L'ITALIA NEI SECOLI XI E XII
LA MONARCHIA NORMANNA DELL'ITALIA MERIDIONALE
GLI STATI MARINARI
EUROPA NEI SECOLI XI E XII
Nei secoli XI e XII l'Italia é in piena trasformazione politica,
nei suoi territori ondeggiano vecchie forme di società feudale e nuove strutture di vita comunale.
Né grande influenza esercita
l'autorità imperiale, lontana e travagliata anch'essa dalla crisi del
feudalesimo.
Rimane come simbolo di unità ideale il vecchio Regnum italicum,
di cui gli imperatori vengono ad assumere la corona, soffermandosi nella
classica capitale del Regno, l'antichissima Pavia.
Anche qui, nella città
dell'imperatore, aleggia un'aura di rivolta contro i gravami imposti al Regno e
contro le pretese dei funzionari tedeschi.
Nel 1024, alla morte dell'imperatore
Enrico II, (detto il Santo 978 - 1024 - re d'Italia dal 1002 al 1024, imperatore
del Sacro Romano Impero e ultimo esponente della dinastia sassone) i Pavesi si sollevarono e distrussero dalle fondamenta il palazzo
reale, simbolo della soggezione del Regno italico all'Impero.
Nella generale
confusione delle idee e delle istituzioni, l'Italia presentava allora la più
grande varietà di forme politiche.
Italia settentrionale - Nell'Italia
settentrionale il feudalesimo, introdotto dai Franchi, ha avuto
dapprima un brillante sviluppo. Ma tra l'undicesimo e il dodicesimo secolo i maggiori feudi
laici, o sono scomparsi, come i Marchesati d'Ivrea e del Friuli, o sono in piena
decadenza, sgretolati dalla politica imperiale, mentre i feudi ecclesiastici si
sentono ogni giorno più soffocare dalle nascenti autonomie cittadine.
In pieno
secolo XII rimangono pochi feudatari di qualche importanza, come i conti di
Savoia, i marchesi del Monferrato, i marchesi di Saluzzo, i conti di Biandrate,
i marchesi di Lunigiana; dei feudatari minori, molti lasciano i castelli per la
città; i più piccoli si rintanano tra i monti, là dove ancora si vive nella
primitiva economia dell'età feudale.
Ma per le vaste e ricche vallate dei fiumi, lungo le classiche vie consolari,
nelle pianure opulente, le città, sedi dei vescovi-conti, vanno prosperando e si
avviano verso la completa libertà. Dappertutto stanno sorgendo i Comuni: Asti e
Tortona in Piemonte; Milano, Pavia, Como, Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova in
Lombardia; Verona, Vicenza, Padova, Treviso nel Veneto; Piacenza, Parma, Modena,
Bologna, Ferrara nell'Emilia. Un crescente spirito di rivolta si diffonde per le
città, le quali scrollano il giogo del vescovo-conte, fanno guerra ai feudatari,
ne distruggono i castelli, ne liberano i servi.
Italia centrale - Nell'Italia centrale, dove il feudalesimo é fiorito
solamente entro i confini del grosso Marchesato di Toscana, nei secoli XI e XII
si avverte (come nell'Italia settentrionale) il duplice fenomeno della decadenza
del feudo e della rinascita della città.
Anche in Toscana scompaiono i feudi,
mentre sbocciano da ogni parte i Comuni, come Firenze, Prato, Pistoia, Lucca,
Siena, Arezzo.
Assai più complicata é invece la situazione dello Stato della Chiesa, dove le
tradizioni feudali e le aspirazioni comunali si imbattono continuamente nelle
esigenze del Papato e dell'Impero.
Italia meridionale e Sicilia - Uno spettacolo ben diverso é quello a cui
assistiamo nell'Italia meridionale. Là, dove per l'influenza dei Bizantini ha
attecchito poco il sistema feudale, in questi tempi per opera dei Normanni
s'impianta il feudalesimo e vi mette così profonde radici, da assicurarsi
parecchi secoli di prospera vita.
Infatti nell'undicesimo secolo un
gruppo di cavalieri normanni (dalla Normandia, regione Nord-Ovest della Francia)
scese nelle regioni del mezzogiorno d'Italia e in Sicilia e in pochi decenni
espulse musulmani e bizantini che vi erano presenti da secoli
E mentre per tutta
l'Italia al
frazionamento feudale si sostituisce il frazionamento comunale, nel Mezzogiorno
gli stessi Normanni riescono a fondare una solida monarchia unitaria, che
abbraccerà tutte le genti dell'Italia meridionale e della Sicilia.
Le città costiere e le repubbliche marinare
-
Una fisionomia politica specialissima hanno pure molte città costiere, o rimaste
immuni dal feudalesimo, o favorite da una loro autonomia economica e
commerciale. Di esse le più vivaci sono già divenute o stanno divenendo, proprio
in questi secoli XI e XII, repubbliche marinare quasi indipendenti. La loro
storia, più che dalle vicende d'Italia, dipenderà dalle esigenze dei traffici
nel Mediterraneo e con l'Oriente.
La monarchia normanna dell'Italia meridionale
Mentre nell'Italia settentrionale e centrale salivano a grande prosperità i
Comuni, nell'Italia meridionale i Normanni costituivano un grande regno, dai
confini del Lazio alla Sicilia.
