Nell'attività dei monaci occidentali
la chiesa di Roma trovò un completamento e uno strumento di
incomparabile efficacia della sua azione storica.
Di questo monachesimo
Benedetto da Norcia (480-547) fu il vero patriarca.
Il
monachesimo benedettino fu il coronamento e punto di arrivo di tutte le
esperienze tentate fino ad allora dai monaci dell'occidente.
Benedetto da Norcia
fu colui che scrisse intorno al 540 una «Regola» che era solo una delle tante
esistenti e che egli stesso non considerava nè perfetta ne definitiva, tanto è
vero che consigliava di leggere anche altri testi di edificazione, tra cui le
«Regole» di San Basilio. Il maggior pregio delle regola di San Benedetto
consisteva nella capacità di mettere a frutto tutta l'esperienza del monachesimo
orientale e occidentale.
Originale non è, innanzi tutto, l'introduzione del
lavoro manuale. Non solo esso era svolto dagli eremiti nel deserto e all'interno
delle comunità di Pacomio e di Agostino, ma già Cassiano ne aveva sottolineato
il significato ascetico e in vari testi normativi occidentali, il vivere del
lavoro delle proprie mani era indicato come elemento qualificante per il vero
monaco. Originali non sono neanche gli ideali di carità e di fraternità che
dovrebbero unire tra loro i monaci e la soppressione delle celle separate con la
conseguente introduzione del dormitorio comune. L'originalità consiste nella
capacità di Benedetto di utilizzare l'eredità del passato alla luce della sua
esperienza diretta e quindi della conoscenza dell'animo umano, per cui tutte le
norme sono improntate a grande moderazione e realismo.
Ai
monaci non si chiede mai nulla di eccessivamente oneroso: moderazione e realismo
che portano Benedetto a un più equilibrato rapporto, rispetto alle altre
esperienze monastiche, tra vita attiva e vita contemplativa, riassunto nel
celebre motto «ora et labora».
La
giornata del monaco non si esaurisce con queste due attività, ci sono anche ampi
spazi dedicati alla lettura e alla meditazione.
Per i
monaci particolarmente svogliati o incapaci di meditazione, l'equilibrio può
essere spostato a vantaggio del lavoro manuale
L'intuizione benedettina fu prodigiosamente feconda di risultati nelle cento e
cento comunità in cui si moltiplicò l'originario insediamento di Montecassino
in tutto l'occidente cattolico.
Nell'abbinamento di preghiera e lavoro i monaci
trovarono la possibilità di svolgere un'intensa missione di civiltà tra le
popolazioni
oppresse e immiserite e le elites violente ed esuberanti della nuova Europa.
I loro monasteri furono, per le regioni in cui fiorirono, azienda agraria e
scuola, banca e biblioteca, luogo di rifugio e base di propagazione, sede e
fulcro della programmazione di bonifiche e di complessi assetti produttivi e
territoriali e punto di riferimento di un intensa vita di pietà, metà di
pellegrinaggi e centro di soccorso.
Non stupisce che, su basi così possenti, ancor più che la chiesa di Roma, i
monasteri benedettini conservassero a lungo il senso profondo della missione e
dell'azione civile e religiosa del Cattolicesimo.
Gregorio (590-604)
Discendente di una nobile famiglia romana, gli Anici e dotato di buona cultura
letteraria e giuridica, era diventato nel 573 prefetto di Roma, ma poi si era
dato alla vita religiosa distribuendo ai poveri le sue ricchezze e trasformando
la sua casa sul celio in un monastero.
Nominato cardinale da Benedetto I (574-579)
fu inviato da Pelagio II (579-590) in missione a Costantinopoli, dove soggiornò
a lungo ed ebbe modo di rendersi conto del progressivo distacco dell'impero
dall'occidente. Tornato a Roma divenne consigliere del papa al quale successe
nel 590. Conservò i suoi rigidi costumi da monaco e assunse l'appellativo di "Servus
servorum Dei"
(servo dei servi di Dio) destinato a restare per sempre il titolo
ufficiale dei pontefici.
Fu
anche il papa cui fu
assegnato l'appellativo di "magno" e meritò veramente questo titolo simbolico
per la spontaneità e la completezza con cui seppe fondere nella sua opera
l'ispirazione religiosa cristiana con il senso pratico e attivo della vita e la
capacità disciplinatrice e organizzativa che erano stati propri della
tradizione romana.
Il
primato del vescovo di Roma sulla Chiesa, considerato in oriente puramente
onorifico, era allora anche in occidente privo di contenuti effettivi.
Questo era un fattore di debolezza perchè la lontananza del potere imperiale
lasciava i vescovi dell'occidente privi di punti di riferimento sicuri.
Il
vuoto fu colmato da Gregorio Magno il quale concepì il disegno di rendere
autonomo il papato dall'impero bizantino, facendone la guida dell'impero
universale.
L'autorità da lui conquistata si basò soprattutto sulla capacità di stabilire
con loro uno stretto collegamento attraverso uno scambio continuo di lettere
sulle quali affrontava i problemi più disperati: la cura delle anime,
l'organizzazione delle diocesi, la vigilanza sui monasteri, i rapporti con il
potere politico.
Per
loro scrisse anche opere di edificazione religiosa e di ammaestramento nel
difficile compito di pastori di anime. Opere che ebbero un successo enorme e
furono lette per tutto il medioevo.
Nello
stesso tempo, Gregorio Magno si occupò sia di assicurare alla cristianità occidentale
un'impronta unitaria, riordinando e diffondendo la liturgia romana, con il
relativo canto, che da lui pese il nome di canto gregoriano, sia di dare un
ulteriore impulso alle opere di evangelizzazione delle popolazione pagane e di
quelle ariane.
Mosse da lui l'impulso alla cristianizzazione dell'Inghilterra, dalla quale
partì quella della Germania, ossia uno dei fatti fondamentali della
storia europea.
Nello stesso tempo la sua azione a difesa dei romani dalla pressione longobarda
poneva, nell'eclisse dell'impero in Italia, le fondamenta per la rivendicazione
di un
potere temporale della chiesa, di uno "Stato della Chiesa" erede della presenza
imperiale in Italia.
Fu durante il suo pontificato che i Longobardi, ancora pagani o ariani quando
entrarono in Italia, si convertirono al cattolicesimo mentre il governo del
patrimonio ecclesiastico
e il primato di Roma sulla chiesa furono rivendicati con la più energica
decisione.
La chiesa di Gregorio Magno quindi stava già assumendo i caratteri di
quella che sarà nei secoli successivi.
Questo perchè era già la chiesa che al credulo e vivace mondo barbarico seppe
parlare il linguaggio più conveniente alla semplicità di spirito e di cultura
con una prevalenza ormai completa degli scopi pastorali, di edificazione e di
devozione, rispetto al vigore di pensiero che era stato proprio dei grandi padri della
chiesa.
|