie tendenze, dopo lunghe discordie, accolsero una riforma della regola ideata da frate Elia da Cortona, che temperando i primitivi rigori, fece dei Frati Minori un Ordine ricco di beni e dotto di sapere, cosicché perdette molto della sua fisionomia originale, tendendo ad uniformarsi agli altri Ordini mendicanti.
Il movimento francescano ebbe in Italia un fortissimo influsso sulla vita culturale ed artistica: ad esso infatti dobbiamo la diffusione dello stile gotico e la rinascita della pittura con Giotto.

La semplice poesia del Cantico delle creature commosse i poeti, Dante sopra tutti, il quale dedicò al poverello d'Assisi uno dei canti più belli.