La conquista dei territori bizantini, longobardi e della Sicilia.
Roberto il
Guiscardo, divenuto duca di Puglia e di Calabria e vassallo di Santa
Chiesa (1059), proseguì la conquista dell'Italia meridionale,
-- fece tributarie le
città marittime di Napoli, Gaeta, Amalfi,
-- strappò Bari e Reggio ai Bizantini, e
distrusse gli ultimi avanzi del dominio greco in Italia. Poi assalì il
principato di Salerno e nel 1077 riuscì a conquistare quella ridente città, di
cui fece la capitale del suo regno. Quindi, essendo morto l'ultimo duca di
-- Benevento, si prese le terre di quell'antico ducato longobardo, non però la
città, che si era data al papa fino dall'anno 1051. In tal modo anche i residui
della dominazione longobarda furono assorbiti dalla conquista normanna.
Intanto il fratello di Roberto il Guiscardo, il valoroso Ruggero, che lo aveva
aiutato nelle imprese di Puglia e di Calabria, si volse alla Sicilia, tenuta
ancora dagli Arabi, assalì Messina e la prese; poi passò a Palermo e dopo lungo
assedio l'espugnò (1072); per quasi venti anni (1072-1091) seguitò a combattere,
finché riuscì a distruggere interamente la dominazione araba nell'isola. Egli
prese il titolo di conte di Sicilia, formando uno Stato indipendente.
L'ambizione dei Normanni non si fermò qui: il vicino Oriente li attraeva.
Roberto il Guiscardo, approfittando di una rivoluzione di palazzo avvenuta a
Costantinopoli, sbarcò in Epiro, sconfisse i Bizantini, prese Durazzo e si avviò
minaccioso verso Tessalonica (Salonicco).
Costretto a tornare precipitosamente
in Italia per soccorrere Gregorio VII, vi rimase appena pochi mesi, e verso la
fine del 1084 ricomparve nella Grecia, saccheggiando e diffondendo dappertutto
il terrore del suo nome. Ma una febbre improvvisa l'uccideva a Corfù nel 1085.
L'unificazione dell'Italia meridionale -
I figli di Roberto il Guiscardo, Boemondo e Ruggero Borsa, si divisero i
possessi paterni. Nel 1096, essendo Boemondo partito per la Crociata, il
Ducato di Puglia e di Calabria si raccolse nella mani del solo Ruggero Borsa, la
cui discendenza si estinse però assai presto (1127).
Intanto in Sicilia, morto Ruggero I (1101), gli era succeduto il figlio Ruggero
II (1101-1154), che per valore e per sapienza politica deve dirsi certamente il
più grande dei sovrani normanni . Nel 1127, estintasi la discendenza diretta di
Roberto il Guiscardo, Ruggero II passò lo stretto, invase l'Italia
meridionale; trattando assai duramente le città che gli resistevano, e dal papa
Onorio II ottenne l'investitura del Ducato di Puglia e di Calabria (1127). Così
tutti i possessi normanni, al di là e al di qua del Faro, si riunivano nelle
mani di Ruggero II: l'unificazione dell'Italia meridionale era compiuta.
L'ambizioso sovrano volle suggellare con una coronazione solenne la propria
fortuna. Essendo morto il pontefice Onorio II (1130), e contendendosi la tiara
il papa Innocenzo II e l'antipapa Anacleto II, Ruggero si appoggiò a
quest'ultimo, che era allora il più forte, ne impose il riconoscimento in tutti
i suoi Stati, e dai legati di lui si fece, solennemente incoronare re
dell'Italia Meridionale a Palermo
(1130). Ma il papa legittimo, Innocenzo II, non riconobbe l'atto compiuto, e,
sebbene costretto a fuggire da Roma, seguitò a combattere per parecchi anni
l'antipapa e Ruggero II, chiamando in proprio aiuto anche l'imperatore Lotario
II di Suplimburgo (1125-1137), successore di Enrico V.
Per ben due volte
l'imperatore scese in Italia, senza riuscire ad ottenere durevoli risultati,
onde finì per ritirarsi in Germania. Rimasto solo, Innocenzo II, che intanto,
per la morte del rivale, aveva potuto finalmente rientrare in Roma e riavere la
pienezza dei suoi diritti, volle domare la superbia di Ruggero II e
temerariamente mosse contro di lui con un esercito: fu invece sconfitto e fatto
prigioniero. Si ripetè allora la conciliazione, come all'indomani della
battaglia di Civitate: Ruggero II rinunciava allo scisma e rinnovava il
giuramento di vassallaggio, riconoscendo alla Chiesa il possesso di Benevento. Il papa a sua volta lo assolveva dalla scomunica e riconosceva a lui il
titolo di re di Sicilia e duca di Puglia
(1139).
Carattere della monarchia normanna.
-
Per l'abilità di Ruggero II, tutta l'Italia meridionale divenne dunque una forte
monarchia, comprendente la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Campania, con le
città costiere e i territori, che furono già dei Bizantini e dei Longobardi,
tranne Benevento che rimase alla Chiesa. Ne fu capitale Palermo. Tutto il regno
fu ordinato secondo i sistemi feudali, portati dalla Normandia, onde l'Italia
meridionale vide allora tramontare molte istituzioni municipali antiche e
sorgere e radicarsi profondamente il feudalesimo, quando nel settentrione esso
stava morendo di fronte all'attività dei Comuni.
Tuttavia il regno, unito politicamente, non si fuse in una unità etnica,
impossibile allora in regioni che avevano avuto così diverse vicende. Da questo
punto di vista il regno normanno riuscì uno dei fenomeni più caratteristici e
più rari della storia medioevale. I dominatori normanni erano, per lontana
origine, tedeschi, per lingua ormai francesi, per religione cattolici; i
dominati erano invece latini, greci, longobardi, arabi, che parlavano ciascuno
la propria lingua, vivevano secondo i propri istituti tradizionali, professavano
la loro religione avita. Eppure, in mezzo a tanta varietà, i Normanni diedero un
esempio di tolleranza insolito in quei tempi, concedendo tutte le possibili
libertà e governando con illuminata saggezza. Ne sorse una prosperità grande,
che si rivelò nella intensità dei traffici, nella fioritura delle arti belle,
nella ricchezza del vivere, nella diffusione e nell'altezza della cultura.
Palermo fu in quei giorni il centro di una civiltà singolare, in cui concorsero,
senza fondersi mai interamente, la genialità araba, la fastosità bizantina, la
vivacità normanna, l'equilibrio latino. I monumenti di quel glorioso periodo,
come le cattedrali di Cefalù, di Monreale e la cappella palatina di Palermo,
bastano a dare un'idea della grandezza e anche dell'eclettismo della civiltà dei
Normanni.
L'abilità di Ruggero II si rivelò anche nella creazione di funzionari imperiali:
Camerari per il fisco
Giustizieri per la giustizia.
Inoltre utilizzò i saraceni, sconfitti ma rimasti in Sicilia, come truppe regie.
Sotto Guglielmo I il Malo (1154-1166), succeduto al padre Ruggero II, il regno
normanno traversò una crisi dolorosa di lotte civili per la prepotenza dei
baroni e il mal costume del re; ma risorse poi a più fulgido splendore sotto il
governo di Guglielmo Il il Buono (1166-1189), il quale nelle felici guerre
contro i Bizantini e i Saraceni, nel simpatico atteggiamento in favore dei papi
e dei Comuni contro l'imperatore Federico Barbarossa, nel sapiente mecenatismo
verso le lettere e le arti, parve rinnovare i tempi di Roberto il Guiscardo e di
Ruggero II.
Lo Stato della Chiesa -
Lo Stato della Chiesa o Patrimonio di S. Pietro (detto solo più tardi Stato
Pontificio), formatosi, come vedemmo, con le donazioni longobarde, franche e
imperiali, nel secolo XI comprendeva i territori degli antichi ducati di Roma,
di Perugia, di Spoleto (cioé il Lazio e l'Umbria), racchiudeva le regioni della
Pentapoli e dell'Esarcato, dove però la tendenza verso l'autonomia comunale
rendeva assai vago il potere papale, e dal 1051 aveva annesso anche la città di
Benevento, la quale si era data spontaneamente alla Santa Sede.
Ogni tentativo
di espansione verso l'Italia meridionale, promosso dai papi, era stato troncato
dal rapido formarsi della signoria normanna.
Ben poco si sa della vita delle regioni soggette al governo dei papi.
L'attenzione degli storici é naturalmente accentrata su Roma, le cui vicende
sembrano avere importanza quasi solo come risonanze delle vicende religiose del
Papato. Eppure attraverso le molte peripezie, spesso oscure, della città di
Roma, appaiono frequenti tracce della nascente coscienza italiana e del
crescente spirito d'autonomia comunale nei secoli XI e XII.
In Roma la sovranità del papa lasciò sussistere molte delle antiche forme
dell'amministrazione civile e militare dell'età bizantina, spesso rivestite di
pomposi nomi romani. In pieno periodo barbarico qui si parla seriamente di una
Respublica Romanorum, si nomina il senator romanus, il patricius romanus, si
celebra l'exercitus romanus con un tono di speciale compiacenza, in cui par di
sentire come un'eco della antica grandezza romana e le prime timide aspirazioni
verso le libertà comunali. Chi coltiva tali sentimenti é il laicato, il quale
vive alla corte papale, di cui costituisce la burocrazia civile. Si forma così
in Roma una nuova aristocrazia, ricca e potente, che vuole governare la città, e
perciò cerca d'impadronirsi del Papato.
Nel secolo X vi riesce la famiglia di Teofilatto, specialmente con l'astuta Marozia.
Vero signore di Roma diviene Alberico, figlio di Marozia, il quale, sollevato il popolo contro la propria
madre e il suo novello sposo Ugo di Provenza, re d'Italia, s'impadronisce della
città e per più di venti anni (932-954) la governa, disponendo a suo talento
della tiara papale.
L'intervento degli Ottoni nella elezione dei papi e nella vita di Roma, aumenta
le discordie e la confusione. La nobiltà, che ha la base della sua potenza nelle
terre della Sabina, dell'Umbria, della Tuscia meridionale, e coi suoi castelli
domina le vie di Roma, taglieggiando con imprese brigantesche pellegrini
innocenti, messi imperiali e legati pontifici, non rinuncia al dominio di Roma e
del Papato, si divide in fazioni pro e contro gl'imperatori, scende armata nelle
vie e trasforma spesso l'elezione del papa in una sanguinosa impresa di guerra.
Così si trovano, l'una contro l'altra, la famiglia dei Crescenzi, ostile alla
politica imperiale, e quella dei Conti di Tuscolo, che parteggia per i Tedeschi.
E accanto a queste maggiori famiglie vedremo presto apparire i Colonna, i
Caetani, gli Stefaneschi, i Pierleoni, i Frangipani e tutti gli altri grandi
casati, che riempiono coi loro nomi la storia del Papato e di Roma nel medioevo.
In mezzo alle competizioni fra il partito romano e il partito tedesco s'insinua
la grossa questione delle investiture. Il Concilio Lateranense (1059),
determinando le norme per l'elezione del pontefice, libera il Papato dalla
prepotenza tedesca; nello stesso tempo tende a escludere l'intervento del popolo
e dell'aristocrazia romana.
Ai Normanni infatti e a Matilde di Canossa la Chiesa
affida la difesa delle sue riforme. Allora, privati d'ogni influenza
sull'elezione del papa, i nobili e il popolo si uniscono per strappare al
pontefice il governo di Roma. Così nel secolo XI appaiono i primi accenni alle
libertà comunali: il popolo é già diviso in dodici scholae che, comandate da
altrettanti Banderesi (cioé gonfalonieri), costituiscono il primo nucleo
dell'esercito comunale; c'é anche un governo, che rassomiglia al Comune delle
altre città, con a capo i maggiori nobili: esso vuole indurre il papa a
rinunciare ad ogni autorità politica e rimarca la missione
"spirituale" della Chiesa e la "povertà" apostolica.
Nel 1143 scoppia contro il papa una rivoluzione. Il popolo si impadronisce del
Campidoglio, restaura pomposamente l'antico Senato e vi pone a capo un patrizio,
scelto nella nobile famiglia dei Pierleoni.
Così anche a Roma sorge, con nome diverso, il Comune, col suo Consiglio e col
suo Podestà. Il papa Lucio II, che non vuol cedere il potere, corre armato
all'assedio del Campidoglio per abbattere il
Senato ma, colpito da un sasso, deve ritirarsi, e poco dopo muore (1145). Giunge
allora in Roma un monaco, Arnaldo da Brescia, che alla scuola del grande maestro
Abelardo di Parigi, si é formato al culto della indipendenza politica e della
libertà intellettuale. Egli si butta nel più vivo della lotta, predica contro la
ricchezza del clero e la mondanità degli ecclesiastici, esalta con fanatiche
concioni popolari la povertà di Cristo e degli apostoli, mentre condanna
l'avidità dei papi, tutti intenti ad accrescere il dominio temporale. Il popolo,
travolto dall'eloquenza del monaco, si rafforza nella sua resistenza contro il
papa, riafferma il libero Comune e costringe il pontefice Eugenio III
(1145-1153) a riconoscere la costituzione comunale. L'accordo dura poco, il papa
è costretto a fuggire e dall'esilio lancia la scomunica contro Arnaldo. Allora
nel momento più acuto della controversia il Senato e il popolo di Roma si
appellano all'imperatore Corrado III di Svevia, invocandone l'autorità contro il
papa.
Repubbliche marinare
Nell'alto medio evo in condizioni specialissime si trovarono alcune città
marittime dell'Italia. In esse non arrivò o non si fece mai sentire molto forte
la potenza dei dominatori del territorio interno e l'ordinamento feudale altrove
molto diffuso.
Giunse invece
attraverso il mare l'influenza dei Bizantini, i quali con le loro flotte tennero
per parecchi secoli il dominio delle acque italiane: di molte città rivierasche
dell'Italia meridionale e dell'alto Adriatico può anzi dirsi che politicamente o
economicamente dipendevano da Costantinopoli. Ma quando di fronte al sorgere
della attività marinara degli Arabi e ai continui attacchi
degl'imperatori occidentali e dei Normanni, la potenza bizantina scomparve dalla nostra penisola e
dai nostri mari, le città costiere, abbandonate a sé
stesse ed esposte alle scorrerie dei Saraceni, dovettero provvedere da sole alla
loro sicurezza, si crearono un governo, costruirono porti e navi e divennero
indipendenti.
Così dalla crisi del dominio bizantino in Italia nacquero le
nostre famose repubbliche marinare, le quali presero nell'economia del
Mediterraneo un posto importantissimo, servendo di anello di congiunzione tra
l'Europa occidentale e l'Oriente arabo-bizantino, ancora tanto più civile e più
ricco dei paesi europei.
Amalfi -
Nel Tirreno, più di Napoli e di Gaeta, le cui vicende si innestano spesso con la
storia dei Bizantini e dei Longobardi dell'Italia meridionale, primeggia assai
presto Amalfi, piccola città nel Golfo di Salerno: essa nel secolo X è già un
centro attivissimo di commercio, e profittando delle sue relazioni con Bisanzio,
diviene il tramite dei prodotti greci verso l'interno della Campania. Ben presto
si trovano Amalfitani a Costantinopoli, dove possiedono una colonia con chiesa e
monastero; ad Antiochia hanno la loro via con fondachi e case; a Gerusalemme, a
lato di una chiesa, costruiscono un monastero e alcuni ospizi per i mercanti e i
pellegrini di passaggio; né diversamente fanno ad Alessandria, al Cairo e nelle
principali città arabe della Sicilia.
E così, mentre portano nel Levante i
prodotti agricoli italiani, traggono sete, avori, bronzi, argenterie da Bisanzio;
damaschi, armi, profumi, droghe dai porti della Siria e dell'Egitto; tappeti,
cuoi, cotone, datteri, zucchero dai mercati del Marocco, della Spagna, della
Sicilia. Poi rivendono tutto ai duchi longobardi di Benevento, ai principi di
Capua, Napoli, Salerno, agli abati di Montecassino, ricchissimi e fastosi; ma
specialmente accorrono ai mercati di Roma, di cui sono i fornitori ordinari,
provvedendo le ricche basiliche dei prodotti preziosi dell'industria bizantina,
delle stoffe arabe, degli aromi orientali.
Le esigenze della difesa trasformano
spesso questi abili mercanti in combattenti audaci, che attivarono la caccia ai
pirati saraceni e più volte salvarono le coste del Tirreno e Roma stessa dalle
incursioni degl'infedeli.
Passato il pericolo, riprendevano gli affari coi
nemici di prima, in modo così prospero, che il loro "tarì" é per un paio di secoli
la moneta che, insieme al bisante e al marabotino arabo-ispano, tiene il campo
nel commercio mediterraneo. Fieri della loro origine latina, si reggono secondo
le leggi giustinianee: la tradizione medioevale (già lo vedemmo) dice con
quanto amore essi conservassero un antichissimo esemplare delle Pandette e come
lo facessero vedere ai forestieri, solo in presenza dei capi dello Stato, colla
testa scoperta e con le lampade accese. Ebbero senso giuridico notevole, e ne
lasciarono traccia nella famosa Tavola amalfitana, specie di codice mercantile
marittimo, che si fonda su tradizioni locali antichissime.
La prosperità di Amalfi decadde presto per la concorrenza di Pisa e di Genova;
nel 1076, soggiogata dai Normanni e sottoposta a tributo, la gloriosa repubblica
perdette l'autonomia politica ed economica. Più tardi i Pisani ne distrussero la
flotta e Ruggero II ne occupò le fortezze, abbattendo gli ultimi avanzi della
libertà repubblicana.
Pisa e di Genova -
Ben poco sappiamo di Pisa e di Genova anteriormente al Mille. Certo esse non
possono vantare un'autonomia così antica come quella di Amalfi, poiché fecero
parte del Regno italico e seguirono spesso le vicende dei territori retrostanti:
Pisa infatti appartenne al Marchesato di Toscana e Genova fu nel secolo X una
marca, governata dalla famiglia feudale degli Obertenghi, così detta da un
Oberto, che ne era ritenuto il capostipite. Ma essendo esposte alle scorrerie
dei Saraceni, le due città dovettero provvedere con mezzi propri alla loro
difesa, armarono navi, generalmente una per ogni famiglia ricca e con quelle
cominciarono a dar la caccia ai pirati.
Appunto all'inizio del secolo XI Pisa e Genova si unirono per combattere un
avventuriero arabo di Spagna, Mogahid (il Mugetto della tradizione), il quale,
datosi alla pirateria, aveva conquistato le Baleari, saccheggiato le coste della
Corsica e della Sardegna, distrutto la città di Luni e assalito Pisa;
quest'ultima sarebbe stata difesa dalla leggendaria eroina kinzica Sismondi.
L'audace pirata fu respinto, le flotte alleate conquistarono più tardi la
Sardegna, la Corsica e l'isola di Maiorca, e fecero frequenti rappresaglie
contro i Saraceni d'Africa e di Sicilia. Il possesso della Sardegna e della
Corsica fu poi causa di infinite rivalità fra Pisa e Genova, finché nella pace
del 1285 si decise che la Sardegna rimanesse in parte a Pisa, e che Genova
avesse la Corsica.
Le Crociate e la decadenza di Amalfi furono le occasioni, da cui Pisa e Genova
trassero i maggiori vantaggi, sia sostituendosi agli amalfitani nell'egemonia
del Tirreno, sia impiantandosi nel Levante con attivissime aziende commerciali. In quegli stessi anni le due città marinare si scioglievano dai legami
di dipendenza dai loro antichi feudatari e iniziavano il libero regime
comunale. Genova istituiva allora la sua famosa "Compagna Communis", associazione di liberi
cittadini, con duplice scopo, politico e mercantile; essa era retta da consoli
e, curando i maggiori interessi della cittadinanza, a poco a poco assunse il
governo della repubblica.
Pisa profittò delle discordie sorte tra Enrico IV e la contessa Matilde al tempo
della lotta per le investiture, e guidata dal proprio vescovo, cominciò a
emanciparsi dalla dipendenza feudale del Marchesato di Toscana e a reggersi da
sé. Nel 1080 essa aveva già i suoi consoli e un avanzato ordinamento comunale.
Venezia -
Nel Mare Adriatico Bari, molte volte contesa fra i Greci, i Longobardi di
Benevento e i Saraceni, divenne il centro dell'attività e dell'organizzazione
bizantina nell'Italia meridionale e fu sede di uno speciale governatore detto catapano. Era il porto più comodo per Costantinopoli e per l'Oriente; perciò non
fa meraviglia vedere navi baresi nel Bosforo, nell'Egeo e anche negli scali
della Siria. Nel 1097, secondo la tradizione, audaci marinai di Bari, diretti ai
mercati d'Antiochia, rapirono a Mira, in Asia Minore, il corpo di S. Nicola, a
cui i Baresi edificarono un tempio, che resta ancora a testimoniare la pietà e
la ricchezza di quella città nel secolo XI. Pure importanti furono i porti di
Taranto, Brindisi e Trani, centri attivi di traffico nel periodo
bizantino-normanno. Più a nord Ancona, Classe, Cervia, Comacchio, tutte più o
meno legate alle vicende della Pentapoli e dell'Esarcato, ebbero momenti felici
di attività marinara, ma furono presto superate dalla regina dell'Adriatico,
Venezia.
Quando i Goti di Alarico, gli Unni di Attila e dopo di essi gli Ostrogoti e i
Longobardi invasero l'Italia, gli abitanti romani di Aquileia, di Concordia, di
Altino, di Padova e di altre città del Veneto, si rifugiarono sugli isolotti
della laguna.
Lì si
fermarono, costruendo poveri tuguri e mantenendosi con la pesca e con piccoli
traffici lungo le coste dell'Adriatico e per il corso del Po. Di questa
primitiva Venezia dei secoli VI e VII, Grado fu il centro
religioso, Eraclea il centro politico, Torcello il centro commerciale. Rimasti
fedeli all'Impero, i nuovi abitanti della laguna ebbero i loro tribuni,
dipendenti dall'esarca di Ravenna e confermati dalla corte di Bisanzio; poi,
verso la fine del secolo VII, furono governati da un duca (doge), dapprima di
nomina imperiale, più tardi eletto dal popolo, ma confermato dal governo
bizantino: secondo la tradizione, il primo doge, eletto dai Veneziani, sarebbe
stato Paoluccio Anafesto (697).
Durante l'invasione longobarda Venezia rimase
fedele a Costantinopoli. Quando i Franchi occuparono l'Italia, Pipino, figlio
di Carlo Magno, riuscì a sottomettere le isole della laguna, costringendo gli
abitanti a pagare il tributo al regno franco.
Liberatasi pochi anni dopo dalla
soggezione dei Carolingi, Venezia, profittando della debolezza dei Greci, si
staccò dalla loro dipendenza, cosicché verso il secolo X poteva dirsi già uno
Stato autonomo. Intanto il centro del governo veniva definitivamente portato a
Rialto, e sulle isole rialtine s'incominciava a costruire la nuova Venezia,
destinata a divenire una delle più belle e ricche città del mondo. Alcuni
mercanti di Malamocco (narra la tradizione) avevano in quei giorni rapito da
Alessandria d'Egitto il corpo dell'evangelista San Marco. Il santo fu posto a lato del vecchio
patrono, S. Teodoro, e in suo onore quale fu edificata la
grandiosa basilica.
Per giustificare la scelta dell'isola di Rialto
come sede del doge e la proclamazione del nuovo patrono, si disse che un giorno
S. Marco, andando da Alessandria ad Aquileia per predicarvi la fede di Cristo,
colto dalla tempesta, sarebbe approdato alle isole rialtine : là un angelo gli
profetò che su quel luogo egli sarebbe stato un giorno assai venerato, e lo
salutò con le parole — Pax tibi Marce evangelista meus —, parole che, insieme al
libro dei vangeli e al leone, simbolo di S, Marco, passarono nelle insegne della
repubblica veneta.
In quei primi tempi Venezia fu governata dai maggiori cittadini, i quali si
radunarono nel Maggior Consiglio e in una minore assemblea, detta dei Pregadi
(cioè pregati di assistere il doge), la quale prese più tardi il nome di Senato.
Il doge rappresentava lo Stato, ma aveva poteri assai limitati.
Grande divenne la potenza di Venezia sul mare, sia per le esigenze del crescente
commercio, sia per la necessità della difesa contro le scorrerie dei Saraceni e
le piraterie degli Slavi della Dalmazia. Erano specialmente questi ultimi (i
così detti Schiavoni) assai molesti al libero commercio veneziano, tanto che i
dogi avevano dovuto consentire a pagare loro un tributo, perché non molestassero
le navi che andavano e venivano dall'Oriente.
Ma intorno all'anno 1000 il doge
Pietro Orseolo II, sconfitti i pirati slavi, occupò le coste dell'Istria e
parecchie isole e città della Dalmazia, ponendo le basi della egemonia veneziana
sull'Adriatico. Questo fatto fu celebrato più tardi con l'istituzione della
caratteristica festa annuale dello sposalizio del mare: il doge usciva al largo
sulla sua nave dorata (bucintoro-bucio in oro) e gettava nelle acque un anello,
pronunciando le superbe parole: a Noi ti sposiamo, o mare, in segno di perpetuo
dominio ». Il doge di Venezia ebbe così il titolo di dux Veneticorum et
Dalmaticorum.
Fu il commercio l'origine della prosperità di Venezia: questa città si trovava
del resto in una posizione geografica assai favorevole ad un rapido sviluppo
economico e commerciale.
Isolata dalla terraferma, essa poté sfuggire alle
invasioni barbariche, evitare le gravose guerre territoriali e rimanere immune
anche dalla povera economia feudale. In tal modo riuscì a sfruttare la sua
vicinanza ai paesi d'oltralpe, iniziando con essi strette relazioni d'affari; e
in Italia profittò del facile accesso alle maggiori vie d'acqua, il Po e
l'Adige, per inviare le sue barche, cariche di merci, fino a Pavia e a Verona,
conquistando a poco a poco in quelle regioni il monopolio dei traffici.
Il commercio con l'Oriente divenne ben presto la maggiore attività di Venezia:
questa rivaleggiò dapprima col porto bizantino di Comacchio e con la stessa
città di Ravenna, che cercavano di avere il monopolio del commercio con Bisanzio.
Ma, presa Ravenna da Astolfo (751) e indebolita la dominazione bizantina
nell'Italia settentrionale, Venezia potè espandersi e divenire il tramite
naturale del commercio con Bisanzio in tutte le regioni adriatiche, ottenendo
più tardi (992) dall'imperatore Basilio II con la famosa bolla d'oro, privilegi
eccezionali per il suo commercio nel Levante.
Europa
Inghilterra - Nel 1066 Guglielmo il Conquistatore,
duca di Normandia, conquista l'Inghilterra.
Dopo
la conquista si impegna per limitare il potere dei nobili e crea gli "sceriffi"
che esercitano poteri fiscali e di giustizia. Crea inoltre i tribunali dello
scacchiere dove si recavano gli sceriffi a portare i tributi al re.
Inoltre si verifica la
particolare situazione per cui i sovrani francesi d'Inghilterra sono vassalli
del re di Francia. Enrico II Plantageneto, nel 1154, con i suoi estesi domini in Inghilterra,
è ancora vassallo di Francia.
Nel
1164 con le Costituzioni di Claverdon il re Enrico II impone il potere regio
sulla chiesa. Nel 1170 condanna di Thomas Becket
Da
questa data i re inglesi hanno sempre desiderato unificare le due corone (quella
inglese e quella francese) per costituire un regno anglo-francese. Questo sogno
fu compromesso da Giovanni Senza Terra, figlio di Enrico II, che fu battuto a
Bouvines (1214) da Filippo II Augusto. Giovanni Senza Terra aveva perduto la
maggior parte dei territori inglesi in Francia
Dopo
di ciò dovette sottomettersi al papa Innocenzo III e dichiararsi suo vassallo. I
baroni lo obbligarono a sottoscrivere un documento in cui si posarono delle
precise limitazioni al potere del sovrano; si trattava della Magna Charta
libertatum (1215) che rappresentò il primo fondamento del regime parlamentare
inglese. Sottoscrivendo questa carta il re si impegnava:
1) a rispettare i diritti dei vescovi, dei conti, dei baroni, degli uomini
d’armi e la “libertà” dei mercanti di Londra e delle altre città del regno
(chiamati liberi homines). La Magna Charta pose dei limiti alla volontà del re e
fissava il principio di non imporre il pagamento delle imposte senza il permesso
di coloro i quali le dovevano pagare.
2) a non mettere in prigione o esiliare
nessuno senza la condanna preventiva espressa da un tribunale dei suoi pari.
3) a permettere la costituzione d’un assemblea rappresentativa di classi
nobiliari, che prese il nome di Consiglio Comune.
La monarchia, con re Enrico III (1207-1272), oppose nel 1265 a questo
consiglio un’assemblea analoga di classi di cittadini per ridurre il peso delle
classi feudatarie. È in questo modo che nacque il primo parlamento bicamerale
della storia, costituito dalla Camera dei Lord (nobili e alti prelati) e dalla
Camera dei Comuni (rappresentanti della piccola borghesia e della piccola
nobiltà).
Impero germanico - Nei secoli XI e XII
ai Normanni della dinastia degli Altavilla che avevano unificato l'Italia
meridionale, succedettero i tedeschi Hohenstaufen, duchi di Svevia (1105-1268).
Nello stesso periodo ( sec. XI e XII) si va affermando il potere legislativo del
re. In Sicilia, tra Ruggero II (1130-1154) e Federico II (1197-1250) produssero
leggi di grosso rilievo influenzate pesantemente dal diritto romano.
Già
con Federico Barbarossa furono creati funzionari, detti Ministeriali, alle
dirette dipendenze del re.
Francia - In Francia, nell'XI secolo
il potere del re è ridotto ai minimi termini. Il sovrano Filippo I (1052-1108)
non incise sulla conquista dell'Inghilterra da parte dei normanni (avendo 14
anni), nè nella lotta per le investiture, nè infine, sulla prima crociata.
Tra
il secolo XI e XII i duchi di Normandia, Borgogna e Aquitania, arrivarono a
rifiutare il tradizionale omaggio feudale al re di Francia.
Al
re, che riuscì a mantenere solo (e non fu poco) l'ereditarietà del trono,
rimasero solo i domini immediati, quelli che erano rimasti nella effettiva
proprietà del re e solo nominalmente affidati ad un signore feudale.
La
partecipazione di Luigi VII (1137-1180) alla seconda crociata accanto
all'imperatore Corrado III nel 1147 esprimeva un rafforzamento del potere e una
ripresa dell'iniziativa regia. Come il padre Luigi VI (1108-1137), Luigi VII fu
sostenuto da un accorto ministro, l'abate Sigieri di Saint Denis.
Luigi
VII sposa Eleonora d'Aquitania, poi la ripudiò e lei sposò Enrico II
plantageneto (re d'Inghilterra): da qui iniziarono i dissidi anglo-francesi che
proseguirono nei secoli successivi.
La
monarchia francese gode inoltre del sostegno della chiesa, anch'essa interessata
all'indebolimento dei particolarismi e all'affermazione del potere centrale.
Inizialmente il re francese riprese il governo diretto dei domini reali prima
nominalmente demandati.
Con l'appoggio della chiesa, il re si ripropose come
potere giudiziario e proteggendo chiese e monasteri, estese il controllo sul
territorio.
Infine potè avvalersi dello sviluppo economico delle città, con le
sue energie e i suoi bisogni.
Il
Sigieri fu determinante nell'amplificare il potere e il prestigio del re. Creò 2
figure:
i
prevosti - che si occupavano delle entrate del re
i
baglivi o siniscalchi - che avevano competenze militari e giudiziarie oltre che
finanziarie.
Al ritorno della crociata, nel 1150,
Luigi VII affidò ai templari la conservazione del tesoro regio.
Filippo II Augusto, 1180-1223,
recuperò sotto il dominio diretto della corona la massima parte dei territori
atlantici (Angiò, Maine, Normandia e Britannia) già in possesso dei plantageneti.
Per far questo sostenne il candidato papale all'impero Federico II di Svevia e
sconfisse gli oppositori : Giovanni I Senzaterra, Ottone di Brunswicke i conti
di Fiandra e di Borgogna nella storica battaglia di Bouvines nel 1214.
Preoccupandosi di mantenere
l'appoggio del papa, Filippo II, nel 1209, iniziò una crociata contro gli
albigesi (catari) durata 20 anni e conclusasi nel 1229.
Con Luigi IX (1214-1270), poi
santificato, fu mantenuta la tendenza al rafforzamento del potere regio e furono
indette 2 crociate in Africa, non fortunate.
Filippo IV il bello tentò di
conquistare le fiandre, ma non ci riuscì. Divenne invece sempre più forte il
contrasto con il papa Bonifacio VIII e ci fu il famoso schiaffo di Anagni*.
Filippo il Bello confiscò le
ricchezze ingenti dei templari sciogliendo l'ordine (1307) e perseguitandone i
componenti . Il tesoro dei templari fu affidato ai laici.
* Lo schiaffo di Anagni - talvolta
citato anche come oltraggio di Anagni - è un episodio occorso nella cittadina
laziale il 7 settembre 1303. Si tratta in vero non tanto di uno schiaffo
materialmente dato, quanto piuttosto di uno schiaffo morale, anche se la
leggenda attribuisce a Sciarra Colonna l'atto di schiaffeggiare il pontefice
Bonifacio VIII.
Il re di Francia Filippo IV il Bello inviò i suoi emissari
Guglielmo di Nogaret, il consigliere del re di Francia, e Giacomo Colonna (detto Sciarra) dal Papa, a capo di alcuni soldati, per intimargli di ritirare la bolla
pontificia Super Petri Solio, che conteneva la scomunica per il re francese.
Durante la notte, probabilmente con l'aiuto del Podestà dell'epoca, i soldati
entrarono ad Anagni, passando tranquillamente per una delle porte della città, e
la occuparono. Il pontefice fu rinchiuso nel palazzo di famiglia (oggi Palazzo
Bonifacio VIII). Qui Guglielmo di Nogaret e il Colonna cercarono di costringere
il pontefice, oltreché ritirare la bolla, ad abdicare. Tuttavia sembra che dopo
due giorni di prigione Bonifacio VIII sia stato liberato dagli Anagnini. In ogni
caso la sua morte, un solo mese dopo questo evento, darà il via libera al
controllo della Francia sul papato e al trasferimento della sede papale ad
Avignone.
Russia - nel decimo e undicesimo secolo Normanni e
Vichinghi danno vita al Principato di Novgorod e di Kiev, poi assorbiti dalle
popolazioni slave e infine entrate nel principato di Mosca.
Nel
dodicesimo secolo i potente ordine dei frati/cavalieri teutoni riuscì a
sottomettere e germanizzare le popolazioni slave di Pomerania, Prussia, Estonia e
Lettonia. La Finlandia fu assorbita dalla Svezia.
Solo
la vittoria del principe Nevsky, sovrano di Novgorod, nella battaglia sul lago
Peipus, arrestò nel 1242 la marcia dei cavalieri teutonici verso est, svoltasi
con le apparenze di una grande crociata.
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